Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4698 del 20/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 4698 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FETTO DOMENICO N. IL 24/02/1957
avverso la sentenza n. 824/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
23/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARGHERITA CASSANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. – Cro-A 4_1-che ha concluso per ,`e
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 20/11/2013

Ritenuto in fatto.

1.11 23 maggio 2012 la Corte d’appello di Napoli, decidendo in sede di rinvio a

seguito della sentenza di annullamento pronunziata il 22 settembre 2011 dalla
Quinta Sezione Penale di questa Corte, confermava la pronunzia dal Tribunale di
Benevento, sezione distaccata di Guardia Sanframondo che, l’ 1 dicembre 2008,
aveva dichiarato Domenico Fetto colpevole dei reati di cui agli artt. 582, 583, 585

contestata aggravante, riuniti i reati sotto il vincolo della continuazione, lo aveva
condannato alla pena di un anno di reclusione, oltre alla rifusione delle spese in
favore della costituita parte civile.
2.L’ambito del devolutum riguardava la sussistenza della contestata circostanza
aggravante della premeditazione, non essendo stato chiarito se l’imputato si fosse
deliberatamente posto armato in attesa della vittima.
3. La Corte territoriale desumeva la configurabilità dell’aggravante dalla
concatenazione degli avvenimenti, quale ricostruita sulla base delle dichiarazioni
della parte offesa e della testimonianza di Santanicola..
Intorno alle 10 del 29 ottobre 2005, l’imputato aveva minacciato gravemente
Minichino, intimandogli di andarsene dal luogo della zona termale di Telese in cui
aveva parcheggiato il furgone carico di meloni da vendere, non tollerando l’altrui
concorrenza. In questa prima fase della vicenda l’imputato, dopo avere intimato alla
parte offesa di allontanarsi, l’aveva minacciata con un bastone, dicendole: “se non
te ne vai, ti ammazzo”.
Intorno alle ore 13,30 Minichino si era recato a pranzo nelle vicinanze di Telese
e aveva parcheggiato il suo furgone nei pressi del ristorante. Al momento in cui la
parte offesa era uscita dal locale, era transitato a bordo della sua autovettura Fetto
che aveva chiesto alla parte offesa di seguirlo. Minichino aveva declinato la
richiesta ma, poco dopo, aveva incrociato Fetto in una strada laterale.
Ad avviso dei giudici l’imputato aveva maturato il proposito criminoso dopo
l’aggressione verbale e aveva avuto il tempo di armarsi e di mettersi sulle tracce di
Minichino e del suo furgone grazie alle piccole dimensioni del centro abitato e allo
scarso traffico. In tale contesto Fetto aveva avuto l’opportunità di appostarsi in
attesa del passaggio dell’auto di Menichino contro cui aveva esploso i colpi di
fucile, provocandogli lesioni.
1

c.p. e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla

2.Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
difensore di fiducia, Fetto, il quale lamenta violazione del devolutum, in quanto
l’iter argomentativo seguito è oggettivamente inidoneo a colmare il precedente

vizio motivazionale, essendo contrario alle regole della logica inferire la
conoscenza della direzione di marcia seguita da Menichino dalla struttura del centro
abitato di Telese e dalle condizioni del traffico nell’ora dell’agguato. Tali
considerazioni confliggono con la circostanza che l’imputato ha impiegato oltre tre

di spiegare in base a quali elementi obiettivi l’imputato potesse conoscere la
direzione che avrebbe seguito dopo pranzo Menichino in assenza di un unico
percorso obbligato.

Osserva in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
1. La premeditazione, configurata come circostanza aggravante nei delitti di
omicidio volontario ex art. 577 comma 1 n. 3 c.p. e di lesione personale ex art. 585
comma 1 c.p., è contraddistinta da due elementi costitutivi: a) un apprezzabile
intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso
(elemento di natura cronologica); 2) la ferma risoluzione criminosa perdurante
senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del
crimine (elemento di natura ideologica).
La prova della premeditazione deve essere necessariamente tratta da fatti
estrinseci e sintomatici, quali la causale, l’anticipata manifestazione del proposito,
la predisposizione dei mezzi, la ricerca dell’occasione propizia, la violenza e la
reiterazione dei colpi inferti.
2.11 ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in

riferimento all’omesso rispetto dell’ambito del devolutum e agli elementi posti a
base del riconoscimento dell’aggravante della premeditazione, non critica in realtà
la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del
convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso travisamento del fatto,
chiede la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel
merito, inammissibile invece in sede d’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione, allorquando la struttura razionale della sentenza
impugnata abbia – come nella specie – una sua chiara e puntuale coerenza
2

ore per mettersi sulle tracce di Menichino. Infine, la sentenza impugnata ha omesso

argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica, alle
risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente del consistente lasso di
tempo intercorso tra la maturazione del proposito delittuoso e la sua concreta
realizzazione e della ferma risoluzione criminosa protrattasi dal momento della sua
insorgenza fino al momento della esplosione dei colpi di fucile all’indirizzo dela
parte offesa.
A3.Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la

prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost.
sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille euro alla cassa delle
ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso, in Roma, il 20 novembre 2013.

condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di

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