Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4700 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 4700 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
LABATE Vitantonio, nato a Monopoli il 14/07/1981,
avverso la sentenza in data 12 giugno 2012 del Tribunale di Bari, sezione
distaccata di Monopoli, nel proc. n. 66/11 Reg. gen.

Letti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
sentita, nella pubblica udienza del 3 dicembre 2013, la relazione svolta dal
consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
udite le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale, dott. Vito D’Ambrosio, il quale ha chiesto la declaratoria di
inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avvocato Giuseppe Labbate, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 12 giugno 2012 il Tribunale di Bari, sezione
distaccata di Monopoli, ha assolto Labate Vitantonio dal reato di cui all’art. 16,
comma 4, d.l. n. 745 del 1970, in relazione agli artt. 1 e 3, comma 10, d.l. n. 32
del 1998 (capo 1), per aver installato, in assenza di autorizzazione comunale, un
impianto di distribuzione di carburanti, poiché i risultati istruttori escludevano
l’esercizio di attività di commercio di carburanti da parte dell’imputato; mentre

Data Udienza: 03/12/2013

ha condannato il Labate alla pena di euro 200,00 di ammenda per la
contravvenzione prevista dall’art. 679 cod. pen. (capo 2), per aver detenuto
materiale infiammabile pericoloso, sebbene non destinato al commercio, in una
cisterna aerea avente la capacità di 1.000 litri, nella quale erano presenti circa
450 litri di gasolio agricolo, con un ulteriore quantitativo di gasolio custodito in
un fusto metallico della capacità di 200 litri, completamente pieno; in Monopoli, il

A sostegno della decisione il Tribunale ha osservato che gli accertati
contenitori di liquido infiammabile per uso agricolo dovevano avere specifici
requisiti di sicurezza, previsti dal d.m. 19/03/1990, non rispettati nel caso di
specie, tali da esentarli dal certificato di prevenzione incendi, sicché sussisteva la
contestata violazione di cui all’art. 679 cod. pen., per detenzione di materiale
infiammabile senza le prescritte cautele.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
l’imputato tramite il difensore che denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.
b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 679 cod. pen.
Il gasolio agricolo detenuto era stato regolarmente assegnato al Labate dalla
Regione Puglia e i quantitativi rinvenuti, non raggiungendo la soglia di 25 metri
cubi, non erano soggetti alla preventiva autorizzazione dei vigili del fuoco, con la
conseguenza che il fatto non avrebbe dovuto ritenersi penalmente rilevante.
La ritenuta non conformità della cisterna aerea e del fusto metallico di
stoccaggio ai requisiti di sicurezza prescritti non integravano la contravvenzione
contestata.
La motivazione della sentenza sarebbe illogica per avere il Tribunale, da un
lato, escluso l’obbligo del controllo dei vigili del fuoco e, dall’altro, affermato la
penale responsabilità dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono.
Questa Corte ha già affermato il principio secondo il quale il reato di omessa
denuncia di materie esplodenti, di cui all’art. 679 cod. pen., ha carattere
sanzionatorio dei precetti contenuti nelle leggi speciali, in funzione della
prevenzione degli infortuni discendenti dalla custodia di materie pericolose per
l’incolumità pubblica (Sez. 1, n. 24058 del 17/06/2010, dep. 30/06/2010,

2

30 ottobre 2009.

Radicci, Rv. 247756; sullo stesso tema: n. 25102 del 2011, Rv. 250329; n. 4139
del 1975; n. 121 del 1969).
Nel caso in esame, come indicato in sentenza con precisi richiami della
normativa speciale da osservare, il contenitore-distributore mobile di gasolio
della capacità di 1.000 litri, ubicato all’interno dell’azienda agricola dell’imputato,
Labate Vitantonio, non era del “tipo approvato” dal Ministero dell’interno secondo

espressamente richiamato nel successivo decreto interministeriale del 19 marzo
1990, e non rispettava gli altri requisiti di sicurezza indicati in quest’ultimo
provvedimento: si trattava, infatti, di una vecchia cisterna non omologata, priva
di bacino di contenimento di capacità uguale almeno alla metà del serbatoio,
senza tettoia e messa a terra, non rispettosa delle distanze dagli edifici e
dell’area libera circostante, e non munita di estintori collocati nelle vicinanze,
come da puntuale descrizione del manufatto in sentenza.
Osserva la Corte che l’omessa omologazione ai prescritti requisiti di
sicurezza di un contenitore di gasolio per la distribuzione mobile di carburante,
avente la capacità di 1.000 litri, installato presso impresa agricola, integra il
reato di omessa denuncia di materie infiammabili, previsto dall’art. 679 cod.
pen., poiché elude la verifica di rispondenza delle caratteristiche del deposito a
quelle prescritte dal citato d.m. del 19/03/1990, in funzione della prevenzione
dei possibili infortuni derivanti dalla custodia di materiali pericolosi.
Il reato di omessa denuncia di materie infiammabili, di cui all’art. 679 cod.
pen., non postula invece la necessaria violazione dell’obbligo del certificato di
prevenzione incendi, come ritenuto dal ricorrente, poiché esso è integrato,
coerentemente alla natura di norma penale in bianco della fattispecie
incriminatrice e al bene giuridico protetto dalle contravvenzioni concernenti
l’incolumità pubblica, dalla violazione dei precetti della normativa speciale intesi
ad assicurare, da parte dell’edotta Autorità, il controllo e la prevenzione dei rischi
connessi alla custodia di materiali pericolosi per qualità o quantità.
Ne discende che legittimamente il Labate, titolare di un deposito di gasolio
per uso agricold) carente della prescritta omologazione da parte della competente
Autorità e non rispondente ai prescritti requisiti di sicurezza, è stato dichiarato
responsabile del reato previsto dall’art. 679 cod. pen.

2. Segue il rigetto del ricorso e, a norma dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

3

la disposizione di cui al decreto dello stesso Ministro in data 31 luglio 1934,

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso, in Roma, il 3 dicembre 2013.

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