Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46988 del 08/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 46988 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
1) Aspri Benedetto nato a Messina il 25/9/1961
2) Bilardo Lorenzo nato a Barcellona P.G. il 17/5/1961
3) D’Arrigo Tommaso nato a Messina il 4/12/1968
4) De Salvo Felicia nata a Messina il 31/5/1967
5) Venuti Nunzio nato a Messina il 23/8/1964
avverso la sentenza del 16/7/2012 della Corte d’Appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.
Aurelio Galasso, che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi;
uditi gli avvocati Giovanni Aricò e Scordo Antonio che hanno concluso per
accoglimento dei ricorsi proposti con annullamento della sentenza impugnata;

RITENUTO IN FATTO

1

Data Udienza: 08/11/2013

1.

Con sentenza in data 16/7/2012, la Corte d’Appello di Appello di Messina,

in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale
di Messina del 9/3/2011,

rideterminava la pena inflitta ad Aspri Benedetto per i reati a lui ascritti di
cui ai capi C) 110, 81 cpv., 644 comma 5 nn. 3, 4 e 5 cod. pen., D) 110,
81, 629 cod. pen. , 7 legge n. 203 del 1991 e 7 legge n. 575 del 1965, E)
110, 81 cpv., 644 comma 5 nn. 3, 4, e 5 cod. pen., F) 110, 81 cpv., 644

cod. pen., previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 629 cpv. n. 3 cod.
pen. ed assoluzione dal reato allo stesso ascritto al capo B), in anni sette e
mesi otto di reclusione ed C 2.000,00 di multa;

riduceva la pena inflitta a Bilardo Lorenzo, per il reato allo stesso ascritto di
cui al capo EE) 81, 110, 643 cod. pen. ad anni due di reclusione ed C
300,00 di multa;

rideterminava la pena inflitta a D’Arrigo Tommaso, per il reato allo stesso
ascritto di cui al capo EE) 81, 110, 643 cod. pen., previa concessione delle
attenuanti generiche, in anni due di reclusione ed C 300,00 di multa con il
beneficio della sospensione condizionale della pena;

rideterminava la pena inflitta a De Salvo Felicia., per il reato alla stessa
ascritto di cui al capo AA) 81 cpv., 648 bis cod. pen, previa concessione
delle attenuanti generiche, in anni due di reclusione ed C 1.500,00 di multa
con il beneficio della sospensione condizionale della pena;

rideterminava la pena inflitta a Venuti Nunzio, per i reati allo stesso ascritti
di cui ai capi A) 110, 81 cpv. 629 cod. pen., B) 110, 81 cpv., 644 comma 5
nn. 3, 4 e 5, C) 110, 81, 644 comma 5 nn. 3, 4 e 5 cod. pen., D) 110, 81
cpv., 629 cod. pen., 7 legge 203/1991, 5 legge 575/1965, E) 110, 81, 644
comma 5 nn. 3, 4, e 5, F) 110, 81 cpv, 644 comma 5 n. 3, 4, e 5 cod.
pen., F1), G) 81 cpv. 644 comma 5 nn. 3 e 4 cod. pen., G1), H) 81 cpv.

comma 5 nn. 3, 4, e 5 cod. pen., S) 110, 81 cpv., 644 comma 5 nn. 3 e 4

644 comma 5 nn. 3 e 4 cod. pen., I) 629 cod. pen., L) 81 cpv, 644 comma
5 nn. 3 e 4 cod. pen., M) 110, 81. cpv., 644 comma 5 nn. 3, 4 e 5 cod.
pen., N) 81 cpv. 644 comma 5 n. 3 cod. pen., 0) 81 cpv, 629 cod. pen., P)
81 cpv., 644 comma 5 nn. 3 e 4 cod. pen., Q) 81 cpv. 56, 629 cod. pen., R)
81 cpv., 644 comma 5 nn. 3 e 4 cod. pen., S) 110, 81 cpv., 644 comma 5
nn. 3 e 4 cod. pen., T) 81 cpv. 644 comma 5 nn. 3 e 4 cod. pen. in esso
assorbito il capo V) 81 cpv. 644 comma 5 n. 3 cod. pen., U) 629 cod. pen.,
CC) 110, 81 cpv. 12 quinquies comma 1 d.l. n. 306 del 1992 conv. in I. n.
356 del 1992, DD) 110, 497 bis cod. pen., esclusa in relazione al capo d)

2

_h–

l’aggravante di cui all’art. 629 cpv. n. 3 cod. pen. e ritenuta la
continuazione, in anni dieci e mesi due di reclusione ed C 6.000,00 di
multa;
1.1. La Corte di Appello di Messina, respingeva le censure mosse con gli atti
d’appello proposti dagli imputati; segnatamente quello proposto da Venuti in
ordine alla richiesta assoluzione dai reati ascrittigli ai capi da B) ad S) per
mancanza dell’elemento soggettivo del reato, sulla configurabilità dell’estorsione in

dell’estorsione in danno di D’Arrigo Tommaso di cui ai capi T) ed U), in ordine alla
certezza del rapporto usuraio in relazione al reato di cui al capo R), in ordine alla
vicenda del Romeo, in ordine alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 7
legge n. 203 del 1991, comune anche ad Aspri, in ordine alla configurabilità del
reato di falsificazione del documento d’identità di cui al capo DD) ed in ordine al
reato di intestazione fittizia ed alla confisca dei beni; quello proposto da Aspri in
ordine al ruolo dallo stesso ricoperto nelle vicende di cui al capo d’imputazione,
alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991, alla
configurabilità dell’usura in danno di Piccolo Salvatore di cui al capo F) e
dell’usura in danno di Formica Domenico e di Pirri Vincenzo di cui ai capi E) ed S);
quello proposto da De Salvo Felicia in ordine alla sussistenza dell’elemento
soggettivo di cui all’art. 648 bis cod. pen.; quelli proposti da D’Arrigo Tommaso e
Bilardo Lorenzo in ordine alla configurabilità del delitto di cui all’art. 643 cod. pen.
per la mancanza nel Migliardo delle condizioni di infermità psichica indicate dalla
norma.

2.

Avverso tale sentenza propongono separati ricorsi gli imputati, sollevando i

seguenti motivi di gravame:
Aspri Benedetto:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.
b), d) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. ed agli artt.
56 e 629 cod. pen. Si duole, in particolare, che nella sentenza impugnata si
riprendano le argomentazioni contenute nella decisione di primo grado senza tener
conto di quanto evidenziato nei motivi di gravame, con particolare riferimento al
ruolo svolto dal ricorrente nell’usura ed estorsione in danno di La Fauci Giuseppe
che non potrebbe rientrare nello schema tipico del concorso nel reato.
2.2. violazione di legge e motivazione illogica o mancanza, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta integrazione
dell’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991.

3

danno di La Spada Ciro di cui al capo A), sulla configurabilità dell’usura ed

2.3. violazione di legge e motivazione mancante o illogica e contraddittoria, ai
sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b), c), d) ed e) cod. proc. pen., in relazione ai
reati di cui ai capi E), F) ed S). Si duole ancora che la sentenza impugnata
richiami alla lettera la motivazione della decisione di primo grado.
2.4. violazione di legge in relazione alla determinazione del trattamento
sanzionatorio e difetto di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti
generiche. Si duole, al riguardo, che come pena base sia stata presa in esame

all’art. 628 cod. pen.), applicandosi il principio di cui all’art. 63 comma 4 cod. pen.
solo all’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991 ed inoltre eccepisce la
mancanza di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche.
Bilardo Lorenzo
2.5. violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., in
relazione all’art. 643 cod. pen. Evidenza al riguardo che non sussisteva con
certezza lo stato di degrado psichico della persona offesa.
2.6. violazione di legge, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in
relazione agli artt. 110 e 643 cod. pen., essendo carenti nella fattispecie i
presupposti del concorso nel reato contestato.
2.7. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod. proc. pen., in relazione al diniego delle attenuanti generiche.
D’Arrigo Tommaso
2.8. violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., in
relazione all’art. 643 cod. pen., per la carenza prova sullo stato di deficienza
psichica o infermità del soggetto passivo.
2.9. violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b), in relazione agli
art. 643 cod. pen. e 530 comma 2 cod. proc. pen. per essere carente la prova che
il comportamento del Migliardo sia frutto di coercizione da parte del ricorrente.
2.10. illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma
1 lett. e) cod. proc. pen. Ci si vuole riferire, in particolare, alle generiche
condizioni di vita della persona offesa che non influivano sulla sua capacità di
discernimento in merito a scelte finanziarie.
2.11. carenza di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc.
pen., mancando qualsiasi argomentazione sul concreto comportamento che
sarebbe stato posto in essere dal ricorrente.
2.12. violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., in
relazione all’art. 133 cod. pen.; ci si duole della mancata applicazione della pena

4

quella prevista per il reato già circostanziato di cui al capo D) (629 in relazione

nel minimo con tutti i benefici.
De Salvo Felicia
2.13. violazione di legge nonché carenza, contraddittorietà ed illogicità della
motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in
relazione all’art. 648 bis cod. pen. Rileva, al riguardo, che non sono state prese in
considerazione le dichiarazioni delle vittime di usura e quanto riferito dal Venuti in
sede di interrogatorio; evidenzia al riguardo non essere emersa la prova che la

stessa negoziati ne costituissero il relativo provento.
2.14. violazione di legge e carenza assoluta di motivazione, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’errata qualificazione
giuridica del fatto che doveva essere inquadrato nell’ambito della violazione
dell’art. 12 quinquies legge n. 356 del 1992.
Venuti Nunzio avv. Aricò
2.15. mancanza assoluta di motivazione ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed
e) cod. proc. pen. Evidenzia che la sentenza impugnata non contiene alcun
elemento da cui inferire le ragioni di condivisione del percorso argomentativo
seguito dal giudice di primo grado, al quale si fa semplice rinvio. Rappresenta che
con l’atto di appello erano stati introdotti specifici temi nuovi che incidevano sulle
conclusioni alle quali era pervenuto il Tribunale e che sono stati del tutto
pretermessi dai giudici di appello.
2.16. Violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1
lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 644, 629, 393 cod. pen. Si
duole della mancata considerazione della prospettazione difensiva in base alla
quale le richieste di restituzione di somme non scaturissero da un patto usurario,
costituendo invece una richiesta di restituzione del capitale e dei relativi utili
versati dal ricorrente a titolo di partecipazione in attività commerciali intraprese
dalle persone offese. Rappresenta poi come il mancato accertamento della
sussistenza del tasso usurario abbia impedito di distinguere fra il delitto di ragion
fattasi e quello più grave di estorsione.
2.17. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 629 cod. pen. Con specifico
riferimento al reato di cui al capo A), evidenzia la contraddittorietà della
motivazione, laddove pur riconoscendo un interessamento iniziale da parte del
ricorrente nella pratica relativa ad un rimborso dovuto alla persona offesa in
relazione ad un incidente stradale, omette di verificare se la pretesa vantata dal
Venuti fosse effettivamente ingiusta.

5

P,ìÀ-

ricorrente fosse consapevole che il Venuti praticasse l’usura e che i titoli dalla

2.18. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 644 cod. pen. Con specifico
riferimento all’usura ed all’estorsione in danno di D’Arrigo di cui ai capi T) ed U),
evidenzia come non era stato possibile calcolare il tasso d’interesse applicato, il
che si riverbera anche sul delitto di estorsione che dipendeva sul piano probatorio
da quello di usura.
2.19. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.

quella di cui al punto che precede viene mossa in relazione al reato di cui al capo
R).
2.20. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 644 e 629 cod. pen. Con specifico
riferimento ai reati di cui ai capi P) e Q), pure viene sollevata l’eccezione relativa
al mancato accertamento della natura usuraia del finanziamento.
2.21. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod. proc. pen., in relazione alla contestazione della circostanza
aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991 con riguardo al reato di cui al
capo D). Rileva al riguardo essere inidonea la generica minaccia, profferita
dall’Aspri, ad essere qualificata mafiosa.
2.22. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 497 bis cod. pen. con riferimento al
capo DD), per non essere stato considerato il mancato sequestro del documento,
al fine di verificare che si trattasse di un documento valido per l’espatrio.
2.23. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 12 sexies legge n. 356 del 1992.
Eccepisce la mancata valutazione della circostanza relativa alla riscossione da
parte del Venuti di due polizze assicurative del valore di circa 300.00 euro.
2.24. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod. proc. pen., in relazione al trattamento sanzionatorio ed alla mancata
concessione delle attenuanti generiche.
Venuti Nunzio avv. Scordo
2.25. violazione di legge e motivazione illogica o mancante, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 629 e 644 cod. pen.
Si duole in particolare che non sia stato considerato quanto riferito dal Venuti nel
corso dell’interrogatorio in ordine alle finalità delle operazioni intercorse con le
persone offese.
2.26. violazione di legge e motivazione manifestamente illogica, ai sensi dell’art.

6

b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 644 cod. pen. Doglianza analoga a

606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 comma 3
cod. proc. pen. e 629 cod. pen. con riferimento al reato di cui al capo A).
Evidenzia al riguardo che la persona offesa si era rivolta al ricorrente perché si
occupasse della liquidazione di un danno subito in un incidente stradale.
2.27. violazione di legge e motivazione illogica o mancante, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 comma 3 cod.
proc. pen., 629 e 644 cod. pen. con riferimento ai reati di cui ai capi T) ed U).

reato connesso di cui al capo EE), dovevano essere valutate ai sensi dell’art. 192
comma 3 cod. proc. pen. Rileva che il fatto di cui al capo U) doveva essere
ricondotto all’ipotesi dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni in relazione ad un
credito vantato dal Venuti nei confronti del D’Arrigo.
2.28. violazione di legge e motivazione illogica o mancante, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 644 cod. pen. con
riferimento al capo R). Rappresenta, al riguardo, che la conversazione intercettata
posta a fondamento del giudizio di responsabilità ha un significato equivoco
inidoneo a pronunziare una sentenza di condanna.
2.29. violazione di legge e motivazione illogica o mancante, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 644, 56 629 cod.
pen. con riferimento ai capi P) e Q). Rappresenta, al riguardo, che la
conversazione intercettata posta a fondamento del giudizio di responsabilità ha un
significato equivoco inidoneo a pronunziare una sentenza di condanna.
2.30. violazione di legge e motivazione illogica, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod. proc. pen., in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 7
legge n. 203 del 1991. Evidenzia, al riguardo, che l’autore della minaccia non è
risultato inserito né vicino ad alcuna organizzazione criminale di tipo mafioso e che
l’espressione profferita non può essere da sola ritenuta evocativa di un contesto di
intimidazione mafiosa.
2.31. violazione di legge e motivazione illogica o mancante, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 497 bis con riferimento
al capo DD). Evidenzia al riguardo non esservi traccia del corpo di reato, non
potendosi quindi verificare che si fosse trattato di un documento valido per
l’espatrio.
2.32. violazione di legge e motivazione mancante, ai sensi dell’art. 606 comma 1
lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62 bis e 99 cod. pen. per la
mancata concessione delle attenuanti generiche e l’applicazione della recidiva.
2.33. violazione di legge e motivazione illogica o mancante, ai sensi dell’art. 606

7

Evidenzia, al riguardo, che le dichiarazioni del D’Arrigo, in quanto imputato del

comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 12 sexies legge n. 356
del 1992 per non essere stata valutata la consulenza tecnica che ha ricostruito
l’attività svolta dal Venuti ed in particolare le disponibilità economiche possedute
dallo stesso.
2.34. violazione di legge e motivazione illogica o mancante, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli art. 81 e 133 cod. pen.
con riferimento al calcolo dell’aumento per la continuazione ed al mancato rispetto

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi devono essere rigettati per essere infondati tutti i motivi proposti.
3.1. Con riferimento al primo motivo di ricorso proposto da Aspri Benedetto,
rileva il Collegio che nella sentenza impugnata è stata data adeguata risposta
alle doglianze sollevate con i motivi di gravame in ordine al ruolo che aveva
assunto il ricorrente nei fatti di usura ed estorsione descritti nell’imputazione. In
tal senso viene dato atto, sulla base delle risultanze delle intercettazioni
telefoniche, con motivazione immune da vizi di legittimità, che Aspri Benedetto
gestiva <>. Si tratta di una questione che era già stata proposta in
appello e sulla quale la Corte territoriale si era già pronunciata in maniera
esaustiva, senza errori logico – giuridici. In particolare, anche attraverso un
rinvio alla decisione di primo grado, viene ribadito un giudizio di generale
attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni hanno trovato riscontro
nella documentazione dalla stessa fornita e nelle intercettazioni telefoniche.
In punto di diritto occorre, poi, rilevare che la sentenza di primo grado e
quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si
integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola
entità logico giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di pronuncia
conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare

per relationem

a

quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di
specifiche censure (sez. 1, n. 4827 del 18/3/1994, Rv. 198613; Sez. 6 n. 11421
del 29/9/1995, Rv. 203073). Inoltre, la giurisprudenza di questa Suprema Corte
ritiene che non possano giustificare l’annullamento minime incongruenze
argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione che, ad avviso
della parte, avrebbero potuto dar luogo ad una diversa decisione, sempreché tali
elementi non siano muniti di un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e
non risultino, di per sè, obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare
una diversa decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della
motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati elementi
probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata
estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a
confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione
globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano
realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la
compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in

9

gif

come interessato all’operazione e non è un caso che alcuni incontri si svolgano

quest’ultimo caso, implicitamente confutati. (Sez. 5 n. 3751 del 15/2/2000, Rv.
215722; Sez. 5 n. 3980 del 23/9/2003, Rv.226230; Sez. 5 n. 7572 del
22/4/1999, Rv. 213643). Le posizioni della giurisprudenza di legittimità rivelano,
dunque, che non è considerata automatica causa di annullamento la motivazione
incompleta ne’ quella implicita quando l’apparato logico relativo agli elementi
probatori ritenuti rilevanti costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli
elementi non menzionati, a meno che questi presentino determinante efficienza

ricostruzione del fatto e da ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.
In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di secondo grado
recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo grado, correttamente
limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso
probatorio oggetto di valutazione critica da parte della difesa, omettendo, in
modo del tutto legittimo in applicazione dei principi sopra enunciati, di esaminare
quelle doglianze degli atti di appello che avevano già trovato risposta esaustiva
nella sentenza del primo giudice.
3.2. Il secondo motivo proposto da Aspri Benedetto, attinente alla ritenuta
configurabilità della circostanza aggravante di cui all’ad 7 legge n. 203 del 1991
in relazione al reato di cui al capo d), si presta ad essere esaminato
congiuntamente con l’analoga questione sollevata da Venuti Nunzio (2.21 e
2.30). Rileva, al riguardo, in via preliminare il Collegio che l’art. 7 legge n. 203
del 1991 configura due diverse ipotesi di circostanze aggravanti: la prima si
applica al reato commesso da un soggetto, appartenente o meno all’associazione
di cui all’art. 416 bis c.p., che si avvale del metodo mafioso; tale è quella
condotta idonea ad esercitare una particolare coartazione psicologica fatta di
intimidazione su un numero determinato o indeterminato di persone. Non deve
formare oggetto di prova ai fini dell’integrazione dell’aggravante l’esistenza
dell’associazione mafiosa, essendo sufficiente avere ingenerato nella vittima del
reato la consapevolezza che l’agente appartenga a tale associazione. In questo
senso si è espressa questa Corte nell’individuare la ratio della circostanza
aggravante in argomento: «La ratio della disposizione di cui all’art. 7 D.L.
152/1991 non è soltanto quella di punire con pena più grave coloro che
commettono reati utilizzando metodi mafiosi o con il fine di agevolare le
associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera più
decisa, stante la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa,
l’atteggiamento di coloro che, siano essi partecipi o meno in reati associativi, si
comportino da mafiosi, oppure ostentino in maniera evidente e provocatoria una

10

e concludenza probatoria, tanto da giustificare, di per sè, una differente

condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi, quella particolare coartazione
o quella conseguente intimidazione, propria delle organizzazioni della specie
considerata » (sez. 6 n. 582 del 19.2.1998, Rv. 210405). Invece la seconda
ipotesi di circostanza aggravante, richiedendo, per la sua integrazione, che il
reato sia commesso al fine specifico di agevolare l’attività di un’associazione di
tipo mafioso, implica necessariamente l’esistenza reale e non semplicemente
supposta di essa (sez. 1 n. 1327 del 18.3.1994, Rv. 197430). Ma non dovrà

sufficiente accertare l’oggettiva finalizzazione dell’azione all’agevolazione del
gruppo criminale e non già a favorire soltanto un partecipe di detto gruppo.
Ora dalla motivazione della sentenza impugnata emerge in modo evidente
che si è fatto riferimento alla circostanza aggravante in argomento così come
delineata nella prima fattispecie astratta sopra descritta. In tale direzione la
Corte territoriale ha valorizzato il carattere crescente delle intimidazioni poste in
essere in danno della vittima finalizzate alla completa sottomissione della stessa
e culminate nell’espressione riportata nel capo d’incolpazione ritenuta,
ragionevolmente, evocativa di un metodo riconoscibile come mafioso connesso al
potere agire indisturbato per fini illeciti in un determinato territorio; rileva al
riguardo il Collegio che trattasi di valutazione in fatto che, essendo
adeguatamente motivata in modo immune da contraddittorietà o manifeste
illogicità, si sottrae al sindacato di legittimità. Ed inoltre la valutazione effettuata
si pone in linea con la costante giurisprudenza di legittimità, dovendosi, in primo
luogo, prendere atto della natura oggettiva dell’aggravante di cui all’art. 7 legge
203/1991, attenendo la stessa ad una modalità dell’azione rivolta ad agevolare
un’associazione di tipo mafioso o ad avvalersi del metodo proprio di questa, a ciò
conseguendo che la stessa si trasmetta a tutti i concorrenti nel reato (sez. 6 n.
19802 del 22/1/2009, Rv. 244261); e quindi considerare che per la
configurabilità della stessa, nella sottospecie dell’utilizzazione del metodo
mafioso, non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di
un’associazione a delinquere, essendo sufficiente che la violenza o minaccia
assumano veste tipicamente mafiosa (sez. 1 n. 16883 del 13/4/2010, Rv.
246753; sez. 1 n. 5881 del 4/11/2011, Rv. 251830). Il motivo di ricorso per
quanto detto va rigettato.
3.3. Quanto al terzo motivo di ricorso proposto da Aspri Benedetto attinente al
giudizio di responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi E), F) ed S),
contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, dalla sentenza impugnata
emerge come le statuizioni dei giudici di prime cure siano state confermate dopo

11

essere provata l’effettiva agevolazione dell’associazione mafiosa, essendo

un’attenta valutazione delle argomentazioni proposte con i motivi di appello;
con specifico riferimento al reato di cui al capo F), viene evidenziato, con
motivazione priva di contraddittorietà o manifeste illogicità, il ruolo attivo
ricoperto dal ricorrente nella vicenda relativa all’usura in danno di Piccolo
Salvatore, emergente prima dalla circostanza, riferita dal Venuti, dell’essere lo
stesso direttamente interessato al prestito; vi è poi la descrizione dell’incontro
del 12 novembre 2008 al quale Aspri Benedetto partecipava direttamente

relazione ai reati di cui ai capi E) ed S), la Corte territoriale ha evidenziato come
dalle intercettazioni era emerso un ruolo attivo del ricorrente nella gestione del
prestito usuraio in danno delle due persone offese Formica Domenico e Pirri
Vincenzo, ruolo non soltanto evocato dal Venuti, ma risultante dall’intervento
diretto dell’imputato in fasi attuative della condotta criminosa. Anche il suddetto
motivo, limitandosi a riproporre questioni già adeguatamente affrontate, per le
ragioni sopra evidenziate in relazione al primo motivo proposto, risulta, quindi,
infondato.
3.4. Quanto, infine, alla determinazione del trattamento sanzionatorio, di cui si
occupa l’ultimo motivo di ricorso (2.4) proposto da Aspri Benedetto, rileva il
Collegio dalla lettura congiunta della sentenza di primo grado e di quella di
appello che, nella determinazione della pena, non è stato violato il principio
stabilito dall’art. 63 comma 4 cod. pen.: difatti il giudice di appello calcolato
l’aumento per la circostanza più grave, divenuta quella di cui all’art. 7 legge n.
203 del 1991, sulla pena base determinata per il reato di cui all’art. 629 comma
1 cod. pen. di cui al capo D), in anni sei e mesi otto di reclusione, nella misura di
anni tre e mesi quattro di reclusione; aumento al quale ha aggiunto, per la
seconda aggravante, in applicazione dell’art. 63 comma 4 cod. pen., un ulteriore
aumento di mesi otto di reclusione, così pervenendo alla pena finale di anni dieci
e mesi quattro di reclusione.
Con riferimento poi alla mancata concessione delle attenuanti generiche la
relativa doglianza risulta assolutamente generica, essendo priva dell’indicazione
di qualsiasi elemento che, essendo stato sottoposto alla valutazione del giudice
di prime cure e da questi non considerato, fosse meritevole di una nuova
valutazione da parte del giudice del gravame. Del resto altrettanto generica era
la doglianza proposta con i motivi di appello, contenendo esclusivamente una
richiesta di ridterminazione della pena mediante, appunto, la concessione delle
attenuanti generiche.

12

palesando la sua piena adesione al delitto in corso di svolgimento. Ed anche in

3.5. Passando al primo motivo di ricorso proposto da Bilardo Lorenzo (2.5), lo
stesso si presta ad essere esaminato congiuntamente al primo ed al terzo
motivo di ricorso proposto da D’Arrigo Tommaso (2.8, 2.10), attenendo tutti alla
questione relativa alla prova in ordine allo stato di deficienza psichica o infermità
del soggetto passivo, presupposto del reato di cui all’art. 643 cod. pen. La
medesima questione era stata proposta pressocchè negli stessi termini dinanzi al
giudice di appello e ad essa era stata data esaustiva risposta, puntuale in fatto e

vengono evidenziati una serie di fattori, quali la malattia, la trascuratezza da
parte dei parenti, l’abbandono della moglie, che hanno determinato nella persona
offesa uno stato di prostrazione e rifiuto di partecipazione alla vita quotidiana;
le suddette condizioni della persona offesa, emergenti, tra l’altro, dall’incuria
domestica, dal disagio nel vestire e nell’igiene, risultano essere state accertate
attraverso l’istruttoria dibattimentale per essere state riferite dai testi escussi ed
in particolare dalla Cucinotta. E la Corte territoriale ha bene evidenziato come
dette condizioni abbiano, decisamente, influito sulla capacità di discernimento
della persona offesa, determinando uno stato di incapacità a determinarsi in
modo autonomo e razionale perdurato fino al subentrato sostegno dei congiunti,
prima del tutto assenti.
Da un punto di vista giuridico, poi, le conclusioni alle quali sono pervenuti
I giudici di merito si pongono perfettamente in linea con la giurisprudenza di
questa Corte, condivisa dal Collegio, in base alla quale «lo stato di deficienza
psichica del soggetto passivo richiesto per la configurabilità del reato di cui
all’art. 643 cod. pen., anche inteso quale presupposto oggettivo, non è quello di
una completa assenza delle facoltà mentali o di una totale mancanza della
capacità di intendere e di volere, essendo sufficiente una minorata capacità
psichica, uno stato di deficienza del potere di critica e di indebolimento di quello
volitivo tale da rendere possibile l’altrui opera di suggestione, o tale da agevolare
l’attività di induzione svolta dal soggetto attivo per raggiungere il suo fine
illecito» (sez. 2 n. 1526 del 11/4/1984, Rv. 164188). Nella stessa direzione si è
potuto precisare, con particolare aderenza rispetto al caso di specie, che lo stato
d’infermità o di deficienza psichica della persona offesa si sostanzia in tutte le
forme, anche non morbose, di abbassamento intellettuale, di menomazione del
potere di critica, di indebolimento della funzione volitiva ed affettiva, che
rendono facile la suggestionabilità e diminuiscano i poteri di difesa contro le
insinuazioni e le insidie (sez. 2 n. 3458 del 1/12/2005, Rv. 233392).
Alla luce di tali considerazioni i motivi in esame si rivelano tutti infondati.

13

corretta in diritto. Da un punto di vista fattuale nella sentenza impugnata

3.6. Quanto al secondo motivo di ricorso proposto da Bilardo Lorenzo (2.6), la
Corte territoriale ha dato atto, con motivazione immune da vizi di legittimità,
della piena e consapevole compartecipazione dell’imputato alla realizzazione
della condotta delittuosa di cui al capo EE), evidenziando come lo stesso fosse
consapevole delle condizioni di sudditanza psicologica della persona offesa nei
riguardi del D’Arrigo e dell’insussistenza di causali di sorta idonee a giustificare i
trasferimenti di denaro dalla persona offesa in favore del D’Arrigo e poi da
quest’ultimo girati con un bonifico di C 115.000,00 al Bilardo stesso; viene poi

ulteriormente evidenziato come il ruolo attivo ricoperto dal ricorrente nella
vicenda fosse stato anche descritto dalla teste Cucinotta, la quale era stata
allontanata da entrambi gli imputati, D’Arrigo e Bilardo, con l’evidente intento di
mantenere ed occultare lo stato di sudditanza psicologica in cui versava la
vittima nei confronti del D’Arrigo.
3.7. Il diniego delle attenuanti generiche, di cui si occupa il terzo motivo di
ricorso proposto dal Bilardo (2.7), risulta adeguatamente giustificato sulla base
della oggettiva gravità dei fatti, ampiamente descritta nella decisione impugnata.
E come noto, conformemente all’orientamento espresso più volte da questa
Corte, deve rilevarsi che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi
dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa
dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria
decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria,
non può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico
apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse
dell’imputato (Sez. 6 n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419; sez. 2 n. 3609 del
18/1/2011, Rv. 249163). Ed ancora, nel motivare il diniego della concessione
delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti
decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale
valutazione (Sez. 6 n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244).
3.8. Venendo, quindi, al ricorso proposto da D’Arrigo Tommaso, del primo (2.8)
e del terzo motivo (2.10) già si è detto al precedente punto 3.6; quanto al
secondo motivo proposto (2.9), rileva il Collegio che per l’integrazione del reato
non occorre, al contrario di quanto sostenuto nel motivo di ricorso, una
coercizione del soggetto passivo, essendo invece richiesta un’induzione del
medesimo, da parte dell’agente, a compiere un atto avente conseguenze
giuridiche dannose, compiuta attraverso un’attività di pressione morale,

14

RO

1/4_1-

suggestione, spinta e persuasione e quindi attraverso l’uso di qualsiasi mezzo
idoneo a determinare o a rafforzare nel soggetto passivo il consenso al
compimento dell’atto giuridico (sez. 2 n. 4760 del 27/1/1987, Rv. 175684); e
nella stessa direzione si è ancora precisato che per la sussistenza dell’elemento
dell’induzione non è richiesto l’uso di mezzi coattivi o di artifizi e raggiri, ma è
pur sempre necessaria un’attività apprezzabile di pressione morale, di
suggestione o di persuasione, cioè di spinta psicologica che non può ravvisarsi

giuridico (sez. 2 n. 1195 del 13/12/1993, Rv. 196331; sez. 2 n. 13308 del
7/10/1999, Rv. 214659).
La Corte territoriale ha, adeguatamente, escluso che le disposizioni
patrimoniali effettuate dalla persona offesa, comportanti un depauperamento
totale dello stesso, in favore del ricorrente, fossero il frutto di una scelta
cosciente e responsabile di aiutare un amico in difficoltà economiche; viceversa
esse risultavano essere il frutto dell’attività di induzione posta in essere
dall’imputato il quale risultava incapace di reagire, come era emerso anche dalle
intercettazioni telefoniche.
Contrariamente a quanto sostenuto nel quarto motivo di ricorso (2.11)
proposto da D’Arrigo Tommaso, la sentenza impugnata contiene una più che
esaustiva descrizione della condotta posta in essere dal ricorrente che ha
determinato la persona offesa a compiere gli atti di disposizione patrimoniale in
favore del primo; detta condotta, appunto, è consistita in quell’attività di
induzione e di persuasione della vittima, avendo lo stesso colto l’occasione di
risolvere, con il denaro della persona offesa, parte dei propri debiti usurari che
aveva nei confronti del Bilardo e del Venuti.
Quanto, infine, al trattamento sanzionatorio di cui si occupa l’ultimo
motivo di ricorso proposto da D’Arrigo Tommaso (2.12), la Corte territoriale,
seguendo un percorso argomentativo immune da vizi di legittimità, ha ritenuto,
sia pure in presenza di una valutazione di oggettiva gravità e riprovevolezza dei
fatti, tenuto conto anche dell’offesa arrecata alla dignità ed al prestigio della
professione legale, di dovere rideterminare la pena irrogata al ricorrente nella
misura sopra indicata alla luce del percorso di piena collaborazione con la
giustizia dallo stesso intrapreso. Tutto ciò rappresenta valutazione in fatto che è
stata correttamente motivata e quindi non può essere censurata in questa sede.
3.8. Passando all’esame del ricorso proposto da De Salvo Felicia, il primo motivo
(2.13) non rappresenta null’altro che la reiterazione della medesima doglianza
già sollevata in sede di appello adeguatamente affrontata nella motivazione della

15

nella pura e semplice richiesta rivolta al soggetto passivo di compiere un atto

sentenza impugnata; in tal senso si è dato atto che la ricorrente, legata da un
rapporto sentimentale con il Venuti, era pienamente consapevole della valenza
illecita delle operazioni che questi le chiedeva di compiere attraverso
l’intestazione a se stessa degli assegni costituenti il provento dei delitti di usura
commessi dal Venuti; ciò era emerso, secondo i giudici di appello, anche dalle
intercettazioni telefoniche, rivelatrici della volontà di realizzare, attraverso
l’azienda di pompe funebri gestita dalla donna, un’attività di copertura per il

logicamente, valorizzati i dati oggettivi costituiti dalla presenza della ricorrente al
momento dell’arresto del Venuti in occasione dell’incontro con una persona
offesa nonché il rinvenimento nella disponibilità della stessa di un foglio
manoscritto con appunti sulle somme dovute al Venuti dai soggetti sottoposti ad
usura.
Quanto poi alla qualificazione giuridica del fatto contestato alla De Salvo
Felicia, di cui tratta il secondo motivo di ricorso (2.14), la Corte territoriale ha
ravvisato la sussistenza, oltre che dell’elemento materiale, anche di quello
psicologico del reato di cui all’art. 648 bis cod. pen., costituito, appunto, dal dolo
generico rappresentato dalla mera volontà di ostacolare l’identificazione della
provenienza delittuosa di beni, senza che occorra la presenza ulteriore di uno
scopo di profitto o di lucro (sez. 6 n. 16980 del 18/12/2007, Rv. 239843; sez. 2
n. 546 del 7/1/2011, Rv. 249445). Ed appare del tutto evidente come tale
motivazione, puntuale in fatto e corretta in diritto, impedisca una diversa
qualificazione giuridica del fatto contestato, dovendosi, peraltro, evidenziare la
natura residuale della diversa figura criminosa prevista dall’art. 12 quinquies
legge n. 356 del 1992, invocata dalla difesa, emergente dal tenore letterale
della stessa fattispecie incriminatrice laddove prevede «Salvo che il fatto non
costituisca più grave reato …».
3.9. Con riguardo al primo motivo di ricorso proposto da Venuti Nunzio, tramite
l’avv. Aricò (2.15), occorre, in via preliminare, riportarsi a quanto sopra detto in
relazione al primo motivo di ricorso proposto da Aspri Benedetto circa i rapporti
fra la sentenza di primo grado e la sentenza di appello.
Ed inoltre il motivo di ricorso proposto si rivela del tutto privo della specificità
necessaria ad instaurare il giudizio di Cassazione, facendosi riferimento a temi
nuovi che sarebbero stati introdotti nel giudizio di appello, ma omettendosi di
indicarli specificamente e limitandosi soltanto a lamentare l’incompletezza della
motivazione.

16

denaro del Venuti non proveniente dai rapporti professionali. Vengono, poi,

3.10. Quanto al secondo motivo, pure proposto dal suddetto Venuti tramite
l’avv. Aricò (2.16) che prospetta una doglianza analoga quella sollevata con il
primo motivo proposto dall’avv. Scordo nell’interesse del medesimo Venuti
(2.25), dalla lettura della sentenza impugnata emerge come i giudici di appello
abbiano adeguatamente considerato la prospettazione difensiva in ordine alla
diversa natura dei rapporti finanziari intercorsi fra il ricorrente ed i soggetti che
si è ritenuto essere sottoposti ad usura da parte dello stesso. Viene, al riguardo,

persone offese si erano rivolte al Venuti, in quanto erano attanagliate dal
bisogno immediato di liquidità, al punto da fare ritenere integrate anche le
aggravanti di cui all’art. 644 comma 5 nn. 3 e 4 cod. pen. Segnatamente i giudici
di appello hanno evidenziato che l’esame delle conversazioni intercettate presso
lo studio del ricorrente, riportate nella decisione di primo grado, avevano
dimostrato l’inconsistenza della prospettazione difensiva, essendo invece
risultata l’esistenza di una pluralità di rapporti usurari intercorsi fra il ricorrente e
diversi imprenditori.
Quanto poi al mancato accertamento del tasso usurario, la sentenza
impugnata ha illustrato, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, come
trattandosi di tassi usurari nell’ordine del 30% mensile in relazione ai quali erano
anche previste delle penali giornaliere pari C 100,00, risultava di certo provato il
superamento delle soglie previste dalla legge.
Da ultimo sul punto, in risposta alla specifica doglianza mossa con i motivi
di appello, la Corte territoriale si è curata di escludere la possibilità di configurare
nei fatti contestati all’imputato il delitto di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni con violenza alla persona, stante l’accertata ingiustizia della pretesa,
presupposto che determina l’integrazione del delitto di estorsione. In tal senso si
è affermato che l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni non può configurarsi
nell’ipotesi, analoga alla fattispecie di cui al presente ricorso, in cui si tratti di
una pretesa illegittima in relazione alla quale sia comunque impossibile il ricorso
al giudice (sez. 6 n. 39366 del 2/10/2007, Rv. 238038).
3.11. Con riguardo all’episodio di cui al capo A), di cui tratta il terzo motivo di
ricorso (2.17) proposto da Venuti Nunzio per mezzo dell’avv. Aricò nonché il
secondo motivo proposto dall’avv. Scordo (2.26), deve escludersi qualsiasi
contraddittorietà della motivazione o altri vizi di legittimità della decisione
impugnata, laddove viene evidenziato come, sulla base delle risultanze
processuali, fosse emerso che la pretesa avanzata dal ricorrente fosse
assolutamente indebita, in quanto il Venuti era privo di qualsiasi legittimazione

17

rappresentato come dagli atti sia risultato del tutto evidente che le singole

ad occuparsi a qualsiasi titolo della pratica del La Spada e neppure aveva
comprovato in alcun modo le attività che asseriva di avere svolto. Al contrario di
quanto asserito nel ricorso, la Corte territoriale ha compiutamente evidenziato
come si trattasse di pretesa del tutto illegittima, che aveva assunto i caratteri
della ritorsione e della punizione, in quanto il Lo Spada si era rivolto ad altre
persone.
3.12. Ed anche con riguardo alla questione relativa al calcolo del tasso usurario

conseguenti riflessi sul reato di estorsione di cui al capo U), questioni di cui si
occupa il quarto motivo di ricorso proposto da Venuti Nunzio tramite l’avv. Aricò
(2.18), trattasi della reiterazione dell’analoga doglianza di merito già proposta in
sede di appello e rispetto alla quale la risposta data dalla Corte territoriale
attraverso il richiamo, con riguardo alle modalità del prestito ed alla soglia dei
tassi praticati, a quanto sopra evidenziato in relazione al precedente punto 3.10,
risulta esaustiva.
Dei medesimi reati si occupa anche il terzo motivo proposto dall’avv.
Scordo (2.27); specificamente, quanto al richiamo alla violazione dell’art. 192
comma 3 cod. proc. pen., rileva il Collegio che la relativa questione, integrante
in astratto solo una violazione di legge, non è stata proposta con i motivi di
appello e, pertanto, non può essere sollevata per la prima volta in sede di
legittimità. Si tratta, come stabilito da questa Corte nel ritenere manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 606 comma 3 cod.
proc. pen. per asserito contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost. (sez. 2 n. 40240
del 22/11/2006, Rv. 235504), di una ragionevole regolamentazione del diritto di
ricorrere per cassazione per violazioni di legge dettata da ragioni di funzionalità
dell’intero sistema delle impugnazioni, in virtù delle quali tale specifica
impugnazione è ammissibile solo ove la parte abbia inteso adire i tre gradi di
giudizio. Ed inoltre la Corte territoriale ha evidenziato come la reale natura dei

in relazione al delitto di usura in danno di D’Arrigo Cosimo, di cui al capo T) con

rapporti intercorsi fra il ricorrente ed il D’Arrigo, integrante i delitti di usura ed
estorsione contestati ai capi T) ed U), era emersa, non solo dalle dichiarazioni
della persona offesa, ma anche dal tenore espressivo delle conversazioni
intercettate.
Ed anche con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo
U), la sentenza impugnata ha evidenziato l’illogicità dell’assunto difensivo,
peraltro smentito dalle intercettazioni, ribadendo l’illiceità delle pretese avanzate
dal Venuti.

18

kk/-

3.13. Stessa valutaziona di infondatezza ritiene il Collegio di dovere effettuare in
relazione alla doglianza proposta con il quinto motivo di ricorso dell’avv. Aricò
(2.19) relativa al calcolo del tasso d’interesse applicato al prestito concesso a
Longo Filippo (capo R), richiamando le considerazioni sopra svolte al punto 3.10
in ordine agli elementi in base ai quali si doveva ritenere superato il tasso soglia.
Quanto poi al quarto motivo proposto dall’avv. Scordo (2.28), pure relativo al
reato di cui al capo R), la Corte territoriale ha confermato, in modo argomentato

l’interpretazione di una conversazione intercettata fra la persona offesa e
l’imputato, dalla quale poteva evincersi la natura usuraia del rapporto e, quindi,
il superamento dei tassi soglia. Viceversa il ricorrente si limita a criticare
genericamente detta l’interpretazione, omettendo di fornire qualsiasi spiegazione
alternativa a quella fatta risultante dal senso delle parole utilizzate nelle
conversazioni riportate nella decisione di primo grado.
3.14. Ugualmente con riguardo alla determinazione del tasso usurario in
relazione al prestito concesso a Romeo Pasquale (capi P e Q), di cui si occupa il
sesto motivo di ricorso proposto dal Venuti per mezzo dell’avv. Aricò (2.20) ed il
quinto motivo proposto dall’avv. Scordo (2.29), la motivazione non è affatto
mancante, facendosi espresso rinvio alle argomentazioni sopra riportate al
precedente punto 3.10. Con riguardo poi all’interpretazione della conversazione
intercettata, la Corte territoriale ha dato atto dello stato di bisogno in cui versava
la persona offesa emergente dall’urgenza e dalle difficoltà per la stessa di fare
fronte anche al pagamento di somme modeste.
3.15. Passando, quindi, alla questione relativa al mancato sequestro del
documento di cui al capo DD), di cui tratta l’ottavo motivo di ricorso proposto da
Venuti Nunzio per mezzo dell’avv. Aricò (2.22) ed il settimo motivo proposto
dall’avv. Scordo (2.31), la Corte ha dato atto, con argomentazioni logiche che
non si prestano ad essere censurate in questa sede, che doveva essersi trattato
necessariamente, sulla base di quanto emerso dalle intercettazioni, della
falsificazione di una carta d’identità valida per l’espatrio, a nulla rilevando il
mancato sequestro del documento, attesa la precisione ed inequivocità dei
dialoghi intercettati.
3.16. Con riferimento al nono motivo di ricorso proposto dall’avv. Arico (2.23),
contrariamente a quanto sostenuto, la Corte territoriale ha dato atto della
prospettazione difensiva corredata da documentazione in base alla quale era
risultato che il Venuti aveva beneficiato del riscatto di due polizze vita per una
somma complessiva di € 300.000,00, ma l’ha »V ragionevolmente considerata

19

e ragionevole, le conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di prime cure circa

irrilevante, in quanto, evidentemente, sussistente una totale sproporzione fra i
redditi formali dichiarati e le disponibilità economiche possedute, ivi compreso i
premi pagati in relazione alle suddette polizze.
Ed anche con riferimento al nono motivo proposto dall’avv. Scordo (2.33),
la Corte territoriale ha dato atto che anche per i capitali indicati dalla difesa non
era stata provata l’origine lecita, essendo emersa l’esistenza di un capitale
circolante reimpiegato nelle relazioni usurarie e mantenuto liquido, nonché altro

tutto ingiustificata, essendo anche superiore al valore dei beni sequestrati. Deve
poi, conclusivamente sul punto, rilevarsi che la confisca è stata anche <> sulla base di quanto previsto nell’ultimo comma dell’art. 644 cod.
pen. Ed al riguardo, sulla base dei dati emersi nel giudizio, la Corte territoriale,
con argomentazioni prive di illogicità manifesta, ha considerato che gli interessi
ed altri vantaggi usurai percepiti dall’imputato abbia superato di certo la somma
di 300.000,00 – 400.000,00 euro.
3.17. Quanto all’ultimo motivo di ricorso proposto da Venuti Nunzio
tramite l’avv. Aricò (2.24) ed all’ottavo (2.32) ed al decimo motivo (2.34)
proposti dall’avv. Scordo, attinenti al trattamento sanzionatorio, alla mancata
concessione delle attenuanti generiche ed all’applicazione della recidiva, la Corte
territoriale si è limitata a rideterminare la pena in conseguenza della ritenuta
esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 629 cpv. n. 3 cod. pen.
confermando, per il resto, il trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di
prime cure, ivi compreso il giudizio di non meritevolezza delle attenuanti
generiche. Ed a quest’ultimo riguardo ha espresso un giudizio di sostanziale
congruita della pena irrogata rispetto alla gravità dei fatti commessi. E, come
noto, sul punto, conformemente all’orientamento espresso più volte da questa
Corte, deve rilevarsi che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi
dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa
dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria
decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria,
non può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico
apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse
dell’imputato (Sez. 6 n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419; sez. 2 n. 3609
del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163). E, nel caso di specie, la Corte territoriale,
oltre alle sopra richiamate circostanze oggettive inerenti al fatto di reato, ha, con
adeguata motivazione, ritenuto decisiva la personalità dell’imputato gravato da
specifici precedenti penali.

20

capitale oggetto di operazioni di reinvestimento, la cui provenienza è risultata del

4. Per il disposto dell’art. 616 c.p.p., tutti i ricorrenti vanno condannati al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Così deciso il 8 novembre 2013
Il Consigliere rel17
c
54
e jelli_Rai

Il Presidente

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA