Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46986 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 46986 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE FAZIO VALERIO N. IL 20/06/1947
avverso la sentenza n. 772/2015 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
10/04/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
diretimeetteillso-per-_,
Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso;

Ctainffifridsor.

Data Udienza: 10/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 16/4/2008, aveva dichiarato De
Fazio Valerio responsabile del reato di cui agli artt. 81, secondo comma, e 110
cod.pen. ed all’art.12, comma 5, d. Igs. 25 luglio 1998, n.286 (capo A), perché,
al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità degli stranieri,
quasi tutte donne dedite al meretricio, aveva favorito la permanenza di esse nel
territorio dello Stato, alloggiandole in diverse abitazioni, site in Bologna;

proprietari, per poi darle in sublocazione alle predette donne e agli sfruttatori
delle stesse, pretendendo un canone superiore a quello pattuito con i proprietarilocatori, nella consapevolezza che gli utilizzatori di detti immobili avrebbero
subito tali canoni fuori mercato, stante la loro condizione di irregolari, così
lucrando l’ingiusto profitto. Il Tribunale aveva riconosciuto, altresì, l’imputato
colpevole di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione in danno di
quelle donne (capi B-C-D-E), che esercitavano il meretricio negli appartamenti
predetti; nonché dei reati di cui agli artt. 81, secondo comma, e 110 cod.pen. ed
all’art. 12 comma 5, d. Igs. n.286/98 (capo F), per avere fornito a Ciobanu
Danut e Ciobanu Diana, persone straniere irregolari sul territorio dello Stato,
documentazione rappresentativa di un loro regolare rapporto di lavoro al fine di
ottenere indebitamente il permesso di soggiorno; e di cui agli artt. 48 e 479 cod.
pen., (capo G), perché a mezzo della falsa documentazione aveva tratto in
inganno i pubblici ufficiali, preposti al rilascio dei predetti permessi.

2. La Corte di Appello di Bologna, chiamata a pronunciarsi sull’appello
interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 15/3/2013, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato non doversi procedere
nei confronti del De Fazio in ordine ai reati di cui ai capi F) e G) della rubrica,
nonché in ordine ai fatti di cui ai capi A), B) e D) commessi fino al 27/12/2004,
perché estinti per intervenuta prescrizione; aveva rideterminato la pena per i
residui episodi di cui ai capi A), B) e D) e per i delitti di cui ai capi C) ed E) in
anni 4 mesi 9 di reclusione ed euro 4.500,00 di multa.

3. Con sentenza n.3213 del 16/10/2014 la Corte di Cassazione – Sezione
Terza Penale aveva annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente
ai capi A), B) e D) perché estinti per prescrizione ed aveva annullato con rinvio
alla Corte di Appello di Bologna per la rideterminazione della pena in ordine ai
delitti di cui ai capi C) ed E).

2..

abitazioni che reperiva, stipulando i relativi contratti di locazione con i rispettivi

4.

La Corte di Appello di Bologna, in sede di rinvio, ha parzialmente

riformato la sentenza del Tribunale di Bologna rideterminando la pena in anni 4,
mesi 2 di reclusione ed euro 1.700,00 di multa.

5. Valerio De Fazio propone ricorso per cassazione censurando la sentenza
impugnata per violazione dell’art.157 cod. pen. e connesso vizio di motivazione.
Il ricorrente si duole del fatto che il giudice del rinvio non abbia ritenuto
maturato il termine di prescrizione applicando la sospensione del predetto

determinata da impedimento delle parti o del difensore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Come è noto, infatti, nella giurisprudenza di legittimità è consolidato il
principio secondo il quale la sentenza di annullamento parziale pronunziata dalla
Cassazione esaurisce il giudizio in relazione a tutte le disposizioni contenute nella
impugnata sentenza e non comprese in quelle annullate, ne’ ad esse legate da
un rapporto di connessione essenziale. Invero anche nel giudizio penale,
sensibile allo sviluppo dinamico del rapporto processuale, il giudicato può avere
una formazione non simultanea, bensì progressiva: ciò accade non solo quando
la sentenza di annullamento parziale venga pronunciata nel processo cumulativo
e riguardi solo alcuni degli imputati ovvero alcune delle imputazioni contestate,
ma anche quando la stessa pronuncia abbia ad oggetto una o più statuizioni
relative ad un solo imputato e ad un solo capo d’imputazione, perché anche in
questa ipotesi il giudizio si esaurisce in relazione a tutte le disposizioni non
annullate ne’ a queste inscindibilmente connesse (Sez. 3, n. 18502 del
08/10/2014, dep.2015, Gusmeroli, Rv. 263636).

3. A maggior ragione tale intangibilità riguarda i capi della sentenza
concernenti la responsabilità penale qualora l’annullamento riguardi il solo
trattamento sanzionatorio. Ne consegue che, in caso di annullamento parziale
che abbia ad oggetto statuizioni diverse dall’accertamento del fatto-reato e della
responsabilità dell’imputato, come ad esempio l’annullamento ai soli fini della
rideterminazione della pena, la pronuncia dì condanna diviene irrevocabile, con
la conseguenza che è preclusa al giudice di rinvio la possibilità di dichiarare
prescritto il reato.

3

termine in misura superiore a 60 giorni pur trattandosi di sospensione

4. Al giudizio di rinvio non può, infatti, applicarsi il principio secondo il quale
l’obbligo di dichiarazione immediata di una causa di non punibilità determina
l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna, ove sia nel frattempo
maturato il termine di prescrizione del reato, pur quando con il ricorso per
cassazione siano stati proposti esclusivamente motivi inerenti al trattamento
sanzionatorio, posto che l’intervenuta pronuncia di annullamento parziale
preclude, secondo quanto espressamente statuito dall’art.628, comma 2,

5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00
in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 10/11/2015

cod.proc.pen., l’esame dei punti già decisi dalla Corte di Cassazione.

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