Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47 del 27/11/2012


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 47 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

su)(ricorsg(propost•Ada:
1) SIRACUSA ALFREDO N. IL 14/07/1970
2) SAPIENZA PAOLO N. IL 31/10/1963
3) GUGLIELMINO CARMELO ALESSANDRO N. IL 19/01/1974
4) SILVERIO DAVIDE GIUSEPPE N. IL 24/10/1967
5) LEONE PASQUALINO ALFIO N. IL 25/09/1965
avverso la sentenza n. 3127/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
30/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS
Udito il Procuratore Generale in pregona del D9tt. fri-39%,, 4-P 04
che ha concluso per AN.44 IAXIELA.A.A.u4 k
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Data Udienza: 27/11/2012

RITENUTO IN FATTO
1. – Siracusa Alfredo, Tamanini Gabriella Cecilia, Sapienza Paolo, Guglielmino Carmelo
Alessandro, Silverio Davide Giuseppe e Leone Pasqualino Alfio venivano tratti a giudizio
davanti al Tribunale di Catania per rispondere dei reati di cui agli artt. 81 cpv. cp., 73, 74
commi 1 0 , 2° e 3 0 , 80 d.P.R. 309/90, per essersi associati fra loro e con altri soggetti allo
stato non identificati, fra cui tali “Africa”, “Liliana”, “Janeiri”, “Pino”, “Marcello”, “Mito” ed
altri ancora, allo scopo di commettere più delitti di distribuzione, commercio, trasporto,
in particolare Siracusa Alfredo, Savia Fabio e Sapienza Paolo la qualità di partecipi,
incaricati – tra l’altro – di trasportare lo stupefacente dalla Spagna in Italia, detenere e
distribuire a terzi lo stupefacente per conto dell’associazione; nonché per avere, senza
l’autorizzazione di cui all’art. 17 del citato decreto, con più azioni esecutive del medesimo
disegno criminoso, anche in concorso fra loro ex art. 110 c.p., distribuito, commerciato,
trasportato, offerto in vendita e ceduto a terzi sostanze stupefacenti del tipo cocaina. Fatto
aggravato per aver riguardato ingenti quantitativi di sostanza stupefacente e essere stato
commesso da più di dieci persone; fatto ulteriormente aggravato dall’aver partecipato
all’associazione persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti; con la recidiva reiterata e
specifica per Sapienza Paolo, reiterata per Silverio Davide e semplice per Leone Pasqualino
(In Catania, Ariccia e luoghi imprecisati della Spagna, dal settembre 2004 al marzo 2005).
Con sentenza del 4/5/2010 il Tribunale assolveva gli imputati dal reato associativo
riconoscendoli colpevoli del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv. c.p. e 73 del citato d.P.R., con
esclusione dell’aggravante di cui all’art. 80 del d.P.R. stesso, valorizzando, in particolare,
quale compendio probatorio a carico, l’esito delle intercettazioni telefoniche disposte per la
cattura del latitante Toscano Maurizio, cugino di Siracusa Alfredo.
2. – Proponevano appello gli imputati, e la Corte di Appello di Catania, disposta la
separazione della posizione della Tamanini per ragioni procedurali, confermava
l’affermazione di colpevolezza pronunciata in primo grado nei confronti degli altri appellanti
e riformava l’impugnata decisione limitatamente al trattamento sanzionatorio; la Corte
distrettuale dava conto del proprio convincimento con argomentazioni che, per la parte che
in questa sede rileva, possono così riassumersi: A) doveva essere disattesa l’eccezione di
inutilizzabilità delle operazioni delle intercettazioni, sollevata dal Siracusa sul rilievo
dell’asserita incompetenza funzionale del GIP di Catania che le aveva disposte per la ricerca
del latitante Toscano Maurizio, posto che nel caso in esame le intercettazioni telefoniche
erano state disposte non soltanto per la ricerca del latitante ma anche per acquisire ulteriori
elementi investigativi in ordine all’associazione a delinquere di stampo mafioso (clan
Cappello – Pillerà) operante nel territorio catanese che favoriva la latitanza del Toscano
considerato un esponente di spicco del quell’organismo criminoso qualificato: ed invero,
nella richiesta della Squadra mobile della Questura di Catania vi era l’espresso riferimento al

detenzione, offerta in vendita e cessione di sostanze stupefacenti, tipo cocaina, rivestendo

fatto che i titolari delle utenze di cui si chiedeva l’intercettazione “favorivano” la latitanza del
Toscano e che lo stesso Toscano e Ponzio facevano parte dello stesso clan mafioso dei
Cappello; risultava altresì infondata l’ulteriore eccezione sollevata dal medesimo imputato
che aveva sostenuto l’inutilizzabilità delle conversazioni captate in assenza di rogatoria
internazionale: le conversazioni erano state intercettate su utenze intestate a soggetti
residenti nel territorio catanese e quindi per esse non era necessario il ricorso alla rogatoria
internazionale; B) nel merito, in relazione alla posizione dei singoli imputati, risultavano
intercettate che la Corte stessa indicava specificamente; e ciò avuto riguardo al linguaggio
criptico, usato per mascherare l’illiceità dei rapporti di frequentazione, nonchè alla
concatenazione cronologica delle telefonate: Siracusa

Tamanini Gabriela Cecilia e il suo

convivente Savia Fabio, che si trovavano in Spagna, avevano avviato delle trattative con
fornitori locali per l’acquisto di una partita di droga che era destinata a Siracusa Alfredo: da
una conversazione intercettata il 7 ottobre 2004 si intuirebbe che il Siracusa si sarebbe
trovato in Spagna dall’amico Savia Fabio (ed in propositOviene evocata la deposizione
dell’ispettore Seccia); la prospettazione difensiva, secondo cui i contatti avrebbero trovato
spiegazione nell’Interesse sentimentale nutrito verso la Tamanini, non appariva credibile
perché smentita dal contenuto delle conversazioni intercettate in cui l’uso di un linguaggio
criptico ed allusivo utilizzato dall’imputato con il Savia (convivente della Tamanini) mal si
conciliava con un proposito sentimentale che non si spiegava neppure con la conversazione
del 3/1/2005 nel corso della quale la Tamanini chiedeva del denaro al Siracusa tramite il
Savia il quale certamente, a sua volta, non avrebbe alimentato i rapporti di frequentazione
con l’imputato se l’interesse di quest’ultimo fosse stato rivolto alla sua donna; l’imputato
non appariva meritevole delle attenuanti generiche, per la gravità della condotta tenuto
conto, in particolare, del suo coinvolgimento nell’approvvigionamento di gr. 350 di cocaina
proveniente dalla Spagna: circostanza che denotava un non modesto profilo delinquenziale;
SAPIENZA – per il Sapienza, il contenuto delle conversazioni captate – anche quelle

relative a colloqui telefonici tra il Leone e lo Spagnoli – costituiva compendio probatorio / a
carico/ di sicura consistenza; il contenuto delle conversazioni smentiva la prospettazione
difensiva secondo cui il debito era riconducibile alle macchinette da caffè che il Leone e lo
Spagnoli ricevevano – quali sub-mandatari – dal Sapienza a sua volta rappresentante di
commercio per conto della ditta “F.T. di Agatina Giuffrida”); a ciò dovevano aggiungersi gli
esiti dell’attività investigativa svolta dagli inquirenti e culminata anche in sequestri di
sostanze stupefacenti, ed appariva altresì significativo che il Leone in grado di appello non
aveva contestato l’Interpretazione data dal Tribunale alle conversazioni telefoniche che
vedevano l’imputato stesso impegnato a recuperare somme di denaro, per conto del
Sapienza, derivante dall’illecita attività di spaccio e in forza delle quali il Leone era stato
riconosciuto colpevole in primo grado; GUGLIELNINO – la versione dell’imputato secondo cui avrebbe ricevuto dal Leone droga da destinare esclusivamente al proprio Uso

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condivisibili le valutazioni del Tribunale, sulla base del contenuto di conversazioni

personale – risultava smentita dalle risultanze processuali, ed in particolare dal contenuto
delle conversazioni che fugava qualsiasi dubbio, tenuto anche conto del riferimento a
quantitativi di droga e somme di danaro assolutamente incompatibili con
l’approvvigionamento di droga per uso esclusivamente personale; le intercettazioni
telefoniche avevano dimostrato come l’imputato si rivolgesse al Leone per rifornirsi in modo
stabile, costante e abitudinario di consistenti quantitativi di droga; non appariva credibile
che l’imputato avesse acquistato la droga per farne una scorta da tenere in riserva;
uso esclusivamente personale risultava smentita dall’esito delle operazioni captative
(sinteticamente riportato dalla Corte territoriale quanto alle conversazioni ritenute di
maggiore valenza probatoria); le richieste che l’imputato riceveva da “numerose persone” e
il fatto che lui e il Leone “non avevano concluso nulla” apparivano in contrasto con l’uso
personale della droga deponendo invece per l’illecita attività di spaccio svolta dal Silverio in
concorso con il Leone; non si ravvisavano nella condotta del Silverio le connotazioni per il
riconoscimento dell’attenuante della minima partecipazione – di cui all’art. 114 c.p. sollecitata dalla difesa, posto che il contributo dato dall’imputato, il quale riceveva / da
numerose persone,richieste di fornitura di stupefacente e raccoglieva il denaro per l’acquisto
della droga, non poteva essere considerato come partecipazione di minima importanza al
reato a lui contestato; non potevano concedersi le attenuanti generiche: la condotta del
Silverio – il quale si riforniva costantemente di rilevanti quantitativi di droga dal Leone rivelava un profilo delinquenziale non lieve; LEONE – in data 30/3/2005 nell’abitazione
dell’imputato erano stati rinvenuti circa 60 grammi di cocaina mentre era in compagnia del
Guglielmino e numerose conversazioni evidenziavano che l’imputato era impegnato a
recuperare i crediti vantati dal Sapienza nei confronti dello Spagnoli derivanti dall’illecita
attività di spaccio, come già precisato nell’esaminare la posizione dell’imputato Sapienza;
nella condotta del Leone non appariva ravvisabile l’attenuante della minima partecipazione al
reato, ai sensi dell’art. 114 c.p., da lui invocata, posto che: durante l’attività investigativa,
egli era stato trovato in possesso di gr. 60 di cocaina che custodiva nel suo appartamento;
sollecitava i pagamenti di somme di denaro per conto del Sapienza; con il Silverio
conteggiava le somme di denaro derivanti dall’illecita attività di spaccio; era il fornitore
abituale e costante di rilevanti quantitativi di droga per il Guglielmino.

3. – Ricorrono per cassazione gli imputati Siracusa, Leone, Silverio, Sapienza e
Guglielmino con censure che possono riassumersi come segue:
3.1 SIRACUSA – Sotto i profili della violazione di legge e del vizio motivazionale, la difesa
del Siracusa deduce, con diffuse argomentazioni, ed anche con il richiamo ad atti processali,
plurime doglianze che possono così riassumersi: con il gravame proposto avverso la
sentenza di primo grado, la difesa di Siracusa Alfredo aveva svolto una serie di
argomentazioni difensive che, muovendo da dati probatori certi (particolarmente le

SILVERIO – anche per il Silverio la tesi difensiva del rifornimento di droga dal Leone per

intercettazioni telefoniche), avrebbero dovuto condurre indubitabilmente, secondo il
ricorrente, alla di lui assoluzione; si erano, inoltre, “indicati taluni punti della sentenza di
primo grado ove venivano riportate circostanze oggettivamente insussistenti (presenza del
Siracusa in Spagna il 7/10/2004: p. 6 dei motivi d’appello) ovvero interlocutori diversi da
quelli accertati nel corso del dibattimento di primo grado (prenotazione di una macchina a
Ciampino il giorno 11/1/05 che si dice effettuata da un soggetto diverso dal Savia Fabio,
contrariamente a quanto invece risulterebbe dagli atti: p. 6 motivi appello): nell’un caso,
giudice su tali punti senza procedere ad alcuna verifica dei dati che, ad avviso del ricorrente,
ove eseguita, avrebbe portato a diversa conclusione; la difesa aveva evidenziato come
dovesse escludersi che Siracusa Alfredo fosse interessato all’acquisto di stupefacenti da
parte della coppia Savia/Tamanini segnalando che, seppure questi ultimi avevano potuto
pensare che il Siracusa potesse essere interessato all’acquisto di stupefacenti, proprio
alcune conversazioni intercettate potevano dimostrare invece l’insussistenza della
responsabilità del Siracusa stesso; erano state segnalate alla Corte d’Appello in particolare
talune conversazioni dalle quali emergeva che il Siracusa ed il Savia si sarebbero sentiti
dopo le feste, ed altra, pur successiva all’arresto della Tamanini, nel corso della quale il
Siracusa diceva al Savia di non aver risolto ancora i propri problemi: anche al riguardo i
giudici di seconda istanza avrebbero omesso di confutare le prospettazioni difensive,
limitandosi ad argomentare in maniera congetturale e operando palesi travisamenti dei fatti
e delle prove; secondo l’impugnata sentenza la coppia Savia/Tamanini si sarebbe trovata in
Spagna per l’acquisto di una partita di droga: il Savia era invece agli arresti domiciliari in
Ariccia, e quindi in Spagna si trovava la sola Tamanini come peraltro dimostrato dalle
numerose telefonate tra i due – nel corso delle quali la donna appariva con il nome Cecilia o
Gabriella – e come confermato in dibattimento dall’Ispettore Seccia su domanda del P.M.; la
Corte d’Appello ha affermato che da una telefonata intercettata il 7 ottobre 2004 si
intuirebbe la presenza in Spagna del Siracusa presso il Savia: in atti non vi sarebbe alcuna
traccia di una telefonata in data 7 ottobre 2004 tra il Siracusa ed il Savia, di cui peraltro non
sarebbero state fornite dalla Corte di merito utili indicazioni (utenza, orario, etc.), né
potrebbe attribuirsi valenza probatoria ad una mera “intuizione”: circostanze queste pure
sottoposte al vaglio della Corte d’Appello ma rimaste senza risposta; nella sentenza di
secondo grado si legge che da alcune conversazioni sarebbe emerso che il Siracusa avrebbe
parlato con interlocutori sconosciuti ai quali poter vendere la droga che, secondo l’accusa, il
Siracusa stesso avrebbe ricevuto dalla Tamanini e da costei acquistata in Spagna: in due di
tali telefonate (ivi compresa quella avente ad oggetto il noleggio di un’auto a Ciampino)
l’interlocutore del Siracusa era il Savio – il quale peraltro aveva in uso l’utenza intercettata e quindi non poteva trattarsi di un potenziale acquirente della droga acquistata dalla
Tamanini in Spagna, mentre l’interlocutore del Siracusa nella terza telefonata era suo cugino
Palma Giovanni per cui l’oggetto della telefonata non poteva essere la droga; la Corte

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come nell’altro, il giudice dell’appello si sarebbe indotto a ribadire le affermazioni del primo

territoriale sarebbe incorsa in un travisamento della prova sotto due aspetti: a) in
dibattimento nessun operatore avrebbe riferito di non aver riconosciuto la voce del Savia;
b) l’identità degli interlocutori sarebbe stata annotata sul prospetto sintetico delle telefonate
acquisito dal Tribunale; la Corte distrettuale non avrebbe poi indicato alcun elemento da cui
poter inferire che fra la coppia Savio-Tamanini da un lato ed il Siracusa dall’altro sarebbe
stato raggiunto un accordo certo “sulla qualità, quantità della sostanza e sul prezzo”: erano
state sottoposte al vaglio della Corte d’Appello tali prospettazioni difensive – con specifico

di qualsiasi accordo – rimaste tuttavia senza risposta, con conseguente inosservanza
dell’obbligo motivazionale; si deduce poi vizio di motivazione in ordine al diniego delle
attenuanti generiche, avendo la Corte distrettuale desunto connotazioni di un profilo
delinquenziale non lieve da un solo episodio a fronte di una condizione di incensuratezza; si
assume infine che per il principio del “favor rei” i giudici di merito avrebbe dovuto infliggere
al Siracusa il minimo della pena detentiva pari ad anni 6 di reclusione introdotto con la
nuova legge del 2006 e non il minimo di 8 anni quale stabilito dalla normativa previgente.
3.2. LEONE – Denuncia vizio motivazionale per erronea valutazione delle risultanze
processuali, relativamente al diniego dell’attenuante della lieve entità del
fatto – sottolineando che vi sarebbe un’unica conversazione in cui si farebbe riferimento a
denaro, e si tratterebbe della somma di 150,00 euro – e delle attenuanti generiche, che a
suo dire ben avrebbero potuto essere riconosciute per lo scarso apporto che il Leone
avrebbe fornito nell’ambito della vicenda oggetto del procedimento e per il suo contegno
processuale.
3.3. SILVERIO – Deduce Vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti
generiche e dell’attenuante dell’ipotesi lieve ex art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309/90,
nonché per il mancato riconoscimento dell’attenuante della minima partecipazione al fatto di
cui all’art. 114 c.p.
3.4. SAPIENZA – Solleva l’eccezione di inutilizzabilità dell’esito delle intercettazioni – in
appello non dedotta da lui ma dal Siracusa – sul rilievo che sarebbero state disposte da
giudice funzionalmente incompetente, e denuncia vizio di motivazione sulle valutazioni
probatorie in punto di ritenuta responsabilità.
3.5. GUGLIELMINO – Vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza della
destinazione della droga ad uso personale, che a dire del ricorrente sarebbe invece provato
dalla sentenza di assoluzione relativamente al rinvenimento della cocaina del 10 marzo
2005, dal suo accertato stato di tossicodipendenza e dalle sue risorse
economiche – riconducibili all’attività commerciale svolta – che gli avrebbero consentito
l’approvvigionamento di droga per il suo fabbisogno; anche le conversazioni intercettate, se
lette nell’ottica della sua tossicodipendenza, deporrebbero in tal senso; si duole altresì
dell’aumento di pena a titolo di continuazione asserendo che i plurimi episodi da ritenere
avvinti dal vincolo della continuazione non sarebbero stati in alcun modo provati.

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richiamo anche a singole conversazioni intercettate che avrebbero dimostrato la mancanza

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. – Preliminarmente deve essere esaminata la censura in rito concernente la eccepita
inutilizzabilità dell’esito delle intercettazioni telefoniche, che, pur se dedotta dal solo
Sapienza, in caso di accoglimento produrrebbe i suoi effetti anche sulla pgione degli altri
ricorrenti tenuto conto della natura dell’eccezione concernente questione rilevabile di ufficio.
La doglianza è priva di fondamento, sotto plurimi profili. In primo luogo, va evidenziato che,
come precisato dai giudici del merito, le intercettazioni erano finalizzate non solo alla
ordine all’associazione mafiosa che favoriva la latitanza del Toscano. A ciò aggiungasi che
questa Corte ha avuto modo di affermare, condivisibilmente, la piena utilizzabilità di
intercettazioni finalizzate alla ricerca di latitanti anche se disposte da giudice incompetente
funzionalmente (Sez. 4, n. 45911 del 15/10/2009 Ud. dep. 01/12/2009 – Rv. 245664).
5. – Ciò posto, prima di passare all’esame delle singole posizioni (nel merito) dei
ricorrenti, ed all’analitico vaglio delle censure dagli stessi rispettivamente dedotte, appare
opportuno soffermarsi innanzi tutto sul tema generale dell’onere motivazionale, con
particolare rifermento agli obblighi di motivazione del giudice di secondo grado, in relazione
ai motivi dell’appello proposto dall’imputato, nel caso di conferma della sentenza di
condanna pronunciata in primo grado. E’ certamente ius receptum che, quando le sentenze
di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova
posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di
appello può integrarsi con quella precedente per formare un unico corpo argomentativo,
sicché risulta possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado, colmare
eventuali lacune della sentenza di appello. Deve tuttavia ritenersi che incorra nel vizio di
motivazione il giudice d’appello il quale – nell’ipotesi in cui le soluzioni adottate dal giudice
di primo grado siano state censurate dall’appellante con specifiche argomentazioni
confermi la decisione del primo giudice, aggiungendo la propria adesione senza però dare
compiutamente conto degli specifici motivi d’impugnazione, così sostanzialmente eludendo
le questioni poste dall’appellante. In tal caso non potrebbe invero nemmeno parlarsi di
motivazione “per relationem”, trattandosi all’evidenza della violazione dell’obbligo di
motivare, previsto a pena di nullità dall’art. 125 c.p.p., comma 3, e direttamente imposto
dall’art. 111 Cost., comma 6, che fonda l’essenza della giurisdizione e della sua
legittimazione sull’obbligo di “rendere ragione” della decisione, ossia sulla natura cognitiva e
non potestativa del giudizio.
Più specificamente, l’ambito della necessaria autonoma motivazione del giudice d’appello
risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte dall’appellante. Se questi
si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e
correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue o
palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può trascurare di esaminare

cattura del latitante Toscano Maurizio, ma anche all’acquisizione di elementi investigativi in

argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati. Quando, invece, le
soluzioni adottate dal Giudice di primo grado siano state specificamente censurate
dall’appellante, sussiste, come detto, il vizio di motivazione – in quanto tale sindacabile ex
art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) – se il giudice del gravame non si fa carico di argomentare
sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione. Nè può ritenersi
precluso al giudice di legittimità l’esame dei motivi di appello, al fine di accertare la
congruità e la completezza dell’apparato argomentativo adottato dal giudice di secondo
attribuiti dalla legge alla Corte di Cassazione la disamina della specificità o meno delle
censure formulate con l’atto di appello quale necessario presupposto dell’ammissibilità del
ricorso proposto davanti alla stessa Corte.
6. – Orbene, sulla scorta dei princìpi appena ricordati, risultano fondati i ricorsi del
Siracusa e del Guglielmino per quanto di ragione.
6.1. Per quel che riguarda il Siracusa, questi aveva presentato un atto di appello con cui
aveva dedotto motivi specifici, con particolare riferimento alla interpretazione di talune
telefonate cui il primo giudice aveva ritenuto di dover attribuire valenza probatoria di
accusa. L’imputato aveva cioè contestato l’individuazione del suo interlocutore – con
conseguenti riflessi sul significato del colloquio intercettato – non mancando di indicare
specifici atti a sostegno del proprio assunto. Come evidenziato anche dal Procuratore
Generale nel corso della sua requisitoria all’odierna udienza, a fronte di dette doglianze il
giudice di appello ha confermato l’affermazione di colpevolezza in ordine al reato avente ad
oggetto cocaina pari a 320 grammi (acquistata dalla coppia Savio/Tamanini per essere poi
ceduta, secondo l’accusa, ad esso Siracusa), ribadendo la valenza probatoria di talune
circostanze senza farsi carico di vagliare le deduzioni difensive formulate in proposito con i
motivi di appello, sia pure per ritenerle eventualmente inconferenti o infondate.
Con riferimento alla conversazione del 17/12/2004, assume la Corte territoriale che essa
sarebbe intervenuta fra il Siracusa “ed un uomo non identificato” e che da essa si
ricaverebbe logicamente che il Siracusa, una volta ricevuto lo stupefacente dalla Tamanini,
lo avrebbe consegnato all’ignoto interlocutore. Il Siracusa aveva invece sostenuto con
l’appello – richiamando atti del processo – che l’interlocutore sarebbe stato lo stesso Savia
(la cui utenza cellulare era intercettata) e quindi la conversazione non avrebbe potuto
riferirsi alla droga acquistata in Spagna dalla Tamanini (cfr. pag. 3 dell’allegato 2 al
ricorso).
Si legge ancora nella gravata sentenza che da una conversazione intercettata in data
7/10/2004 si intuirebbe che il Siracusa si trovava in Spagna dal suo amico Savia Fabio
(evocando al riguardo la deposizione dell’ispettore Seccia). In proposito, il Siracusa ha
rappresentato con il ricorso innanzi tutto che di tale telefonata (intercettata) non vi sarebbe
traccia in atti e che il Savia non poteva trovarsi in Spagna perché agli arresti domiciliari in

grado con riferimento alle doglianze mosse alla decisione impugnata, rientrando nei compiti

Ariccia, precisando di aver dedotto tale eccezione con i motivi di appello (a pag.6): anche in
proposito non si rinviene risposta nella sentenza di secondo grado; il ricorrente ha poi
denunciato vizio di motivazione relativamente all’interpretazione di detta conversazione
sostenendo che una mera “intuizione” non sarebbe idonea a rendere congrua una
motivazione a sostegno della lettura di un colloquio intercettato: tale censura coglie nel
segno posto che la Corte territoriale avrebbe dovuto esplicitare gli elementi valutati per
pervenire ad una tale “intuizione”. Ed ancora. La prenotazione dell’autovettura a Ciampino
allo “stesso ignoto interlocutore”, sarebbe stata invece effettuata, secondo il ricorrente, da
Savia Fabio, come risulterebbe dal prospetto, allegato anche al ricorso, specificamente
progr. 2980 ut. 333/2375538 in uso a Savia: secondo la prospettazione difensiva, l’auto
sarebbe servita alla Tamanini per recarsi in Spagna e la donna sarebbe stata individuata
dagli inquirenti proprio grazie a tale intercettazione, per poi essere bloccata a Ventimiglia al
rientro in Italia: deduzione anche questa sottoposta al vaglio dei giudici di seconda istanza
con i motivi di appello (a pag. 6).
Per la conversazione del 13/1/05, la difesa aveva evidenziato con i motivi d’appello (p. 10),
richiamando anche il teste Seccia, che il colloquio era intervenuto fra il Siracusa e il proprio
cugino Palma Giovanni, e non con un “uomo non identificato” (cfr. pag. 6 dell’allegato 2 al
ricorso) e, pertanto, non poteva avere il significato che si era ritenuto di poter trarre: il
Giudice d’appello, senza verificare donde la difesa avesse tratto il nome Palma Giovanni, ha
ribadito trattarsi di uomo non identificato per poi affermare – dunque senza dar conto della
deduzione difensiva – che si trattava di soggetto interessato ad acquistare stupefacente.
Con il ricorso il Siracusa sostiene che aveva sottoposto alla Corte doglianze specifiche circa il
suo disinteresse rispetto ai fatti di droga di cui si sarebbe occupata la coppia
Tamanini-Savio, richiamando l’attenzione della Corte distrettuale anche sul contenuto delle
telefonate intercettate successivamente all’arresto della Tamanini (In particolare, quella del
24 gennaio 2005 nel corso della quale comunicava al suo interlocutore di non aver ancora
risolto i propri problemi, questi ultimi già oggetto di conversazioni relative al periodo
antecedente all’arresto della Tamanini): anche in ordine a tali deduzioni (formulate a pag.
11 dei motivi di appello) non si rinvengono argomenti nell’impugnata sentenza.
Mette conto sottolineare ancora che la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il reato per
il quale è intervenuta condanna nei confronti del Siracusa (quale unico addebito di cui detto
imputato poteva essere chiamato a rispondere, per come precisato dai giudici di seconda
istanza) – vale a dire l’accordo circa l’acquisto della droga (dalla Tamanini) per poi
rivenderla a terze persone – muovendo dal presupposto che ai fini della consumazione del
reato stesso non rileverebbe la materiale consegna dello stupefacente all’acquirente essendo
sufficiente solo “l’incontro delle volontà del compratore e dell’acquirente sulla qualità,
quantità della sostanza e sul prezzo” e citando in proposito taluni precedenti della
giurisprudenza di legittimità (pagg. 6-7 della sentenza); il Siracusa con il ricorso ha dedotto

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in data 11/1/2005 – oggetto di una telefonata intercettata – attribuita dai giudici del merito

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che non sarebbero stati indicati gli elementi probatori cui poter ancorare in termini di
certezza il convincimento della concretezza dell’accordo quale ipotizzato dall’accusa. Orbene,
ferma restando la correttezza dell’affermazione della Corte d’Appello in termini di principio
di diritto, si rileva peraltro un vizio motivazionale laddove non risulta precisato (ultimo rigo
di pag. 6 della sentenza) a quali soggetti intendesse riferirsi la Corte d’Appello nell’indicare il
“compratore” e l’ “acquirente”, trattandosi di termini che esprimono entrambi il concetto di
acquisto, e manca poi al riguardo il riferimento ad elementi da cui poter trarre il

fattispecie, il “compratore e l’ “acquirente”. Sussiste, pertanto, anche sul punto il denunciato
vizio motivazionale.
Per le ragioni suesposte l’impugnata sentenza deve essere annullata nei confronti del
Siracusa, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Catania che, alla luce dei
rilevati vizi motivazionali sopra evidenziati, procederà a nuova valutazione del complessivo
compendio probatorio, tenendo conto compiutamente delle doglianze dedotte dal Siracusa
con l’appello. Restano assorbite le ulteriori censure relative al trattamento sanzionatorio,
oggetto del ricorso.
6.2. Tenendo conto dei principi generali in tema di onere motivazionale, prima richiamati,
è fondato, come detto, anche il ricorso del Guglielmino. A carico di quest’ultimo sono state
valorizzate le telefonate con il Leone, ritenuto suo fornitore, e, quale elemento oggettivo di
riscontro, è stato evidenziato il rinvenimento sulla persona del Guglielmino stesso di grammi
11,6 di cocaina in occasione del sequestro a casa del Leone – che era in compagnia del
Guglielmino – di un quantitativo di cocaina di circa 60 grammi; secondo i giudici del merito
non rileverebbe la sentenza di assoluzione del Guglielmino per il possesso degli 11,6
grammi di cocaina, tenuto conto di quelle conversazioni che farebbero supporre che non si
sarebbe trattato dell’unico episodio di coinvolgimento del Guglielmino in un acquisto di
sostanza stupefacente (pag. 16 della sentenza di primo grado). Orbene, come per il
Siracusa, anche per il Guglielmino la motivazione della Corte distrettuale non soddisfa
l’esigenza di adeguata e logica risposta a quanto specificamente dedotto dall’imputato con i
motivi di appello. Il Guglielmino aveva sollecitato il giudice di seconda istanza ad indicare
quali elementi probatori potessero sorreggere il convincimento di un commercio di droga e
non di approvvigionamento per esclusivo uso personale evidenziando che: era intervenuta
una sentenza assolutoria – definitiva – che aveva sancito la destinazione ad uso personale
dell’unico quantitativo di stupefacente rinvenuto nella disponibilità dell’imputato, vale a dire
gli 11,6 grammi di cocaina; egli era titolare di una fabbrica economicamente solida, con 12
dipendenti, e svolgeva un’attività commerciale i cui proventi ben potevano consentirgli
l’acquisito di droga per soddisfare le sue esigenze di tossicodipendenza da cocaina, anche
mediante acquisti di “scorte” di cocaina, non potendo recarsi, per gli impegni di lavoro,
quotidianamente presso il suo fornitore (ed ai motivi di appello era stato allegato anche il
bilancio del 2004 relativo a tale attività commerciale); le conversazioni intercettate erano

b

iuoiA.A-)

convincimento della concretezza dell’accordo tra tali soggetti, una volta individuati, nella

state interpretate in maniera distorta mediante l’estrapolazione di parole e stralci di tali
colloqui, dalla cui integrale trascrizione (riportata nei motivi di appello), poteva invece
desumersi, secondo la prospettazione difensiva, che la reazione indispettita del Guglielmino,
nei confronti del Leone in occasione di una telefonata intercettata, era dovuta solo alla
mancanza di disponibilità di droga di cui aveva necessità per il proprio fabbisogno; la
sentenza di assoluzione, nonchè l’esito del drug test effettuato in occasione dell’arresto del
10 marzo 2005 – a mezzo del quale era stato riscontrato nelle urine un dosaggio di cocaina
droga da destinare allo spaccio; dagli atti non emergerebbe alcun elemento idoneo a
dimostrare un qualsiasi contatto tra il Guglielmino e potenziali clienti ai quali cedere droga,
ed egli non aveva subìto altri controlli al di fuori di quello sfociato poi nella sentenza di
assoluzione; ai fini della pena gli era stato Inflitto un aumento a titolo di continuazione
interna (un anno di reclusione e 2.000,00 euro di multa in primo grado, poi ridotto in
appello a sei mesi di reclusione ed euro 1.000,00) – sul presupposto che le telefonate con il
Leone potessero accreditare l’ipotesi che la cessione della cocaina di 11,6 grammi non fosse
stata la sola – senza tuttavia ancorare tale convincimento al benché minimo elemento
probatorio diverso da quell’unico episodio di detenzione di cocaina oggetto di sentenza di
assoluzione passata in giudicato; le parole “impegni” e “programma”, dal primo giudice
ritenute rivelatrici di un linguaggio criptico che avrebbe mascherato illecite attività
concernenti la droga, erano viceversa del tutto compatibili con la sua attività lavorativa.
A fronte di tali specifiche deduzioni, la Corte territoriale ha riproposto sostanzialmente i
medesimi argomenti addotti dal primo giudice, eludendo le deduzioni difensive sottoposte al
suo vaglio, e valorizzando una situazione di “droga parlata” ritenuta riferibile ad attività di
spaccio senza però indicare elementi idonei a dar prova concreta di contatti – quanto meno
telefonici – tra il Guglielmino e potenziali acquirenti, né circostanze cui poter ancorare il
convincimento della disponibilità in più occasioni da parte del Guglielmino di droga da
destinare allo spaccio, e tali quindi da poter legittimare una sentenza di condanna “oltre
ogni ragionevole dubbio” ed un conseguente trattamento sanzionatorio caratterizzato anche
da un aumento di pena a titolo di continuazione. La stessa telefonata del 9 marzo 2005 cui
allude la Corte d’Appello (pagg. 12 e 13 della sentenza impugnata) – che peraltro avrebbe
avuto ad oggetto la marijuana (pag. 13 della sentenza della Corte d’Appello), e non
cocaina – non risulta collegata ad alcun quantitativo di marijuana né è stato precisato se poi
quella cessione di marijuana, dal Leone al Guglielmino, vi sia stata effettivamente; così
come non è stato indicato a quale acquisto avrebbero dovuto essere eventualmente
destinati i mille euro che, come risulterebbe da una telefonata tra il Guglielmino ed il Leone,
costituiva l’importo di un assegno che il Guglielmino stesso aspettava di incassare, dopo che
il Leone gli aveva detto che stava aspettando “l’erba che Dio aveva maledetto”: mette conto
sottolineare, al riguardo, che a pag. 17 della sentenza di primo grado si afferma che
all’appuntamento poi fissato presso la casa del Leone questi aveva dato al Guglielmino

di gran lunga superiore ai valori normali – dimostravano che egli non acquistava dal Leone

cocaina pari a grammi 11,6 – da cui poter ricavare circa 30 dosi – oggetto però della
sentenza di assoluzione (per la ritenuta destinazione di detta sostanza ad uso personale,
con conseguente impossibilità di porre tale specifico episodio a fondamento di una
dichiarazione di penale responsabilità). Né risulta dalle sentenze di primo e secondo grado
alcun contatto tra il Guglielmino e soggetti eventualmente destinatari della droga che il
Guglielmino stesso avrebbe dovuto spacciare.
La sentenza impugnata deve essere dunque annullata anche nei confronti del Guglielmino,
evidenziato.

7. – Passando all’esame delle posizioni degli altri ricorrenti, il Collegio rileva l’infondatezza
dei motivi posti a sostegno dei rispettivi ricorsi.
7.1 Ricorso del Sapienza – Quanto all’eccezione in rito si rimanda a quanto già sopra
esposto (paragrafo 4).
Le doglianze concernenti l’affermazione di colpevolezza presentano profili ai limiti della
inammissibilità perché sostanzialmente relative ad apprezzamenti di merito e valutazioni
probatorie non deducibili in sede di legittimità perché sorretti da motivazione adeguata e
priva di connotazioni di illogicità.
Nella concreta fattispecie, invero, la decisione impugnata si presenta formalmente legittima
ed i suoi contenuti motivazionali – quali sopra riportati nella parte narrativa in relazione alla
posizione del Sapienza, e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue
ripetizioni – forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e
valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti posti dalla
difesa dell’imputato. Con le dedotte doglianze il ricorrente, per contrastare la solidità delle
conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito, non ha fatto altro che riproporre in questa
sede – attraverso considerazioni e deduzioni svolte in chiave di puro merito – tutta la
materia del giudizio, adeguatamente trattata, in relazione ad ogni singola tematica, dalla
Corte territoriale. Sicchè le critiche mosse alla sentenza impugnata si risolvono in censure
che tendono ad una diversa valutazione delle risultanze processuali. In tema di sindacato
del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la
propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, ma solo quello di stabilire se
questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, dandone una corretta
e logica interpretazione, con esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti; se
abbiano, quindi, correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle
argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di
altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). E poiché
il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione
normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o – a seguito della modifica
apportata all’art. 606.1, lett. e), c.p.p. dall’art. 8 della L. 20.2.2006, n. 46 – da “altri atti

d

con rinvio, per nuovo esame del compendio probatorio tenuto conto di quanto sopra

del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame”, tanto comporta, quanto al
vizio di manifesta illogicità, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che
l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro

verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra
interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul piano logico;
ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al
suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o
27.9.1995, n. 30; id., Sez. Un., 30.4.1997, n. 6402; id., Sez. Un., 24.11.1999, n. 24; in
termini sostanzialmente identici, ancorché con riferimento alla materia cautelare, Sez. Un.,
19.6.1996, n. 16; e non dissimilmente, Sez. Un., 27.9.1995, n. 30; id., Sez. Un.,
25.10.1994, n. 19/1994; e, con riguardo al giudizio, Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996;
id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). Inoltre, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma
dell’art. 606.1, lett. e), c.p.p., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare
percepibile ictu °culi, proprio perché l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della
decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione limitarsi – come s’è detto – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle
acquisizioni processuali (Cass., Sez. Un., 24.9.2003, n. 47289; id., Sez. Un., 30.11.2000, n.
5854/2001; id., Sez. Un., 24.11.1999, n. 24).
E’ solo il caso di aggiungere come il giudice di seconda istanza abbia sottolineato, quale
circostanza significativa, che il Leone non aveva contestato il tenore delle telefonate in cui
risultava coinvolto il Sapienza, che avevano portato alla condanna del Leone stesso in
relazione al traffico illecito: e ciò, in aggiunta all’esito dell’attività di investigazione.
7.2. Posizioni Leone e Silverio – Entrambi deducono vizio di motivazione in ordine al
diniego dell’attenuante dell’ipotesi della lieve entità del fatto di cui all’art. 73, quinto
comma, del d.P.R. n. 309/90.
Anche in proposito ci si trova di fronte a censure che presentano connotazioni ai limiti della
inammissibilità. La Corte territoriale – in risposta alle deduzioni difensive – ha motivato il
proprio convincimento al riguardo sottolineando le modalità della condotta, la sistematicità
di essa, i quantitativi consistenti di droga trattati nel corso delle telefonate intercettate, le
rilevanti somme di denaro impiegate per l’approvvigionamento della droga oggetto della
illecita attività, indici questi ritenuti dalla Corte stessa del tutto dissonanti rispetto ai
parametri richiesti dalla norma speciale invocata dalla difesa degli imputati; orbene, è
appena il caso di ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte, ribadendo un principio
costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità, hanno precisato che detta
attenuante “può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della
condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri
richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza

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interpretazione, ancorché, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un.,

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che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante
l’eventuale presenza degli altri” (Sez. Un., n. 17/2000, imp. Primavera ed altri, RV.
216668): l’impugnata decisione si pone perfettamente in sintonia con tale principio.
7.2.1. Il Silverio ha inoltre denunciato vizio di motivazione relativamente al diniego
dell’attenuante della minima partecipazione al fatto ex art. 114 del codice penale ed al
mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Anche in proposito le doglianze non
colgono nel segno, posto che: a) quanto all’attenuante della minima partecipazione al fatto,

dall’imputato nella delittuosa attività, essendo emerso che egli riceveva da numerose
persone richieste di fornitura e raccoglieva denaro per l’acquisto della droga; b) le
attenuanti generiche sono state negate avuto riguardo alla condotta del Silverio il quale si
riforniva costantemente dal Leone di rilevanti quantitativi di droga: orbene le ragioni
addotte dalla Corte territoriale a sostegno del proprio convincimento in proposito, risultano
adeguate e congrue, e del tutto conformi ai principi enunciati in materia dalla giurisprudenza
di legittimità secondo cui “ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al
diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in
considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli
spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione
delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo”
(in tal senso, tra le tante, Sez. 1, N. 3772/94, RV. 196880).
7.2.2. Anche il Leone ha denunciato vizio di motivazione in ordine al diniego delle
attenuanti generiche: in primo luogo mette conto sottolineare che in proposito non era stata
sollevata questione con i motivi di appello, con conseguente inammissibilità della doglianza
in quanto dedotta per la prima volta in questa sede; a ciò aggiungasi comunque la
genericità della censura – sovrapponibile, dal punto di vista argomentativo, a quella
proposta dal Silverio per il diniego del medesimo beneficio – ed al riguardo valgono le
considerazioni già innanzi svolte esaminando l’analoga doglianza del Silverio stesso.

8. – Al rigetto dei ricorsi del Sapienza, del Silverio e del Leone segue la condanna dei
medesimi al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Siracusa Alfredo e Guglielmino Carmelo
Alessandro con rinvio alla Corte d’Appello di Catania per nuovo esame.
Rigetta i ricorsi di Sapienza Paolo, Silverio Davide Giuseppe e Leone Pasqualino Alfio che
condanna al pagamento delle spese processuali.
Roma, 27 novembre 2012

Il Presidente

Il C sigliere estensore

(Carlo Giusil

incenzo Romis) (1,0
.44,144.

/f I

5 sco)

la Corte territoriale ha ritenuto ostativo, al beneficio invocato, il contributo fornito

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

IV Sezione Penale

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