Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4693 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4693 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 12/12/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di PICCOLO Gerardo, nato a Tropea
il 17.01.1972, attualmente agli arresti domiciliari per questa causa,
rappresentato e assistito dall’avv. Francesco Scalzi avverso
l’ordinanza n. 479/2013 del Tribunale di Catanzaro in funzione di
giudice del riesame in data 16.05.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale dott.
Massimo Galli che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata nonché la discussione del difensore avv. Saverio Simonelli
che ha concluso chiedendo l’annullamento del provvedimento
impugnato con ogni consequenziale statuizione.

RITENUTO IN FATTO

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1. Con ordinanza emessa in data 08.04.2013, il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Catanzaro disponeva nei confronti di
PICCOLO Gerardo la misura cautelare degli arresti domiciliari in
relazione alla seguente incolpazione:
capo B) artt. 56, 81 cpv., 110, 629, comma 2 cod. pen. in relazione
all’art. 628, comma 3 n. 3 cod. pen. e 7 I. 203/1991, per aver – in

concorso con La Rosa Antonio, La Rosa Francesco e Costa
Giuseppina, il primo in qualità di mandante, gli altri in qualità di
autori materiali, con più atti esecutivi di un medesimo disegno
criminoso – compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a
costringere Imparato Giovanni, amministratore della struttura
alberghiera “Hotel Rocca Nettuno” di Tropea, ad assumere, quale
dipendente della predetta struttura PICCOLO Gerardo, evento non
verificatosi per cause indipendenti dalla loro volontà, a cui sarebbe
conseguito un ingiusto profitto, con correlativo danno alle vittime.
Fatto aggravato per il La Rosa Francesco ed il La Rosa Antonio,
dall’essere stato commesso da appartenenti ad associazione mafiosa,
nonché, per tutti, dalla riunione di persone e dall’aver agito
avvalendosi della forza di intimidazione dalla famiglia La Rosa,
appartenente al contesto della criminalità organizzata, e delle
conseguenti condizioni di assoggettamento ed omertà che ne deriva,
nonché al fine di agevolare l’attività della cosca di riferimento. In
Tropea, dal 06.12.2012 al 27.03.2013.
Secondo la prospettazione accusatoria, le condotte estorsive
sarebbero consistite:
-nel minacciare esplicitamente la vittima, il La Rosa Francesco,
ostentando la propria appartenenza alla famiglia La Rosa,
notoriamente inserita nel contesto della criminalità organizzata
locale, rammentandole che” la riconferma del Piccolo doveva essere
una cortesia fatta nei confronti del fratello Antonio, all’epoca
detenuto, che a quella situazione ci teneva particolarmente e proprio
a ragione di ciò non avrebbe preso bene una comunicazione da parte
sua in senso negativo”;
-nel riferire la costa alla vittima, dopo che la stessa aveva subito
minacce telefoniche, nonché il danneggiamento della propria
autovettura, ”

che il La Rosa Francesco, dal carcere, aveva

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manifestato la piena disponibilità ad aiutare l’amministratore qualora
questi avesse avuto problemi in genere e che tale aiuto sarebbe
pervenuto, per suo tramite, dal fratello La Rosa Antonio”, in tal
modo, implicitamente, minacciando di ulteriori danni se non avesse
aderito alle richieste ricevute;
– nel condurre il Piccolo Gerardo le trattative per l’assunzione con la
vittima.

1.1. Avverso la predetta ordinanza, PICCOLO Gerardo proponeva
ricorso per riesame chiedendo l’annullamento del provvedimento
impugnato o, in subordine, la riforma dello stesso con applicazione di
una misura meno afflittiva.
1.2. Con ordinanza in data 16.05.2013, il Tribunale di Catanzaro in
funzione di giudice del riesame, rigettava il gravame confermando il
provvedimento impugnato.
1.3. Avverso detto provvedimento veniva proposto ricorso per
cassazione deducendo:
– primo motivo: inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 56,
81, 110, 629, 628 cod. pen. nonché dell’art. 7 I. 203/1991 e delle
norme in materia di interpretazione e di prova; inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 273, 274 e ss. cod. proc. pen. (art.
606, comma 1 lett. b cod. proc. pen.); mancanza e manifesta
illogicità della motivazione (art. 606, comma 1 lett. e cod. proc.
pen.);
– secondo motivo: violazione di legge penale in riferimento all’art.
629 cod. pen.;
– terzo motivo: violazione della legge penale in riferimento alla
motivazione dell’art. 7 I. 203/1991;

quarto

motivo:

all’interpretazione

motivazione

illogica

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pen.

dell’art.

cod.

in

riferimento

sulla

imputabilità

dell’aggravante dell’art. 7 I. 203/1991 al ricorrente;
– quinto motivo: insussistenza dei presupposti per l’applicazione della
misura cautelare; motivazione illogica in riferimento alle esigenze di
cautela; mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
2. Con riferimento al primo motivo, denuncia il ricorrente la
contraddittorietà della motivazione, in particolare nella parte in cui,
per giustificare il concorso morale del ricorrente nel delitto
contestato, si fossero utilizzati pretesi fatti avvenuti successivamente

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alla data di commissione del reato da parte dell’autore materiale e
non si fosse tenuto conto che la logica avrebbe dovuto imporre di
individuare il contributo rilevante di PICCOLO Gerardo nel
rafforzamento del proposito delittuoso di La Rosa Francesco in fase
antecedente o coincidente al 6 dicembre 2012. Conseguentemente, il
Tribunale di Catanzaro avrebbe dovuto specificare quali condotte
antecedenti o coeve al 6 dicembre 2012 fossero state poste in essere

da PICCOLO Gerardo a sostegno dell’azione materiale posta in essere
da La Rosa Francesco, in assenza delle quali si versa
nell’impossibilità di decidere se trattasi di connivenza non punibile o
concorso morale. Chiarissime – a detta del ricorrente – le ricadute
pratiche dell’una o dell’altra conclusione che il Tribunale sembra non
voler scegliere: invero, se PICCOLO Gerardo avesse chiesto
l’intervento di La Rosa Francesco, sarebbe stato l’istigatore
dell’azione; se, invece, La Rosa Francesco avesse proposto il suo
aiuto e PICCOLO Gerardo avesse dato il suo assenso, quest’ultimo
avrebbe rafforzato il proposito criminoso del primo.
Il corollario di tale affermazione è la contraddittorietà della
motivazione che aveva riconosciuto gravità indiziaria in capo al
concorrente morale seguendo un percorso motivazionale che cercava
“giustificazione” negli eventi successivamente verificatisi:
a) il PICCOLO Gerardo in data 06.12.2012 si era incontrato con La
Rosa Francesco;
b) il La Rosa Francesco aveva chiesto in pari data alla persona offesa
l’assunzione di PICCOLO Gerardo quale cortesia richiesta dal fratello
detenuto;
c) in data successiva all’arresto di La Rosa Francesco, emergeva che
PICCOLO Gerardo si era recato a Spoleto a prelevare La Rosa
Antonio (unitamente ai suoi colleghi di lavoro, La Rosa Domenico e
De Marco Amedeo) facendo affidamento sul possibile intervento di
quest’ultimo per vedersi riconfermato il posto di lavoro.
Percorso motivazionale – quello seguito dal Tribunale di Catanzaro che, a detta del ricorrente, aveva assolutamente tralasciato qualsiasi
valutazione in ordine al contegno di PICCOLO Gerardo prima o
durante l’esplicazione naturalistica dell’azione materiale ma facendo
esclusivo riferimento al (solo) contegno materiale tenuto dallo stesso
successivamente al reato.

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3. Con riferimento al secondo motivo, denuncia il ricorrente che già
avanti al Tribunale di Catanzaro era stata contestata la configurata
fattispecie estorsiva per la mancanza dell’ingiustizia del profitto e del
danno: rilievo a cui il Tribunale di Catanzaro aveva risposto con il
richiamo ad un precedente giurisprudenziale non pertinente.
4. Con riferimento al terzo motivo, denuncia il ricorrente come il
Tribunale

di

Catanzaro

avesse

tratto

la

configurabilità

dell’aggravante dell’aver agito con metodo mafioso dal fatto che “La
Rosa Francesco riferì ad Imparato che la riassunzione del PICCOLO
sarebbe dovuta essere una cortesia a La Rosa Antonio (all’epoca
detenuto proprio in quanto condannato in via definitiva quale capo
dell’omonima consorteria di ‘ndrangheta) il quale non avrebbe preso
bene una risposta contraria”:

motivazione, invero, da ritenersi

insufficiente non bastando, a tal fine, il mero collegamento dei
soggetti accusati con contesti di criminalità organizzata ovvero la
loro caratura mafiosa, essendo invece necessario, per giurisprudenza
di legittimità, l’effettivo utilizzo a tal fine del metodo mafioso
nell’occasione delittuosa.
5. Con riferimento al quarto motivo, denuncia il ricorrente l’illogicità
della motivazione circa l’affidamento di PICCOLO Gerardo
all’intervento di La Rosa Francesco e di La Rosa Antonio affinchè
agissero secondo modalità mafiose, trattandosi di elemento
probatorio non rinvenibile negli atti ed in particolare non emergente
da alcuna conversazione intrattenuta dal ricorrente con tale sig.ra
Bretti.
6. Con riferimento al quinto motivo, denuncia il ricorrente come con
riferimento alle esigenze cautelari, la motivazione del provvedimento
sia in parte mancante ed in parte illogica. In particolare, con
riferimento alla non adeguatezza di altra misura non custodiale, la
motivazione è mancante atteso che nulla viene invece specificato
sulle ragioni concrete che consentono di dover ritenere adeguata e
necessaria la misura degli arresti domiciliari. Invero, il sostenere che
misure diverse dagli arresti domiciliari consentono margini di
movimento all’incolpato, non significa spiegare per quale elementi
concreti si ritiene che, laddove vi fosse la possibilità di movimento, il
PICCOLO potrebbe reiterare la condotta: motivazione che sarebbe
stata necessaria non tanto per lo stato di incensuratezza del

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ricorrente, ma soprattutto perchè vi era prova in atti che il predetto
non si fosse mai portato presso la persona offesa con
l’atteggiamento diverso dalla cortesia.
Invero – sostiene il ricorrente – come ciò che la legge richiede è una
valutazione dei comportamenti, degli atti concreti, delle circostanze
specifiche del fatto e non certo la riproduzione di sensazioni o
illazioni investigative rendendosi vieppiù necessario un indissolubile

legame che deve unire il giudizio prognostico in ordine alla
pericolosità sociale dell’indagato con le modalità e le circostanze
specifiche del fatto con la personalità dello stesso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso è infondato e, come tale, va rigettato.
Anzitutto è necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di
questa Corte delle decisioni adottate dal giudice del riesame in tema
di provvedimenti sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce al giudice di legittimità alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate
(ivi compreso lo spessore degli indizi) né alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato (ivi
compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure
ritenute adeguate) trattandosi di apprezzamenti rientranti nel
compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del
riesame.
Il controllo sulla motivazione della Suprema Corte è, dunque,
circoscritto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.,
alla verifica di tre requisiti, la cui esistenza rende la decisione
intoccabile in sede di legittimità:
a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno
determinata;
b) l’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione, ossia la coerenza
delle argomentazioni rispetto al fine che le hanno determinate;
c) il mancato affioramento di alcuni dei predetti vizi dall’atto
impugnato (Cass., Sez. 6, n. 5334 del 22.04.1992-dep. 26.05.1993,

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Verdelli ed altro, rv. 194203).
Con riguardo al tema dei limiti del sindacato di legittimità, delineati
dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., come vigente a
seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, questa
Corte Suprema ha ripetutamente affermato che la predetta novella
non abbia comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di
effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione

finalizzata a sovrapporre una propria valutazione a quella già
effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità
limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il
giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento.
La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali
può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora
comporti il cd. travisamento della prova, purché siano indicate in
maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state
travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti
in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza
alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia
effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
8. Sul punto è doveroso premettere come il Collegio ritenga che,
rilevare il vizio di motivazione per erronea valutazione delle prove,
significa prospettare una diversa analisi del merito della causa e
tanto è inammissibile in sede di legittimità. In tale modo il ricorrente
contrasterebbe infatti il risultato dell’attività svolta dal giudice di
appello in ordine alla valutazione ed all’apprezzamento dei fatti e
delle risultante probatorie, attività il cui espletamento costituisce
prerogativa del giudice del merito. Spetta infatti solo a quest’ultimo
individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove,
controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze
istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione,
dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Il sindacato di
legittimità è limitato, invece, al riscontro estrinseco della presenza di
una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare
le ragioni della decisione e

l’iter

argomentativo seguito nel

provvedimento impugnato.
Le doglianze avanzate avverso la decisione di merito non meritano
accoglimento, poiché le stesse si risolvono sostanzialmente nella

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richiesta di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella congrua e giustificata – data dal giudice del gravame e in un
complessivo riesame di merito del materiale probatorio,
inammissibile in sede di legittimità. Il tutto è perfettamente in linea
con la costante giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui la
deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione
della sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il

potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale,
delle argomentazioni svolte dal giudice di merito; risulta infatti del
tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per
la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito
attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa.
Si ricordi che la Suprema Corte, a più riprese, ha confermato tale
principio stabilendo che, le censure concernenti vizi di motivazione,
per meritare accoglimento, devono indicare quali siano i vizi logici
che rendono del tutto irrazionale il ragionamento decisorio e non
possono risolversi in una lettura delle risultanze processuali diversa
da quella operata dal giudice di merito. Il preteso vizio di
motivazione, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel
ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente
del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia,
prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esiste
insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente
adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento
logico giuridico posto a base della decisione.
9. Nel caso in questione, le valutazioni che il giudice di appello ha
operato delle risultanze istruttorie risultano congruamente motivate
in relazione a tutte le evidenze processuali emerse e sono immuni da
contraddizioni e vizi logici.
Invero, con riferimento a tutti i motivi di doglianza che è possibile
accomunare in una trattazione unitaria, rileva il Tribunale di
Catanzaro come il quadro indiziario sia caratterizzato dalla “gravità”
richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. e si componga delle
dichiarazioni rese, in più occasioni, dalle persone offese, dagli
accertamenti di polizia giudiziaria nonché dagli esiti delle

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intercettazioni telefoniche effettuate, parallelamente al dipanarsi
della vicenda, sulle utenze degli indagati, delle vittime e di terzi
soggetti, pienamente utilizzabili stante la legittimità dei
provvedimenti con cui sono state richieste, autorizzate, convalidate,
prorogate e disposte. In particolare, il Tribunale di Catanzaro ha
ritenuto che la concatenazione logica e cronologica degli eventi come meticolosamente ricostruiti, analizzati e descritti – correlati alle

circostanze riferite, in termini precisi, coerenti e spontanei, da
Imparato Giovanni ed in particolare la rapida successione tra la
manifestazione della volontà dell’amministratore di non rinnovare il
contratto di lavoro in essere con Piccolo Gerardo, la brusca reazione
di quest’ultimo e la conseguente richiesta, di tenore palesemente
estorsivo, avanzata da La Rosa Francesco, immediatamente dopo
essersi incontrato con il PICCOLO, affinchè l’Imparato cambiasse
idea, conduca, con elevato grado di probabilità, a ritenere che il
PICCOLO Gerardo abbia prestato un contributo morale, consapevole,
volontario e causalmente rilevante, alla condotta estorsiva
materialmente posta in essere dal coindagato La Rosa. E – sempre
secondo le condivisibili argomentazioni del Tribunale di Catanzaro l’esatta corrispondenza di tali conclusioni alla logica comune non
impone particolari approfondimenti in sede di motivazione né, ad
onta delle pur argute disquisizioni svolte dalla difesa, detta
conclusione può mutare solo perché il giudice per le indagini
preliminari ha fatto indistinto riferimento ad una condotta punibile di
istigazione/determinazione/rafforzamento dell’altrui proposito
criminoso: invero – prosegue il Tribunale – pur non disconoscendo la
differenza, sotto il profilo semantico, dei comportamenti sopra
esposti, è evidente che nella fase magmatica delle indagini è
ampiamente sufficiente delineare i caratteri di un concorso morale
nell’illecito che possa essersi ragionevolmente concretizzato in una
qualsiasi delle anzidette modalità alternative per giustificare
l’applicazione ed il mantenimento della misura cautelare in atto.
Inoltre, il Tribunale forniva adeguata motivazione in ordine ai
rapporti tra PICCOLO Gerardo e La Rosa Antonio evidenziando la non
contraddittorietà della decisione del giudice per le indagini
preliminari di escludere, in punto gravità indiziaria, la
corresponsabilità di La Rosa Antonio nel delitto di tentata estorsione

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giacchè, al contrario, risultava chiara la cosciente e voluta vicinanza
del prevenuto alla famiglia La Rosa evidentemente finalizzata a
trarre vantaggi nella propria carriera, nella consapevolezza della loro
storica capacità di incidere – solo ed esclusivamente in forza della
propria caratura criminale – nelle scelte imprenditoriali relative ad
attività economiche insistenti in Tropea.
In relazione, poi, al comportamento tenuto dal ricorrente

successivamente alla condotta incriminata, il Tribunale di Catanzaro
ha correttamente evidenziato come la stessa non appaia affatto
incompatibile con il concorso nella tentata estorsione; in particolare,
la mancata tempestiva “presentazione” del PICCOLO all’Imparato
può facilmente spiegarsi in conseguenza dell’intervenuta
carcerazione di La Rosa Francesco (avvenuta poco dopo, e
precisamente il 19.12.2012) con conseguente rallentamento della
pressione sul proprio datore di lavoro che avrebbe incontrato solo nel
successivo mese di febbraio. Inoltre, durante le conversazioni con la
Bretti, i colloquianti non esprimono auspici ma appaiono coscienti del
fatto che la vicinanza mostrata dal PICCOLO alla “famiglia” La Rosa
gli aveva fatto meritare un intervento decisivo a proprio vantaggio
anche da parte di La Rosa Antonio.
Pienamente condivisibile appare poi la conclusione assunta dal
Tribunale di Catanzaro che ha riconosciuto come nella condotta
consistita nel precisare che per la riassunzione di PICCOLO Gerardo
l’Imparato avrebbe dovuto fare una “cortesia” a La Rosa Antonio
(all’epoca detenuto in quanto condannato in via definitiva quale capo
dell’omonima consorteria di `ndrangheta) il quale non avrebbe preso
bene una risposta contraria, La Rosa Francesco evocava la presenza,
alle sue spalle, di un gruppo di criminalità organizzata che avrebbe
saputo imporre le sue pretese, proprio come era accaduto in
passato, ricorrendo se necessario a danneggiamenti, minacce e reati
contro la persona.
Fermo quanto precede, il provvedimento impugnato congruamente
riconosce come, alla luce delle emergenze procedimentali, il
PICCOLO certamente conosceva personalmente diversi esponenti
della famiglia La Rosa ed era perfettamente a conoscenza (o,
comunque, non poteva ignorare senza colpa) dei metodi che questi
avrebbe adoperato per “convincere” l’Imparato a rinnovare il suo

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contratto di lavoro. In particolare, le captazioni intercorse con la
Bretti, hanno dimostrato come il PICCOLO Gerardo facesse
affidamento proprio sull’uso di tale metodo sia da parte di La Rosa
Francesco che del fratello La Rosa Antonio, i quali, non avendo alcun
titolo legale per ingerirsi del suo rapporto lavorativo con la Hispania
s.r.I., potevano concretamente aiutarlo ad ottenere la rinnovazione
del contratto esclusivamente avvalendosi della propria fama di

Sul punto assolutamente condivisibile appare l’orientamento
giurisprudenziale secondo cui la circostanza aggravante di cui all’art.
7 D.L. n. 152 del 1991, convertito nella legge n. 203 del 1991 integrata dalla finalità di agevolare l’associazione di tipo mafioso – ha
natura oggettiva e si trasmette, pertanto, a tutti i concorrenti nel
reato, di guisa che è sufficiente che l’aspetto volitivo – espresso nella
norma con il riferimento al “fine di agevolare” l’associazione mafiosa
– sussista in capo ad alcuni, o anche ad uno soltanto, dei predetti
concorrenti nel medesimo reato (Cass., Sez. 5, n. 10966 del
08/11/2012-dep. 08/03/2013, Minniti, rv. 255206); così come
giustificata appare la valutazione dell’attribuibilità della medesima
aggravante a chi ignorasse la finalizzazione della condotta delittuosa
ma versi in una situazione di ignoranza colpevole (Cass., Sez. 6, n.
24025 del 30/05/2012-dep. 18/06/2012, Di Mauro, rv. 253114).
ai. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deliberato in Roma il 12.12.2013

Il Presidente

Il Consigliere estensore
Dott. Andrea Pellegrino

Dott. S

menini

appartenenti ad una temibile cosca mafiosa.

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