Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4699 del 20/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 4699 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: ROMBOLA’ MARCELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRINI ALESSANDRO N. IL 20/03/1970
avverso la sentenza n. 172/2011 TRIBUNALE di SULMONA, del
18/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARCELLO ROMBOLA’
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per Q2hte,suo-Vi-L.,`”Q.JTC’

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 20/11/2013

Ritenuto in fatto
Con sentenza 18/6/12 il Tribunale di Sulmona condannava Ferrini Alessandro, con le attenuanti
generiche, alla pena (sospesa) di euro 200 di ammenda per il reato (in Sulmona, nel gennaio
2009) di molestia o disturbo alle persone in danno di Pietrorazio Anna e Maccarone Antonino.
Con le disposizioni in favore delle costituite parti civili.

Appellava la difesa (l’appello era convertito in ricorso per cassazione), deducendo insussistenza
dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, dall’istruttoria dibattimentale essendo emerso
come nel gennaio del 2009 il Ferrini si limitasse ad esigere quanto contrattualmente convenuto
appena due mesi prima con la Pietrorazio e con il suo convivente Maccarone e dalla conduttrice
ingiustificatamente autoridotto (con gravi conseguenze sulle esposizioni debitorie del Ferrini
medesimo verso terzi creditori) e come la sua condotta, a tutto concedere, fosse scriminata
dall’esercizio di un diritto; comunque assenti la petulanza o altro biasimevole motivo voluti dal
reato contestato (il teste Di Cintio, brigadiere dei CC due volte intervenuto, aveva confermato
che tra le parti vi era controversia per il pagamento di canoni scaduti; la diffida del Maccarone,
che denunciava improbabili molestie del Ferrini, era contraddetta dalla nota 7/1/09 della stessa
Pietrorazio che nel motivare l’autoriduzione del canone sottolineava come il Ferrini non si fosse
fatto vedere per riscuotere l’affitto di gennaio; non solo la Pietrorazio si era sottratta al proprio
debito, ma aveva mantenuto il possesso del chiosco – apportandovi anche abusive e dannose
modifiche – fino al giugno 2010, quando il Ferrini aveva ottenuto il rilascio con ricorso ex art.
700 cpc). Chiedeva l’assoluzione ai sensi del I o del II co. dell’art. 530 cpp_
Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso. Nessuno compariva per le parti private.
Considerato in diritto
Il ricorso, manifestamente infondato e in fatto, è inammissibile. Concepito come appello contro
una sentenza inappellabile (art. 593.3. cpp) e diversamente qualificato per favor impugnationis
(art. 568.5. cpp), risente dell’originaria impostazione. La ricostruzione o valutazione difensiva
dei fatti, funzionale alla versione della legittimità della condotta posta in essere dal Ferrini per
la soddisfazione di un suo diritto di natura civile, per un verso deve comunque cedere a quella
motivatamente e correttamente operata dal giudice e per altro verso deve prendere atto della
norma, penale, contestata: l’avere arrecato molestia o disturbo alle persone per petulanza o
altro biasimevole motivo. Ferma, cioè, la congrua ricostruzione dei fatti operata dal giudice di
merito (altra che fosse proposta sarebbe estranea al giudizio di legittimità), la valutazione degli
stessi in chiave civilistica è un fuor d’opera: non qualunque mezzo è lecito per perseguire un
diritto di natura civile (qui contrattuale), ma solo quelli previsti dall’ordinamento. Nella specie il
Ferrini ha trasmodato, ponendo in essere condotte querule e (appunto) petulanti. In non altro
si traducono le frequenti visite al negozio e i non richiesti consigli circa la sua conduzione, né
tale frequenza è contraddetta dalla nota della Pietrorazio del 7/1/09, evidentemente limitata ai
primi giorni di quel mese. La condotta dell’imputato, lungi dall’essere scriminata dall’esercizio
di un diritto (ex art. 51 cp: l’esimente in parola non può trovare applicazione quando il diritto è
dubbio o oggetto di una controversia giuridica non ancora definita), confina se mai, in quanto
sostenuta da rivendicazioni giuridiche (nel caso in esame esenti, però, da espressioni violente
o minacciose), con il reato di ragion fattasi (l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui agli
artt. 392 e 393 cp).
1

cr-

L’accusa era di essersi recato ripetutamente presso il bar Happy Hippo, di cui era proprietario,
interferendo nella sua conduzione e pretendendo dalla conduttrice Pietrorazio che lo gestiva col
Maccarone canoni di locazione oltre il dovuto.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente (art. 616 cpp)
al pagamento delle spese processuali e di una congrua somma alla Cassa delle ammende.
Pqm
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Roma, 20/11/13

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