Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46957 del 08/10/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 46957 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Simone Castello , nato a Villabate 1’11.10.1949
avverso il decreto del 10 dicembre 2014 emesso dalla Corte d’appello di
Palermo;
visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso;
letta la requisitoria del sostituto procuratore generale Piero Gaeta, che ha
chiesto l’inammissibilità del ricorso;
sentita la relazione del consigliere Giorgio Fidelbo.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Palermo ha
confermato il decreto del 4 dicembre 2013 con cui il Tribunale in sede aveva
respinto l’istanza di revoca della misura di prevenzione della sorveglianza
speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno applicata a Simone
Castello con provvedimento del 16 settembre 2009.
L’istanza di revoca era stata avanzata, ai sensi dell’art. 7 legge n.
1423/1956, sul presupposto della insussistenza ab origine della condizione di

evi

Data Udienza: 08/10/2015

pericolosità sociale del prevenuto, a seguito della sentenza di assoluzione dal
reato di cui all’art. 416-bis c.p. intervenuta in pendenza del procedimento di
prevenzione.

2. L’avvocato Laura Baldassarre, nell’interesse del prevenuto, ha proposto
ricorso per cassazione, deducendo la violazione degli artt. 7 legge n.

particolare, si contesta il mancato rilievo dato alla sentenza di assoluzione
emessa il 17 ottobre 2011, sopraggiunta al procedimento di prevenzione cui è
stato sottoposto Simone Castello, sentenza che escludeva che la condotta di
partecipazione al sodalizio mafioso fosse proseguita successivamente alla
precedente decisione di condanna del 2002. Peraltro, si sottolinea come nel
procedimento di prevenzione si sia attribuito rilievo, al fine della valutazione
del giudizio sulla pericolosità, all’ordinanza cautelare emessa nei confronti del
prevenuto nel processo penale, lo stesso processo che successivamente si è
concluso con una sentenza di assoluzione. In sostanza, si ritiene che il dato
sopraggiunto dell’assoluzione non avrebbe dovuto essere ignorato dai giudici
della prevenzione e si evidenzia l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la
Corte territoriale con il decreto impugnato affermando che i rilievi mossi non
riguardano una diversa valutazione delle risultanze probatorie sul medesimo
fatto. Si sottolinea come la postulata diversità dei procedimenti – quello
penale e quello di prevenzione – non può spingersi fino a legittimare una
diversità di valutazione della prova, il cui significato probatorio è stato
eliminato nel giudizio penale, come è accaduto nel caso di specie. In
conclusione, si assume che seppure la sentenza di assoluzione dal reato
associativo mafioso non muta il dato formale del giudicato, tuttavia si tratta di
un elemento di segno opposto al giudizio di attualizzazione della pericolosità
sociale espressa dal decreto applicativo della misura di prevenzione, che ne
giustifica la revoca dovendo riconoscersi la sua invalidità genetica.

3. Il ricorso è infondato.
3.1. Come è noto il giudicato penale assolutorio non è incompatibile
rispetto alla pericolosità sociale che sia stata ritenuta sussistente nel
procedimento di prevenzione. La giurisprudenza è costante nel ritenere che
l’assoluzione del proposto dal reato associativo non comporta l’automatica

2

Q121

1423/1956 e 1 legge 575/1965, in relazione agli artt. 111 Cost. e 6 CEDU. In

esclusione della sua pericolosità sociale, in quanto, in ragione dell’autonomia
del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, il giudice chiamato
ad applicare la misura può avvalersi di un complesso quadro di elementi
indiziari, anche attinti dallo stesso processo penale conclusosi con
l’assoluzione (Sez. VI, 18 settembre 2014, n. 50946, Catalano; Sez. V, 17
gennaio 2006, n. 9505, Pangallo; Sez. II, 9 maggio 2000, n. 2542, Coraglia).

associativo è stata pronunciata perché non è stata raggiunta la prova per la
“nuova” condanna, ma ciò non costituisce automaticamente un elemento per
escludere la sussistenza della pericolosità. Come correttamente osservato dal
procuratore generale nella sua requisitoria scritta l’insufficienza probatoria che
ha determinato la decisione del giudice penale non può significare che
“rispetto alla assodata pericolosità sociale derivante dalla accertata pregressa
condanna per il reato di cui all’art. 416-bis c.p., venga meno l’attualità della
stessa (…)”, in quanto la pericolosità permane fino a quando elementi univoci
non dimostrino che il soggetto abbia rescisso ogni legame con l’associazione
stessa e l’assoluzione di cui si discute non prova questo, ma esclude solo la
sua responsabilità penale per l’ulteriore partecipazione all’attività criminosa
dell’associazione.
In altri termini, i giudici d’appello hanno confermato il giudizio di
pericolosità in quanto i fatti e le fonti di prova che avevano giustificato quel
giudizio non sono stati smentiti neppure dalla decisione assolutoria
sopraggiunta, che peraltro è stata presa in considerazione. A base del giudizio
di pericolosità vi è ancora la prima sentenza di condanna per associazione
mafiosa e, inoltre, l’accertato ruolo assunto dal Castello all’interno
dell’associazione, alle dirette dipendenze di personaggi apicali quali Bernardo
Provenzano e Giuseppe Madonia, dove ha svolto per anni il delicato compito di
collegamento tra i vertici e gli altri esponenti mafiosi. Tali elementi secondo il
provvedimento impugnato non sono venuti meno per effetto della sentenza di
assoluzione, sicché, in assenza di fatti che provino un distacco definitivo
dall’associazione, appare giustificata la valutazione in ordine alla sussistenza
della pericolosità sociale.

4. Ne consegue il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

Nella specie, La Corte d’appello ha evidenziato che l’assoluzione dal reato

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Il Consigli e estensore

Il Presidente

Così deciso 1’8 ottobre 2015

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