Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46974 del 06/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 46974 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: VECCHIO MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOLE’ GIROLAMO N. IL 06/04/1963
avverso il decreto n. 74/2012 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 05/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO;
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Data Udienza: 06/11/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA PENALE

Ricorso n. 11.573/ 2013 R. G.

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Udienza del 6 novembre 2013

Rileva
1. — Con decreto deliberato il 5 ottobre 2012 e depositato il 31
dicembre 2012, la Corte di appello di Reggio di Calabria, riducendo (da quattro anni) a due anni e sei mesi la sorveglianza
speciale della pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel
comune di residenza, ha confermato, nel resto, il provvedimento del Tribunale di quella stessa sede, 28 luglio 2011, di applicazione della ridetta misura di prevenzione a carico
dell’appellante Gerolamo Molè.
Dato atto delle censure del sorvegliato alla stregua delle dichiarazioni di Adriano Attentano, in ordine alla attività lavorativa del prevenuto, nonché alla stregua delle ulteriori dichiarazioni di Cosimo Virgilio, circa i rapporti con Rocco Molé e
della intercettazione della conversazione tra presenti nel parlatorio del carcere di Secondigliano in merito alla disistima nutrita nei confronti del sorvegliato dagli esponenti della cosca, la
Corte territoriale, richiamando con ampie citazioni testuali le
considerazioni del Tribunale ordinario di Palmi, giusta sentenza del 28 ottobre 2010 (non irrevocabile) di condanna del prevenuto alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione, per il
delitto di associazione di tipo mafioso, ha desunto la pericolosità qualificata dalla condotta di compartecipazione associativa
in seno alla cosca capeggiata dell’ omonimo cugino (classe
1961) dell’appellante, condotta consistita, in particolare, nel
contributo prestato per l’acquisizione del controllo della cooperativa, in liquidazione coatta amministrativa, All Services.
La Corte territoriale ha argomentato che l’accertamento operato dal giudice penale, ancorché riferito a unica condotta delittuosa, è pienamente idoneo a suffragare la applicazione della

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Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del
dott. Antonio Gialanella, sostituto procuratore generale della
Repubblica presso questa Corte, il quale ha concluso per la inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa per le ammende.

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Udienza del 6 novembre 2013

2. — Il sorvegliato ha proposto ricorso per cassazione, mediante
atto recante la data del 16 gennaio 2013, redatto dal difensore
di fiducia, avvocato Michele Gullo, col quale sviluppa due motivi anche incorrendo in ripetizioni e sovrapposizioni: denunzia
(col primo motivo), ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera
e), cod. proc. pen. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, e (col secondo), ai sensi dell’articolo
606, comma 1, lettera b), inosservanza o erronea applicazione
della legge pena o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere
conto nella applicazione della legge penale, in relazione
all’articolo 7 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423.
2.1 — Il difensore, stigmatizzando la omessa considerazione delle censure in proposito formulate con l’appello, deduce: la condanna per il delitto di associazione di tipo mafioso non è passata in giudicato; la decisione del giudice della prevenzione infrange il divieto di presunzione della colpevolezza fino alla
condanna definitiva, stabilito dell’articolo 27, secondo comma,
della Costituzione; i giudici territoriali hanno fatto incongruo
riferimento (pure) alla supposta compartecipazione del Molè in
associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti.
2.2 — Sostiene, ancora, il difensore: Giorolamo Molè non ha mai
fatto parte di alcuna associazione mafiosa; nel giudizio penale
il teste Viriglio ha deposto che Roccò Molé non teneva in considerazione alcuna il ricorrente; né mai gli fece cenno della acquisizione della cooperativa All Service e, tampoco, del coinvolgimento del cugino in proposito; nel corso della intercettazione della conversazione nel parlatorio del carcere di Secondigliano Girolamo Molé (classe 1961) qualificò il cugino «storto» e
«cretino»; il ricorrente si è sempre «tenuto lontano dalla famiglia
Molè»; nel periodo successivo ai fatti oggetto del giudizio penale «ha dato effettiva prova di buona condotta».

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misura dio prevenzione e che il profilo della pericolosità qualificata, in concreto acclarato, in relazione alla compartecipazione associativa, rende palese la attualità relativa, in carenza di
alcun recesso dalla cosca.

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* Udienza del 6 novembre 2013

Corte, mediante atto recante la data del 5 maggio 2013, ha obiettato: le censure formulate dal ricorrente «non riescono a
porre in crisi la semplice evidenza argomentativa della decisione
impugnata, che ha costruito la valutazione della sussistenza della
pericolosità del prevenuto sulla scorta dei contenuti della sentenza
resa dal Tribunale di Palmi in data 28 ottobre 2010, con la quale
Molè Giorolamo veniva condannato [..] per aver fatto parte dell’
associazione di stampo mafioso denominata `ndrina Molé dal
2004 al luglio 2008»; i rilievi e le considerazioni, contenuti nella
succitata sentenza e riprodotti nel decreto impugnato, sebbene
«con tecnica argomentativa di modesto grado di elaborazione»,
ma, comunque, «con piana evidenza» recano «chiara replica alla
denunzie del ricorrente»; laddove costui ha inteso reiterare «in
questo giudizio di prevenzione e in questa sede di legittimità [..] le
doglianze sottoposte al giudice penale di merito», postulando un
inammissibile «intervento in sovrapposizione argomentativa» di
questa Corte suprema di cassazione «rispetto al congruo e logico
argomentare del giudice di merito» in punto di fatto; mentre nella presente materia della prevenzione il ricorso per cassazione è
ammesso soltanto per violazione di legge; e in tale esclusivo
ambito — giova rilevare a dispetto dell’assunto del ricorrente —
l’accertamento operato dal giudice penale, in ordine alla condotta delittuosa, «non può che rilevare vieppiù ai fini del giudizio di prevenzione fondato su una diversa grammatica della prova», per la quale basta «l’esistenza di un complesso di elementi
certi che, pur senza assurgere al rango della prova piena, segnalino
sul piano indiziario» la compromissione associativa del prevenuto; destituita di fondamento è, conclusivamente, la denunzia
del vizio della motivazione del decreto impugnato operata del
ricorrente il quale — in relazione alla contestazione della attualità della pericolosità — non ha rappresentato «di aver allegato,
in sede di merito, circostanze davvero significanti [..] nel periodo
intercosso tra l’accertamento del reato e il momento di applicazione
della misura».

4.

Il ricorso è manifestamente infondato.

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3. — Il procuratore generale della Repubblica presso questa

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Ricorso n. 1 1.573/2013 R. G.

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4.1 — A tacere dell’erroneo riferimento normativo contenuto

—né sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a
quo applicato una determinata disposizione in relazione
all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);
—né sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte
territoriale esattamente interpretato le norme applicate, alla
luce dei principi di diritto fissati da questa Corte.
— né, in particolare (con riferimento alla eccepita mancanza
della motivazione), sotto il profilo formale della inosservanza
della legge processuale in relazione alla asserita carenza di motivazione — rilevante nella specie ai sensi dell’articolo 606,
comma 1, lettera c), cod. proc. pen. con riferimento all’articolo
125, comma 3, cod. proc. pen. — in quanto il giudice a quo ha
dato conto adeguatamente (come illustrato nel paragrafo che
precede sub 1.) delle ragioni della propria decisione, sorretta da
motivazione congrua e, pertanto, sottratta a ogni sindacato
nella sede del presente scrutinio di legittimità, circoscritto
nell’ambito esclusivo della violazione di legge a’ termini
dell’articolo 4, comma undicesimo, della legge 27 dicembre
1956, n. 1423 (ora trasfuso nell’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 6 novembre 2011, n. 159).

4.2 — In ordine al vizio della mancanza di motivazione — è appena il caso di ribadire — sebbene la Relazione al testo definitivo
del codice di procedura penale, nel dar conto della sostituzione
della locuzione “omessa motivazione”, adottata nel Progetto preliminare, colla formulazione cristallizzata nel vigente articolo
606 della “mancanza [..] della motivazione”, sottolinei — sulla
scorta del criterio sistematico del raccordo colle disposizioni

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nella epigrafe del secondo motivo del ricorso (all’articolo 7 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 anziché all’articolo 4 della
ridetta legge in relazione alla legge 31 maggio 1965, n. 575)
non ricorre — alla evidenza — il vizio della violazione di legge:

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degli articoli 125, comma 3, e 546, comma 3, cod. proc. pen. —
che “la sanzione di nullità dell’atto concerne la motivazione in
senso grafico o strutturale e non i vizi logici della stessa”, esprimendo, quindi, “la preoccupazione che la formula del Progetto ‘omessa motivazione’ si potesse prestare, in contrasto con la volontà del legislatore, a un ampliamento del sindacato sulla motivazione, spostando l’accento dal vizio dell’atto, scandito dalle parole
‘mancanza .. della motivazione’, al vizio (di latitudine difficilmente circoscrivibile) della attività del giudice, richiamata
nell’aggettivo ‘omessa’, il quale indica una condotta negativa più
che le caratteristiche dell’atto” (v. Relazione, cit., Gazzetta Ufficiale, 24 ottobre 1988, n. 250, Supp/. n. 2, p. 200, colonna 1), la
Giurisprudenza di questa Corte ha pacificamente ricondotto nell’ambito della previsione in parola i casi (a) della
motivazione apparente e ( b ) della motivazione, che pur
non consistendo in mere formule di stile, sia, tuttavia, sotto il
profilo funzionale — in relazione ai “momenti esplicativi
[..] ineliminabili nel rapporto tra i temi sui quali si doveva esercitare il giudizio e i contenuto di questo”, v. Relazione al progetto
preliminare del codice di procedura penale, Gazzetta Ufficiale,
cit., p. 133, colonna 2— assolutamente carente, cioè affatto “priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto
da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico
seguito dal giudice di merito”, lasciando “oscure le ragioni che
hanno giustificato il provvedimento” (v. per tutte: Sez. Un., 28
gennaio 2004, n. 5876, Bevilacqua, massima n. 26710).
La novella del 20 febbraio 2006 [colla sostituzione della lettera
e) del primo comma dell’articolo 606 cod. proc. pen.] ha, quindi, esteso la possibilità di sindacare il vizio della mancanza di
motivazione, in precedenza rilevabile esclusivamente alla stregua dello “sviluppo logico del provvedimento e non della diversa
prospettiva addotta dal ricorrente” (v. Relazione al progetto preliminare .., cit.), anche in rapporto ad “altri atti del processo
specificamente indicati nei motivi di gravame”, così superando il
confine della testualità.

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Ciò non di meno (nella osservanza dei limiti coessenziali allo
scrutinio di legittimità) il vizio della mancanza di motivazione
assume giuridico rilievo — e resta rigorosamente circoscritto —
nell’ambito della pura e semplice verifica della ricorrenza di
uno specifico apparato argomentativo (ancorché minimo) correlabile alla decisione, sì da darne conto in relazione ai
presupposti enunciati nello stesso provvedimento e a quelli
rappresentati dal ricorrente ed emergenti dagli atti specificamente indicati.
Esula, pertanto, affatto dalla configurazione normativa del
motivo di ricorso per cassazione in parola ogni questione circa
la illogicità, ancorché manifesta, della motivazione — oggetto di
ulteriore e distinta previsione contenuta nell’articolo 606,
comma 1, lettera e), cod. proc. pen. — nonché circa il grado di
adeguatezza, persuasività, completezza e sufficienza della
motivazione.
Nel giudizio penale, infatti, il vizio della insufficienza della
motivazione non è deducibile con il ricorso per cassazione.
Inequivocabile è, in proposito, il tassativo tenore testuale dell’
articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.
E l’argomento letterale trova ulteriore e significativa conferma
in quello a silentio, sulla base della considerazione sistematica,
alla stregua della comparazione con la corrispondente disposizione contenuta nell’articolo 360, comma 1, numero 5 del codice di rito civile che — a differenza del codice di procedura penale — distintamente contempla, oltre il caso della motivazione
omessa, anche quello della motivazione insufficiente (v.
sul punto per tutte: Cass., Sez. I, 24 settembre 1990, n. 2933,
Caponaccio, massima n. 185451; e, per quanto riguarda
l’insindacabilità della “adeguatezza delle argomentazioni di cui il
giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento”, Sez. Un., 30 aprile 1997, n. 6402, Dessimone, massima n.
207944).
4.3 — Palesemente inammissibili, ai sensi dell’articolo 606,
comma 3, cod. proc. pen., sono le residue censure del ricorren-

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te circa la supposta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, trattandosi di motivi non consentiti dalla legge
col ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia
di misure di prevenzione.
Conseguono la declaratoria della inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché — valutato il contenuto dei motivi e in difetto
della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione — al versamento a favore della cassa delle ammende della somma, che la Corte determina, nella misura congrua
ed equa, infra indicata in dispositivo.

P.

Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000
(mille) alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 6 novembre 2013.

5.

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