Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4697 del 20/11/2013
Penale Sent. Sez. 1 Num. 4697 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASSANO MARGHERITA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D’AUSILIO DOMENICO N. IL 17/02/1951
avverso la sentenza n. 78/2008 CORTE ASSISE APPELLO di
NAPOLI, del 21/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARGHERITA CASSANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. P
Sae,„„wja cf) ,&
che ha concluso per e (ajj
Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.
Data Udienza: 20/11/2013
Ritenuto in fatto.
LH 21 febbraio 2013 la Corte d’assise d’appello di Napoli, decidendo in sede
di rinvio conseguente all’annullamento della precedente decisione di secondo
grado disposta dalla Quinta Sezione penale di questa Corte limitatamente al delitto
di associazione per delinquere di stampo mafioso a partire dall’anno 1995, in
parziale riforma della sentenza della Corte d’assise di Napoli del 17 gennaio
reato di cui all’art. 416 bis a lui ascritto commesso fino al luglio 1997 e, per
l’effetto, rideterminava la pena in sette anni di reclusione.
2. L’ambito del devolutum concerne la permanenza per il 1995 e gli anni
successivi (almeno fino al 1997) dell’associazione per delinquere di stampo
mafioso alla luce del predominio del clan Sorprendente, contrapposto a quello
capeggiato da D’Ausilio, l’effettiva ricomposizione dell’organizzazione, la sua
capacità operativa in un territorio ormai controllato da altri, come comprovato
dalla fuga di D’Ausilio nel 1997.
3. In tale contesto la Corte territoriale osservava preliminarmente che, alla luce
delle decisioni assunte nei precedenti gradi di giudizio e delle due sentenze
pronunziate dalla Prima e dalla Quinta Sezione penale di questa Corte
rispettivamente in data 29 aprile 2004 e 8 maggio 2008, non erano più controverse
l’esistenza dell’associazione di stampo camorristico, la qualità di capo, promotore,
organizzatore della medesima rivestita dall’imputato,
l’attendibilità
dei
collaboratori di giustizia, la sussistenza del reato fino al 1995.
Posta questa premessa i giudici d’appello ritenevano provata la responsabilità
dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. limitatamente al
periodo 1995-luglio 1997 sulla base delle dichiarazioni rese dai collaboratori di
giustizia Massimo Esposito, Aniello e Roberto Montuori, i quali riferivano (i
primi due per scienza diretta, Roberto Montuori, affiliato dal 1984 al 1992 de
relato dal fratello Giuseppe, successivamente deceduto) in merito alle seguenti
circostanze: difficoltà incontrate dal gruppo capeggiato da D’Ausilio durante la
detenzione di quest’ultimo e la gestione provvisoria dell’associazione da parte di
Alfredo Sepe; tentativo di Sorprendente, capo indiscusso del gruppo rivale, di
prendere il sopravvento, approfittando della restrizione in carcere del ricorrente;
perdurante operatività del sodalizio nonostante tali difficoltà; gestione del settore
1
2002, appellata dall’imputato, dichiarava Domenico D’Ausilio responsabile del
delle estorsioni in base ad un elenco di vittime approvato dall’imputato; controllo
del gioco clandestino interrotto durante la “guerra” contro altri clan e ripreso dopo
l’uscita dal carcere di D’Ausilio; mantenimento dei sodali da parte di D’Ausilio;
incidenza determinante della collaborazione intrapresa da Esposito nel luglio 1997
sulla decisione di fuga di D’Ausilio
4.Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con un unico
atto a firma dei due difensori di fiducia, D’Ausilio, il quale formula le seguenti
Deduce violazione ed erronea applicazione della legge penale con riferimento
all’esatta individuazione dell’ambito del devolutum, cui non era estranea la
valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni rese dai
collaboratori di giustizia, valutata negativamente in due sentenze irrevocabili
acquisite ai sensi dell’art. 238-bis c.p.p. (sentenza della Corte d’assise d’appello di
Napoli, sezione quarta oenale, del 21 gennaio 2000; sentenza della Quinta Sezione
Penale della Corte di Cassazione del 24 gennaio 2001) e ribadita nei motivi
d’appello formulati dalla difesa, cui la sentenza impugnata ha omesso di fornire
compiuta risposta
Lamenta, inoltre, violazione dei canoni di valutazione probatoria, atteso che le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia poste a base dell’affermazione di penale
responsabilità di D’Ausilio, non appaiono connotate da intrinseca credibilità, da
genuinità, correttezza, spontaneità, convergenza nei contenuti.
Osserva in diritto.
Il ricorso è manifestamente infondato.
1.11 primo motivo di censure è, all’evidenza, privo di pregio.
La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha
chiarito che, ai sensi dell’art. 627, comma 3, c.p.p., l’ambito del devolutum
concerneva soltanto l’operatività o meno del sodalizio di stampo camorristico anche
in epoca successiva al 1995 e fino a tutto il luglio 1997 e che, pertanto, esulavano
dall’ambito del nuovo giudizio (conseguente all’annullamento con rinvio disposto
dalla Corte di Cassazione), l’esistenza dell’associazione di stampo camorristico, la
qualità di capo, promotore, organizzatore della stessa attribuita all’imputato,
l’attendibilità e credibilità dei collaboratori di giustizia2.Manifestamente infondata è anche la seconda censura.
2
censure.
Il ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in
riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all’art. 192.2 c.p.p., non
critica in realtà la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla
formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso
travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il
sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura
puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole
della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente della
partecipazione dell’imputato, con ruolo primario, al sodalizio di stampo
camorristico fino a tutto il luglio 1997, ossia fino alla scelta collaborativa e al
conseguente allontanamento da Napoli.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa
l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186
del 2000), al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso, in Roma, il 20 novembre 2013.
razionale della sentenza impugnata abbia – come nella specie – una sua chiara e