Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46996 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 46996 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MENICHETTI CARLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TATARASHVILI NATIA N. IL 19/09/1988
avverso la sentenza n. 12/2014 CORTE ASSISE APPELLO di
FIRENZE, del 13/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLA MENICHETTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 0,21cia
che ha concluso per

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Data Udienza: 12/11/2015

Considerato in fatto
Con sentenza in data 15.11.2013 all’esito di rito abbreviato il G.U.P. del Tribunale
di Prato condannava Tatarashvili Natia alla pena di anni dieci di reclusione e alla misura
di sicurezza del ricovero in casa di cura e custodia per il reato di omicidio volontario,
commesso con l’uso di un coltello da cucina in danno di Nizzi Cleofe, esclusa l’aggravante
della premeditazione, concesse le attenuanti generiche e la diminuente del vizio parziale
di mente; la assolveva contestualmente dal reato di rapina aggravata (art.628 commi 1 e

stessa Nizzi indosso alla propria persona e all’interno dell’abitazione in cui era avvenuto il
fatto, sul rilievo che l’imputata non aveva agito per fine di profitto ma con l’intento di
inscenare una rapina per sviare i sospetti.
La sentenza veniva appellata dal difensore dell’imputata, che si doleva del
mancato riconoscimento del vizio totale di mente, e dal P.G., che chiedeva la condanna
anche per il delitto di rapina, sulla duplice considerazione che la Tatarashvili aveva agito
per impossessarsi dei beni, occultati nella fodera del giubbotto in modo da renderli
trasportabili, e ne aveva tratto comunque profitto, inteso come utilità morale, con
violenza antecedente alla condotta di rapina.
La Corte d’Assise d’Appello di Firenze condivideva parzialmente il gravame del
P.G. rilevando che l’episodio relativo alla sottrazione dei gioielli non potesse qualificarsi
come rapina, posto che il proposito criminoso era certamente assente prima e durante la
condotta onnicidiaria, ed era maturato dopo un lasso di tempo tale da escludere ogni
rapporto causale con la violenza esercitata sulla vittima; riteneva però che, per tentare di
sviare le indagini, l’imputata avesse posto in essere non solo manovre simulatorie e
diversive, ma una vera e propria sottrazione di cose mobili, a fine di profitto, non
necessariamente economico, utilizzando una particolare scaltrezza nel cucire i monili
all’interno della fodera del giubbotto.
Riqualificata allora la originaria imputazione nel delitto di cui agli artt.624, 625 n.2
e 61 n.2 c.p. e ritenuta la continuazione con il più grave delitto di omicidio, rideterminava
la pena inflitta in anni dieci e mesi due di reclusione, confermando nel resto l’impugnata
sentenza.
Propone ricorso l’imputata limitatamente al reato di cui al capo 2) della originaria
imputazione lamentando, come motivo principale in relazione all’elemento soggettivo, la
erronea applicazione di legge (artt.42, 43, 624 c.p.) e la contraddittorietà ed illogicità
della motivazione (art.606 comma 1 lett.b e lett.e c.p.p.), ed articolando motivi
subordinati in cui censura la mancata applicazione della diminuente di cui all’art.89 c.p. e
la violazione dell’art.522 c.p.p. in relazione alle aggravanti ritenute per il furto.
Alla odierna udienza il P.G. ha concluso per la inammissibilità del ricorso.

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3 n.1 c.p.), contestatole per essersi impossessata di monili vari e valori detenuti dalla

Ritenuto in diritto
Argomenta la ricorrente a sostegno del primo e principale motivo di gravame
come non vi fosse stata alcuna “sottrazione” dei beni della vittima, cuciti unitamente ai
propri all’interno di un giubbotto solo per tentare di inscenare una rapina ad opera di
terzi e sviare le indagini sull’omicidio della Nizzi; deduce ancora che – pur nella
consapevolezza che il profitto può rivestire anche una mera connotazione morale – è
necessario che il vantaggio promani comunque direttamente dal bene e non dalla sua

cosa. Diversamente, in base all’assunto difensivo, si perverrebbe ad una dilatazione
eccessiva del dolo di furto, a maggior ragione ove l’autore voglia commettere altro reato
offensivo di diverso bene giuridico, nel caso di specie la simulazione di reato, esclusa dal
primo giudice in quanto la condotta di per sé non era idonea a determinare neppure
l’inizio di un procedimento penale, stante l’immediata spontanea confessione e la palese
mal destrezza del tentativo di “depistaggio”.
Di qui la asserita violazione di legge ed il vizio motivazionale della sentenza di
appello.
Il rilievo è fondato.
La prevalente dottrina e giurisprudenza, nell’interpretare gli elementi costitutivi
del reato di furto ed in particolare il dolo specifico, ritengono che il profitto avuto di mira
dall’agente possa consistere in una qualsiasi utilità o vantaggio, anche di natura non
patrimoniale; si è obiettato però che una dilatazione del concetto di profitto, fino a
ricomprendere un qualunque vantaggio anche non patrimoniale, porterebbe ad una
eccessiva estensione dell’operatività della norma, vanificando la presenza del dolo
specifico e svilendola ad una connotazione priva di una vera valenza limitativa della
punibilità.
Ciò posto, come già affermato da questa Corte (Sez.IV, 16.12.2009, n.47997),
deve ritenersi che il dolo specifico del reato di furto sia integrato dalla finalità di percepire
dal bene asportato un’utilità diretta, non mediata, anche se non di carattere economico,
finalità realizzata con l’impossessamento della cosa mobile altrui commesso con
coscienza e volontà in danno della persona offesa.
Nel caso di specie, nessun beneficio diretto l’imputata aveva intenzione di trarre
dai monili della vittima, essendosi ella limitata ad inscenare un tentativo assai maldestro
di sviare le indagini verso un’ipotesi di rapina ad opera di ignoti, tentativo destinato a
rimanere privo di alcuna utilità, sia per la modalità grossolana della condotta posta in
essere, sia per la immediata confessione resa dalla Tatarashvili agli operanti intervenuti
sul posto (tanto da non essere ipotizzabile neppure una simulazione di reato).
Né, sotto diverso aspetto, può ritenersi integrata la condotta di impossessamento,
da intendersi come comportamento di colui che si impadronisce di un bene sottraendolo

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scomparsa, ove il soggetto agente non intenda trarre in via diretta alcuna utilità dalla

definitivamente alla sfera patrimoniale del detentore, persona offesa, ed acquisendone
così l’autonoma disponibilità, anche per un breve lasso di tempo.
Anche sotto tale profilo infatti appare dubbio che l’occultamento dei beni da parte
dell’imputata, con le modalità dell’agire di cui si è detto, possa costituire condotta
appropriativa – risultato cioè della sottazione e a seguire dell’impossessamento – per
difetto dell’elemento oggettivo, atteso che i beni erano stati solo momentaneamente
“nascosti” alla vista degli agenti intervenuti per i rilievi a seguito dell’omicidio, per un

integrare con certezza il comportamento tipizzato dalla norma incriminatrice per il furto
ma che, dettato come già detto da una ragione diversa, rimane – stante la particolarità
della fattispecie – penalmente irrilevante.
Per tali considerazioni l’impugnata sentenza va annullata senza rinvio
limitatamente al capo 2) oggetto di ricorso perché il fatto non sussiste, con passaggio in
giudicato della pronuncia di condanna per omicidio volontario.
Poiché per il reato di cui al capo 2) era stato determinato l’aumento di pena di
mesi due di reclusione, in continuazione con la pena di dieci anni inflitta per l’omicidio,
tale aumento deve essere eliminato e deve essere disposta la scarcerazione dell’imputata
limitatamente a tale reato, essendo ella detenuta anche a tale titolo.
L’accoglimento del primo motivo rende ultroneo l’esame di quelli subordinati.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata
limitatamente al reato di furto aggravato di cui al capo 2) della rubrica (così modificata
l’originaria imputazione di rapina aggravata) perché il fatto non sussiste.
Elimina l’aumento di pena determinato in mesi due di reclusione per questo reato
in aumento per la continuazione con il reato di omicidio volontario e dispone la
scarcerazione dell’imputata limitatamente al reato di furto aggravato.
Dichiara l’irrevocabilità delle sentenze di merito per quanto riguarda la condanna
per omicidio volontario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 novembre 2015

Il Consi

ensore

Presidente

lasso di tempo talmente breve, data la immediata confessione dell’imputata, da non

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