Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4692 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4692 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 12/12/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di MARRA Raffaele, nato a Napoli il
01.04.1978, attualmente agli arresti domiciliari per questa causa,
rappresentato e assistito dall’avv. Paolo Sperlongano avverso
l’ordinanza n. 766/2013 del Tribunale di Bari in funzione di giudice del
riesame in data 28.06.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale dott.
Massimo Galli che ha chiesto il rigetto del ricorso nonché la
discussione della difesa che ha concluso chiedendo l’annullamento del
provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1

1. Con ordinanza emessa in data 29.05.2013, il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Lucera applicava nei confronti di
MARRA Raffaele la misura cautelare della custodia in carcere in
relazione alle seguenti incolpazioni:
capo C) del reato di cui all’art. 648 cod. pen.: ricettazione di kg.
7890 di rame ricevuto da Serlenga Costantino; in Casoria il
10.01.2012;

capo D) del reato di cui agli artt. 56, 648 cod. pen.: tentata
ricettazione di kg. 2300 di rame detenuto da Serlenga Costantino; in
Candela il 18.01.2012.
1.1. Avverso la predetta ordinanza, MARRA Raffaele proponeva
ricorso per riesame chiedendo l’annullamento del provvedimento
ovvero una sua riforma con la sostituzione della misura cautelare
massima con altra meno afflittiva.
1.2. Con ordinanza in data 28.06.2013, il Tribunale di Bari in
funzione di giudice del riesame accoglieva parzialmente il ricorso ed
in riforma dell’impugnato provvedimento sostituiva la misura
custodiale massima con quella degli arresti domiciliari.
1.3. Avverso detto provvedimento veniva proposto ricorso per
cassazione con prospettazione di due distinti motivi:
-il primo, per violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 43, 648, 712 cod. pen. e 125, comma 3 cod. proc.
pen.;
– il secondo, per violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 274 lett. c), 275, 292 lett. c) bis cod. proc. pen..
1.4. Lamenta il ricorrente, in relazione al primo motivo, come
l’ordinanza impugnata – con riferimento all’incolpazione sub C) meriti censura:
– per non aver ripercorso con rigore logico la ricostruzione dei fatti,
per aver apposto una propria logica basata essenzialmente su un
ragionamento deduttivo e soprattutto per aver trascurato l’evidenza
dei dati oggettivi piegando gli stessi a considerazioni soggettive;
– per non aver giustificato l’assunto secondo il quale il MARRA
sarebbe stato consapevole che si trattasse di un carico di sicura
provenienza illecita;
– per non aver tenuto conto del fatto che il MARRA nell’immediatezza
dei fatti aveva fornito ampia giustificazione sulle proprie transazioni

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commerciali in tema di compravendite di metalli;
– per non aver considerato che il MARRA non aveva mai riscontrato
le telefonate del Serlenga la cui conoscenza non poteva essere
antecedente alla data del 25.11.2011 allorquando lo stesso Serlenga
si fa dare da altri il numero del telefono cellulare del MARRA.
Con riferimento al capo D), osserva il ricorrente come non si fosse
tenuto conto che, se il MARRA fosse stato consapevole della

provenienza furtiva del materiale, non avrebbe certo conversato con
il Serlenga una settimana dopo; che tra i due intercorse una sola
telefonata; che il MARRA si disinteressò totalmente della vicenda.
1.5. Lamenta il ricorrente, in relazione al secondo motivo, come la
decisione impugnata:
– avesse operato, con riferimento al pericolo di recidivazione, un
generico richiamo per relationem alle valutazioni operate dal giudice
per le indagini preliminari;
– non avesse esposto le ragioni per le quali le esigenze di cui all’art.
274 cod. proc. pen. non potevano essere soddisfatte con l’adozione
di misure meno afflittive rispetto alla custodia cautelare in carcere.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
3. Anzitutto è necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di
questa Corte delle decisioni adottate dal giudice del riesame in tema di
provvedimenti sulla libertà personale. Secondo l’orientamento di questa
Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce al giudice
di legittimità alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi) né alcun
potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato
(ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure
ritenute adeguate) trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito
esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione
della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame.
Il controllo sulla motivazione della Suprema Corte è, dunque,
circoscritto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., alla
verifica di tre requisiti, la cui esistenza rende la decisione intoccabile in
sede di legittimità:

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a)

l’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno

determinata;
b) l’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione, ossia la coerenza
delle argomentazioni rispetto al fine che le hanno determinate;
c) il mancato affioramento di alcuni dei predetti vizi dall’atto impugnato
(Cass., Sez. 6, n. 5334 del 22.04.1992-dep. 26.05.1993, Verdelli ed
altro, rv. 194203).

Con riguardo al tema dei limiti del sindacato di legittimità, delineati
dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., come vigente a seguito
delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, questa Corte Suprema
ha ripetutamente affermato che la predetta novella non abbia
comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare
un’indagine sul discorso giustificativo della decisione finalizzata a
sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di
merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare
l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso
per sottolineare il suo convincimento. La mancata rispondenza di queste
ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta
quale motivo di ricorso qualora comporti il cd. travisamento della prova,
purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si
pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate
alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la
loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non
ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
In particolare, il principio dell’oltre ragionevole dubbio, introdotto
nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato
la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della
sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere
decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto,
eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una
volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del
giudice del gravame di merito (cfr., Cass. Sez. 5, n. 10411 del
28/01/2013-dep. 06/03/2013, Viola, rv. 254579).
4. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come il ricorso sia del tutto
inammissibile in quanto deduce sostanzialmente motivi non consentiti in
questa sede: non si denunciano infatti reali vizi di legittimità, ma si
censurano in concreto le valutazioni e gli apprezzamenti probatori,

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operati dai giudici di merito, ed espressi nel provvedimento impugnato
con una giustificazione che risulta completa, nonché fondata su
argomentazioni giuridicamente corrette, adeguate e coerenti, nonché
indenni da vizi logici.
Per risalente giurisprudenza, eccede infatti dalla competenza della Corte
di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali,
trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di

merito.
Al riguardo non è superfluo evidenziare che, rilevare il vizio di
motivazione per erronea valutazione delle prove, significa prospettare
una diversa analisi del merito della causa e tanto è inammissibile in sede
di legittimità. In tale modo il ricorrente contrasterebbe infatti il risultato
dell’attività svolta dal giudice di appello in ordine alla valutazione ed
all’apprezzamento dei fatti e delle risultante probatorie, attività il cui
espletamento costituisce prerogativa del giudice del merito. Spetta
infatti solo a quest’ultimo individuare la fonte del proprio convincimento
e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza,
scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i
fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Il
sindacato di legittimità è limitato, invece, al riscontro estrinseco della
presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di
individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nel
provvedimento impugnato. Le doglianze avanzate avverso la decisione
di merito non meritano dunque accoglimento, poiché le stesse si
risolvono sostanzialmente nella richiesta di una lettura delle risultanze
probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e in un
complessivo riesame di merito del materiale probatorio, inammissibile in
sede di legittimità. Il tutto è perfettamente in linea con la costante
giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui la deduzione con il
ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza
impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare
il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì
la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e
della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di
merito; risulta infatti del tutto estranea all’ambito del vizio di
motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad
un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle

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risultanze degli atti di causa. La Suprema Corte più volte ha ribadito tale
principio stabilendo che, le censure concernenti vizi di motivazione, per
meritare accoglimento, devono indicare quali siano i vizi logici che
rendono del tutto irrazionale il ragionamento decisorio e non possono
risolversi in una lettura delle risultanze processuali diversa da quella
operata dal giudice di merito. Il preteso vizio di motivazione, può
legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del

insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle
parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esiste insanabile contrasto tra
le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della
decisione. Nel caso in questione, le valutazioni che il giudice di appello
ha operato delle risultanze istruttorie risultano congruamente motivate
in relazione a tutte le evidenze processuali emerse e sono immuni da
contraddizioni e vizi logici: dette valutazioni, in sostanza, si risolvono in
una opzione interpretativa del materiale probatorio che si presenta del
tutto ragionevole e, come tale, incensurabile in questa sede.

I

,

5. Anche riguardo alle esigenze cautelari il giudice

ha

correttamente fatto riferimento al procedente specifico e alla reiterate
condotte delittuose in questione, con motivazione congrua e logica.
6. Consegue pertanto l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa
delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deliberato in Roma il 12.12.2013

giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o

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