Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46953 del 21/05/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 46953 Anno 2015
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
CRUCCAS Bruno, nato a Roma il 07/06/1960,
avverso la sentenza del 05/02/2014 della Corte di Appello di Roma;
esaminati gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona dell’Avvocato generale Carlo Destro, che ha chiesto
il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile Claudio Marchi l’avv. Rosanna Napoli, che ha concluso per
l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente Bruno Cruccas l’avv. Piero Conti, che si è riportato ai motivi di
ricorso, insistendo per l’accoglimento dello stesso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma ha respinto il
gravame dell’imputato Bruno Cruccas, confermando in punto di responsabilità la decisione
resa il 26.4.2013 dal Tribunale di Roma, che lo ha dichiarato colpevole del reato di falsa
testimonianza. Decisione che, tuttavia, la Corte ha parzialmente riformato, revocando -in
accoglimento dell’appello del pubblico ministero- la concessione delle attenuanti
generiche, ma escludendo l’incidenza sanzionatoria della contestata recidiva e, quindi,
determinando la pena inflitta al prevenuto in due anni e sei mesi di reclusione, oltre alla

Data Udienza: 21/05/2015

già deliberata condanna dello stesso al risarcimento del danno in favore della costituita
parte civile Claudio Marchi. Pena uguale, per altro, a quella già irrogata al Cruccas in
primo grado (con le concesse attenuanti innominate stimate equivalenti alla recidiva).
Il reato di falsa testimonianza ascritto all’imputato è integrato, come da accusa
contestata, dall’avere il Cruccas, esaminato il 5.2.2008 nel giudizio instaurato nei
confronti di David Meloni per tentata estorsione nei confronti di Claudio Marchi,
falsamente dichiarato che le somme di denaro corrisposte dal Marchi al Meloni trovavano
causa in un

“debito di riconoscenza” del Marchi, sentendosi costui “responsabile”

dell’arresto del Meloni ex art. 73 L.S. (8.2.1994) per avergli ceduto un ovulo di cocaina, e
non -invece- nella condotta costrittiva, violenta e intimidatoria, attuata dallo stesso
Meloni negli anni dal 1994 al 2002 in pregiudizio del Marchi e di suoi prossimi congiunti.
Le due decisioni di merito, conformi sulla responsabilità del Cruccas, e
segnatamente la decisone di appello, correlata ai motivi di impugnazione proposti
dall’imputato, hanno ritenuto dimostrata dalle emergenze processuali la colpevolezza del
prevenuto. Colpevolezza che in particolare la sentenza di secondo grado ha valutato
specificamente imperniata:
a) sulle attendibili dichiarazioni accusatorie formulate dal Marchi, sia con riguardo
alla lunga serie di violenze e intimidazioni subite ad opera del Meloni (ed anche del padre
di questi), non giustificate dagli sviluppi del procedimento per cessione di droga svoltosi a
suo carico, sia con riguardo ai rapporti da lui intessuti con l’attuale imputato, cui egli si
era rivolto al solo scopo -sapendo della sua antica amicizia con Meloni- di farlo intervenire
presso Meloni per farne cessare i contegni estorsivi;
b) sulla testimonianza resa dal fratello del Marchi, Francesco, in merito alle
minacce subite dal congiunto da parte del Meloni e dagli episodi di violenza (aggressioni
fisiche patite da lui stesso e dal fratello) e di grave intimidazione subiti dall’intera famiglia
(due incendi dolosi dell’esercizio commerciale gestito dai Marchi sino a indurli a cessare
l’attività; incendio delle autovetture sue e del fratello);
c) sulla testimonianza della moglie di Claudio Marchi (sua fidanzata all’epoca dei
fatti) e del padre della donna;
d) sul riscontro che, in totale assenza di seri dati avvaloranti la tesi difensiva
dell’imputato (preteso intento del Marchi di

“risarcire” Meloni per il suo arresto), le

evenienze riferite dai predetti testimoni rinvengono sia nei referti sanitari che attestano le
lesioni inferte dal Meloni ai due fratelli Marchi, sia nei verbali di intervento dei vigili del
fuoco (incendi del negozio e degli autoveicoli dei Marchi);
e) sui dati esposti nella prima sentenza di condanna del Meloni, afferente al
procedimento in cui ha testimoniato l’imputato Cruccas, per l’ultimo episodio estorsivo
(qualificato come tentata estorsione) emessa dal Tribunale di Roma il 18.5.2009, con la
quale sono stati compiutamente ricostruiti i rapporti intercorsi tra il Meloni e Claudio
Marchi (che non risulta aver mai reso dichiarazioni accusatorie nei confronti del Meloni per

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avergli ceduto un ovulo di cocaina) e la inverosimiglianza (id est falsità) della deposizione
testimoniale del Cruccas.
3. L’illustrata sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dal difensore di
Bruno Cruccas, che ha addotto i vizi di legittimità di seguito sintetizzati.
3.1. Violazione dell’art. 372 c.p. e difetto di motivazione sull’elemento materiale
del reato.
Con il primo motivo di appello era stata censurata la sentenza del Tribunale per

susseguirsi e concatenarsi. La Corte territoriale ha eluso i rilievi difensivi, assumendo
senza idonea dimostrazione, storica e logica, l’inidoneità dimostrativa della linea di difesa
del Cruccas. In particolare non sono state colte le discrasie sussistenti tra le dichiarazioni
rese dalla persona offesa Claudio Marchi nei due diversi procedimenti per estorsione
svoltisi nei confronti di David Meloni (quello per tentata estorsione, in cui ha deposto il
Cruccas, e quello per estorsione concernente gli episodi estorsivi anteriori al 2002/2003),
dalle quali emerge -tra l’altro- che il mutuo acceso dal Marchi per fronteggiare le richieste
estorsive di Meloni, dato valorizzato dalla sentenza di appello, attiene al processo per
estorsione consumata, cui è rimasto estraneo il Cruccas. I giudici del gravame hanno fatto
confusione tra i due procedimenti, non mettendo a fuoco le pur coerenti e veridiche
affermazioni testimoniali del ricorrente, altresì incorrendo in travisamento della prova per
omessa considerazione di elementi decisivi.
3.2. Violazione dell’art. 372 c.p. e difetto di motivazione sull’elemento soggettivo
del reato.
Incongruamente la Corte di Appello ha reputato irrilevante la perfetta coerenza e
sovrapponibilità delle dichiarazioni rese dal Cruccas, sia come testimone ipoteticamente
non attendibile nel procedimento per tentata estorsione contro Meloni, sia come imputato
nell’odierno procedimento, giungendo a valutare tale dato come rappresentativo della
“pervicacia della condotta criminosa” del ricorrente. La Corte avrebbe dovuto porsi il
problema, quanto meno, del ragionevole dubbio sulla effettiva volontà di affermare il
mendacio da parte del Cruccas, se non altro considerando che eventuali diverse
dichiarazioni che questi avrebbe potuto rendere in veste di imputato (correttive o
giustificative di quelle contestategli come false) non avrebbero potuto risolversi a
vantaggio dello stesso Cruccas, non essendo certo applicabile in suo favore la causa
esimente della ritrattazione ex art. 376, comma 1, c.p.
3.3. Violazione dell’art. 62 bis c.p. e difetto di motivazione.
Accogliendo sul punto l’appello del pubblico ministero, la Corte distrettuale ha
immotivatamente revocato le circostanze attenuanti generiche pur concesse al Cruccas
nel giudizio di primo grado. Al riguardo la sentenza impugnata si limita a fare generico

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non aver preso in considerazione i fatti che sostanziano la regiudicanda nel loro storico

riferimento alle “modalità concrete della condotta”dell’imputato, che dovrebbero fissarne
la specifica gravità. E ciò ignorando sia che la testimonianza che si assume falsa del
Cruccas attiene soltanto al procedimento per tentata estorsione contro Meloni (e non
anche a quello per estorsione consumata), sia che tale testimonianza, se valutata nel
contesto delle complessive evenienze processuali, non avrebbe mai potuto condurre
(quand’anche non giudicata falsa) ad un proscioglimento del Meloni in riferimento ai
contegni di violenza e intimidazione dallo stesso perpetrati in danno del Marchi e dei suoi
familiari.

La sentenza impugnata ha mantenuto inalterata la pena inflitta al Cruccas in primo
grado, omettendo di apprezzare in termini di coerenza e adeguatezza l’effettivo disvalore
della sua condotta illecita. In particolare non valutando l’oggettiva reale gravità di tale
condotta, rispetto alla quale -non senza illogicità- pur ha reputato non rilevante la
contestata recidiva nel quinquennio, che ha ritenuto di escludere a fini sanzionatori.
4. Con memoria difensiva tempestivamente depositata (8.4.2015) il difensore della
parte civile Claudio Marchi ha invocato la declaratoria di inammissibilità o il rigetto
dell’impugnazione del Cruccas,

“amico trentennale di Meloni David”,

rinviando agli

elementi rappresentativi dei rapporti estorsivi intercorsi tra detto Meloni e il Marchi e
soprattutto tra costui e l’imputato Cruccas, quali ripercorribili attraverso le due sentenze
di condanna, divenute irrevocabili, nei confronti del Meloni per i fatti estorsivi (tentati e
consumati) compiuti in danno dell’attuale parte civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto nell’interesse di Bruno Cruccas non merita accoglimento in
relazione alle censure sviluppate sulla sua responsabilità per il reato ascrittogli e sul
merito valutativo della regiudicanda. Fondati si rivelano, invece, i soli subordinati rilievi in
punto di trattamento punitivo al medesimo applicato, sì da imporre una nuova valutazione
di tale tema a cura del giudice di appello.
2. I motivi di ricorso afferenti all’addotta deficitaria motivazione della impugnata
sentenza di appello sugli elementi oggettivo e soggettivo del reato di falsa testimonianza
contestato al ricorrente sono infondati, fino a lambire le soglie della inammissibilità per
sostanziale mancanza di specificità, atteso che le censure riproducono quelle enunciate
con i motivi di appello avverso la sentenza di primo grado, sebbene le stesse siano state
diffusamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici, cui l’attuale ricorso, ad
onta della sua estensione, non contrappone che rilievi critici apparenti od estemporanei
(in più casi soltanto riproduttivi degli anteriori motivi di gravame).

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3.4. Erronea applicazione degli artt. 132 e 133 c.p. e difetto di motivazione.

2.1. I giudici di secondo grado non sono incorsi in nessuna delle lamentate carenze
valutative e argomentative afferenti alla materialità e al dolo (generico) del reato di falsa
testimonianza, avente natura istantanea e unisussistente

(unico actu perficitur,

la

testimonianza falsa realizzandosi non appena sia resa la deposizione e il giudice ne
prenda atto), nella sua duplice forma dichiarativa od omissiva (reticenza), del quale è
stato giudicato colpevole Bruno Cruccas.
Le doglianze espresse, quanto a materialità e volontà delle false dichiarazioni
dell’imputato, sulla inadeguata valutazione delle fonti di prova in cui sarebbe incorsa la

delle fonti probatorie di mero segno fattuale estranea al giudizio di legittimità, soprattutto
a fronte della completezza e logicità della disamina delle emergenze processuali operata
delle due conformi decisioni di merito ed in particolar modo dalla sentenza di secondo
grado. Vuoi perché le critiche sulla erronea o insufficiente considerazione degli assunti
difensivi proposti dall’imputato con i motivi di appello sono smentite dalla motivazione
della sentenza impugnata.
Quest’ultima non ha confuso, al di là della intrinseca inconferenza dell’argomento
esposto in ricorso, i due procedimenti per estorsione, tentata e consumata, in pregiudizio
di Claudio Marchi, svoltisi nei confronti di David Meloni (entrambi conclusisi con due
sentenze di condanna divenute definitive a seguito della inammissibilità dei corrispondenti
ricorsi del Meloni dichiarata con due sentenze di questa S.C.: Sez. 2, n. 3583 del
18/12/2013, dep. 2014: Sez. 2, n. 45474 del 24/10/2014). I giudici di appello hanno
esaminato in modo puntuale le dichiarazioni rese dalla persona offesa Claudio Marchi
proprio nel corso del giudizio per tentata estorsione, evidenziandone la piena credibilità e
la pluralità dei dati che le riscontrano per giungere alla coerente conclusione che il Marchi
non avrebbe avuto, al contrario di quanto falsamente sostenuto dal ricorrente Cruccas,
“alcuna ragione per nutrire sensi di colpa e per ritenere di avere un debito sia pure morale
verso il Meloni”. Dai processi presupposti (a carico del Meloni) è emersa, anzi, come
sottolinea la Corte di Appello, l’assoluta pretestuosità della richiesta risarcitoria avanzata
dal Meloni verso il Marchi, che non lo ha mai accusato di avergli venduto la cocaina e non
ne ha in alcun modo compromesso o condizionato la posizione processuale (cui non può
fare certo velo l’avvenuta assoluzione del Meloni nel giudizio di appello in sede di rinvio ex
art. 627 c.p.p. per la volatilità degli elementi probatori e in primo luogo proprio per
l’assenza di testimoni dell’avvenuta consegna di droga ipotizzata dai funzionari a suo
tempo operanti l’arresto in flagranza del Meloni).
2.2. L’argomento della “sovrapponibilità” (rectius identicità) delle dichiarazioni
testimoniali incriminate e delle dichiarazioni rese in veste di imputato dal Cruccas, per
quanto enfatizzato dalla Corte di Appello, è del tutto irrilevante ai fini del giudizio
confermativo della penale responsabilità del ricorrente espresso dalla sentenza
impugnata. Sia per le ragioni espresse dallo stesso ricorso (irrilevanza di una postuma

Corte di Appello capitolina non hanno pregio. Vuoi perché prefigurano una rivisitazione

ritrattazione nel susseguente odierno giudizio per falsa testimonianza); sia soprattutto
perché la sentenza impugnata ha in realtà ribadito la colpevolezza del prevenuto sulla
base degli altri convergenti dati asseveranti la palese falsità delle sue affermazioni sulla
addotta volontà di emenda o risarcimento del Marchi e sui rapporti sviluppatisi, anche con
l’interposizione di esso Cruccas, tra Marchi e Meloni.
2.3. Il rilievo, enunciato con riguardo al diniego (revoca) delle attenuanti
generiche, ma attinente al merito valutativo della regiudicanda, secondo cui le
dichiarazioni di Cruccas, quand’anche non veritiere, non avrebbero potuto giovare alla tesi

Per la semplice ragione che, avuto riguardo alla indiscussa natura di reato di
pericolo della fattispecie criminosa della falsa testimonianza, ai fini della sussistenza del
reato non è necessario che il giudice, che raccolga la testimonianza mendace, sia o possa
essere in concreto tratto in inganno, essendo invece sufficiente che le dichiarazioni false o
reticenti risultino astrattamente idonee ad indurlo in errore, anche a prescindere dal
grado di credibilità delle medesime o dall’eventuale inattendibilità della deposizione subito
riconosciuta dallo stesso giudice (cfr. ex plurimis: Sez. 6, n. 40501 del 26/05/2009,
Merenda, Rv. 244553; Sez. 6, n. 20656 del 22/11/2011, De Gennaro, Rv. 252629).
2.4. Quanto dell’elemento soggettivo della falsa testimonianza attribuita al
ricorrente, è agevole osservare che il corrispondente motivo di ricorso non ha
fondamento, perché -al di là del dato, fatto palese dalle due conformi decisioni di merito,
in virtù del quale la mendace testimonianza del Cruccas si è configurata deliberatamente
volta a favorire la posizione processuale dell’imputato Meloni- per la punibilità del reato di
cui all’art. 372 c.p. non occorre, come già anticipato, il dolo specifico. Per perfezionare il
reato è sufficiente, infatti, il cosciente intendimento (dolo generico) di dichiarare fatti o
condotte non rispondenti al vero o, più esattamente, alla conoscenza che degli stessi
possieda il testimone dichiarante.
La consapevolezza della natura falsa e ingannevole dei propri assunti dichiarativi
che ha alimentato la testimonianza del Cruccas è portata in luce in tutta evidenza dalla
ricordata ricostruzione dei rapporti tra l’imputato Meloni (per eventi estorsivi) e la p.o.
Marchi, occorrendo al riguardo ribadire come l’elemento psicologico del reato di falsa
testimonianza si manifesti con modalità sempre o spesso intrinsecamente inerenti o
coese alla stessa materialità oggettiva del fatto dichiarativo. Di guisa che la volontà
mentitrice o reticente del testimone diviene riconoscibile attraverso lo stesso
accertamento materiale del fatto reato nella sua realtà ontologica, rispetto alla quale
(stante la descritta natura generica del dolo) rimangono indifferenti gli obiettivi, palesi o
reconditi, del testimone dichiarante il falso (cfr.: Sez. 6, n. 816 del 23/11/2010, dep.
2011, Cagnazzo, Rv. 249195; Sez. 6, n. 37482 del 25/06/2014, Trojer, Rv. 260816).

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difensiva del Meloni, oltre che contraddittorio, è fuorviante ed errato.

3. Deficitaria deve ritenersi, ex adverso, la motivazione con cui la Corte di Appello
di Roma ha affrontato nel giudizio di secondo grado la problematica del trattamento
punitivo riservato al Cruccas.
Effettivamente l’imputato non è stato riconosciuto meritevole delle circostanze
attenuanti generiche, pur concessegli in primo grado (sentenza Tribunale:

“…per non

pervenire ad una condanna particolarmente severa”), sulla base del solo generico e non
meglio descritto elemento rappresentato dalle “modalità concrete della condotta”. Non
chiariscono i giudici di appello quali siano siffatte peculiari modalità della testimonianza

gravità di detta condotta ex art. 133 c.p. alla già menzionata supposta “pervicacia” della
medesima condotta dichiarativa del prevenuto. Se corretta, da un lato, deve considerarsi
la notazione della Corte di Appello sulla esigenza di correlare il giudizio sulla (gravità
della) condotta alla rilevanza della falsità della testimonianza nel procedimento a quo e
legittimo deve, d’altro lato, ritenersi l’apprezzamento di tale elemento ai fini della
determinazione della pena, non è meno vero e indispensabile che sia la rilevanza della
falsità testimoniale che la determinazione della pena, segnatamente se in misura
superiore al minimo edittale, richiedono un’adeguata motivazione, per quanto sintetica o
ellittica.
Nel caso di specie, al di là della reputata “mitigante” esclusione dell’incidenza
sanzionatoria del polivalente dato costituito dalla recidiva infraquinquennale contestata al
Cruccas, che sembra contraddire il giudizio di gravità della sua condotta (cfr.: Sez. 2, n.
933 del 11/10/2013, dep. 2014, Debbiche, Rv. 258011; Sez. 6, n. 45623 del 23/10/2013,
Testa, Rv. 257425), la sentenza impugnata non esprime una reale e idonea motivazione
sul vaglio di concreta gravità della condotta incriminata, limitandosi a rilevare che la falsa
testimonianza del Cruccas tendeva a

“scagionare l’imputato [Meloni] dal delitto di

estorsione”. Precisandosi che nella specie il delitto “favorito” dall’imputato era di tentata
estorsione (e non di estorsione consumata), la Corte distrettuale valorizza un dato
senz’altro apprezzabile, ma pur sempre estrinseco al concreto sviluppo della condotta
dichiarativa mendace del ricorrente. Ciò tanto più quando si constati che la motivazione
della sentenza impugnata dedica, invece, particolare attenzione nell’argomentare
l’oggettiva concludenza e convergenza dei plurimi elementi probatori emersi nel
procedimento in cui ha reso testimonianza il Cruccas e dimostrativi della palese falsità
delle sue dichiarazioni, ferma restando la loro autosufficiente e astratta idoneità
ingannatrice (per la segnalata natura di reato di pericolo della falsa testimonianza).
Ne discende, allora, che le evidenziate lacune e discrasie valutative in punto di
circostanze del reato e di definizione della pena vanno colmate e risolte attraverso una
nuova valutazione di tali temi della regiudicanda a cura della stessa Corte di Appello di
Roma (in diversa composizione). Nuova valutazione che si farà carico di una più puntuale
considerazione degli elementi decisivi o rilevanti del trattamento punitivo applicabile al

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mendace dell’imputato, apparendo anzi illogico l’ipotizzabile collegamento del giudizio di

ricorrente Cruccas (cfr.: Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 5, n.
7562 del 17/01/2013, La Selva, Rv. 254716).
4. Il contestuale rigetto, con la presente decisione di legittimità, dei motivi di
impugnazione del Cruccas concernenti la sua colpevolezza per il reato di falsa
testimonianza ascrittogli, determina il passaggio in giudicato della sua affermata
responsabilità penale per tale reato.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle circostanze e alla determinazione
della pena e rinvia per nuovo giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte di Appello
di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.
Roma, così deciso il 21 maggio 2015

Il consigliere estensore

Il Presidente

P. Q. M.

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