Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4683 del 18/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 4683 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CUTE’ GIUSEPPE N. IL 17/01/1981 ( iziosìzZoile, 31Ra-te-iato- )
CUTE’ ANTONINO N. IL 28/10/1978 ( posezZote setct(cea-to- )
SPADARO CARMELO N. IL 18/02/1983
TROVATO FRANCO N. IL 26/08/1971 (posiaione, 3kciceat-0-)
avverso la sentenza n. 1836/2013 CORTE APPELLO di MESSINA, del
07/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. b(196C0 ibekkije.
che ha concluso per 4 itei‘’ P o do-Q, (1)(0+149 9-&cottio

Udito er la parte civile, l’Avv
dit i difensor Avv.

Data Udienza: 18/12/2014

RITENUTO IN FATI-0
1. Va premesso che il presente procedimento, originariamente iscritto relativamente anche ai coimputati Cutè Giuseppe, Cutè Antonino e Trovato Franco,
ha visto separata la posizione processuale degli stessi, con formazione di autonomo fascicolo processuale e rinvio a nuovo ruolo.
Tenuto conto della necessità di sostituire all’ultimo momento l’originario
relatore e dell’imminente scadenza dei termini di custodia cautelare per il solo
Spadaro Carmelo, il Collegio ha ritenuto, infatti, opportuno trattare solo la posi-

La Corte di Appello di Messina con la sentenza n. 478/2014 emessa
all’udienza del 7 aprile 2014, in parziale riforma della sentenza di primo grado
riteneva SPADARO CARMELO responsabile dei delitti allo stesso ascritti e, previo riconoscimento della disciplina della continuazione con i reati di cui alla
sentenza n.1031/2012 emessa all’udienza del 7/12/2012 dalla Corte d’Appello
di Messina, rideterminava la pena in complessivi anni 9 di reclusione.
Il giudice di primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato lo Spadaro colpevole del reato ascrittogli al capo 1 dell’imputazione, in
esso ritenuto assorbito quello di cui al capo 3), con esclusione delle aggravanti
di cui all’art. 74 co. IV Dpr. 309/90 e di quella di cui all’art. 80 co. I lett. e)
DPR 309/90 nonché responsabile di quello allo stesso ascritto al capo 9), ritenuta per esso la circostanza attenuante di cui al V comma dell’art. 73 Dpr.
309/90 e dei reati di cui ai capi 8), 16), 17) e 19) e, ritenuti i reati unificati dal
vincolo della continuazione, operata la riduzione per la scelta del rito, lo aveva
condannato alla pena di anni otto e mesi otto di reclusione, oltre al pagamento
delle spese processuali e di mantenimento in carcere.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
del proprio difensore di fiducia, SPADARO CARMELO, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a.

Violazione di legge e motivazione mancante ed illogica (art. 606 co.1

lett. B ed E c.p.p.) in relazione all’art. 74 co. 6 D.P.R. 309/1990.
Il ricorrente si duole che, nonostante fosse stato presentato apposito atto
di gravame con il quale si censurava la decisione del primo giudice con la quale non era stata riconosciuta l’associazione di cui all’art. 74 co. 6 DPR
309/1990, la Corte territoriale, omettendo qualsivoglia motivazione sul punto,
avrebbe apoditticamente ritenuto infondato l’appello proposto.
Più in particolare, si evidenzia come nella sentenza impugnata sia dato
leggere: “Sempre con riferimento al reato associativo nulla vi è da dire in ordine

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zione di questi.

alla generica richiesta di ritenere la fattispecie dell’associazione diretta a commettere fatti di lieve entità di cui al comma 6 dell’art. 74 DPR 309/1990 tanto ne
è evidente l’inconsistenza” (fg. 14 sent.).
Ed invece, ci si duole, sarebbe pacifico che già il primo giudice, in relazione ad alcuni capi di imputazione, aveva riconosciuto l’ipotesi attenuata
di cui all’art. 73 co. 5 DPR 309/1990 (a titolo esemplificativo viene indicato il capo 9 della rubrica), di talché, diversamente da quanto asserito dal
giudice del gravame, la questione afferente il riconoscimento dell’associazione di

b. Violazione di legge e motivazione mancante ed illogica (art. 606 co. 1
lett. B ed E c.p.p.) in relazione all’art. 74 co. 4 D.P.R. 309/1990
Quantunque fosse contestata a tutti gli imputati l’aggravante di cui all’art.
74 co. 4 Dpr 309/1990, per aver aderito ad una societas sceleris armata, la Corte territoriale avrebbe riconosciuto la sussistenza della predetta circostanza aggravante, operando gli aumenti di pena stabiliti dal legislatore, soltanto
nei confronti dello Spadaro, omettendo qualsivoglia motivazione sul punto.
Eppure – ci si duole – anche i coimputati Cutè Giuseppe, Cutè Antonino e Trovato Franco, sono stati ritenuti responsabili della detenzione dell’arma
di cui al capo 20) della rubrica, fatto per il quale lo Spadaro
è stato condannato con sentenza N. 1031/2012 del 7/12/2012 della Corte d’Appello di Messina). L’aumento per l’aggravante in questione doveva, perciò,
essere operato nei confronti di tutti gli imputati.
In ogni caso – si aggiunge il giudice del gravame ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 74 DPR 309/1990, omettendo qualsivoglia motivazione sul pun o e, quantunque si trattasse di una sola pistola di
piccolo calibro (6,35) della quale, peraltro, giammai si è parlato nel corso delle conversazioni telefoniche ed ambientali captate durante le indagini.
Viene ricordato che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte di
legittimità: “In materia di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze

stupefacenti, non può considerarsi armata, e non ricorre quindi la specifica aggravante prevista dall’art. 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, l’associazione i
cui membri dispongano di una sola arma comune da sparo, ovvero di una sola
arma che, pur non rientrando tra quelle indicate dall’art. 2 1. 18 aprile 1975, n.
110, risulti priva di una elevata potenzialità offensiva” (così sez. 6, 18/10/1994.
c.

Motivazione illogica (art. 606 co. 1 lett. E c.p.p.) in relazione agli

artt. 133 e 81 c.p.
Ci si duole che la Corte d’Appello di Messina, accogliendo uno dei
motivi di gravame, abbia rideterminato la pena comminata nei confronti se
prevenuto, riconoscendo la disciplina del reato continuato tra i fatti ogget-

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cui all’art. 74 co. 6 DPR 309/1990 era tutt’altro che “inconsistente”.

to del

procedimento penale de quo e quelli oggetto della sentenza N.

1031/2012 del 7/12/2012 della Corte d’Appello di Messina, applicando,
tuttavia, un aumento ai sensi dell’art. 81 c.p. palesemente sproporzionato
rispetto agli altri coimputati e, soprattutto in netta antitesi alle argomentazioni appalesate alla pag. 18 della medesima sentenza impugnata.
In particolare, nella parte motiva della sentenza è dato leggere:
“Deve accogliersi la richiesta del difensore di applicare la continuazione tra
i reati oggetto del presente processo e quelli per cui è stato già giudicato,

Trattasi di un reato satellite inquadrabile senza alcuna difficoltà tra quelli
fine del sodalizio, essendo anzi espressione tipica di quel ruolo subalterno,
ma di assoluta fiducia ed importanza, svolto per la custodia ed il prelievo
degli stupefacenti. Ne consegue che la pena complessiva da infliggere allo
Spadaro deve restare fissata per ragioni di equità e pari trattamento in
quella che presumibilmente lo stesso avrebbe riportato ove il processo
avesse avuto unitaria trattazione davanti al giudice che ha giudicato gli altri imputati. E’ pur vero che questo comporta la pratica scomparsa o quasi,
in termini punitivi, dell’altro giudicato, ma il disvalore di quel fatto già giudicato e la pena inflitta deriva proprio dalla consapevolezza di quelle dinamiche di criminalità organizzata che portavano a caricare il peso punitivo
sull’unico delitto in origine accertato. Com’è noto tra l’altro in tema di applicazione della continuazione, il giudice della cognizione, che in sede di
applicazione della continuazione, individui il reato più grave in quello al
suo esame e i reati satellite in quelli giudicati con sentenza irrevocabile,
non è vincolato dal divieto di reformatio in peius, di cui all’art. 597 co. 3
c.p.p., per cui l’unico limite è quello della somma delle pene inflitte con
ciascuna sentenza, stabilito dall’art. 671 co. 2 c.p.p. (Cass. Sez. Il,
8/10/2013 n. 43768). Per il reato più grave da individuarsi nell’art. 74 c. 2
e 4 DPR 309/1990 la pena fissata in anni dieci può essere aumentata di un
0
anno per l’aggravante di cui al 3 c dell’art. 74 e poi ex art. 81 cp di sei mesi per
i reati contestati nel presente procedimento e di due anni per la continuazione
con la sentenza della Corte di Appello di Messina del 7 dicembre 2012, irrevocabile 26-9-2013. Pena finale anni tredici e mesi sei di reclusione, ridotta di un terzo per il rito” (fg. 17-18 Sent.).
Il ricorrente lamenta, dunque, che, se per un verso la Corte territoriale
evidenzia che allo Spadaro, per ragione di eauità e pari trattamento deve essere
comminata una pena complessiva fissata in quella che avrebbe riportato ove il
processo avesse avuto una trattazione unitaria, dall’altro, contraddicendo il
predetto principio, per i reati satellite (soltanto 2) contemplati nella sentenza
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inerenti la detenzione di armi e stupefacenti accertata il 4 gennaio 2011.

1031/2012 del 7/12/2012 applica un aumento ex art. 81 c.p. di ben 2 anni di reclusione, mentre, per i reati satellite contestati nel procedimento de quo opera
un aumento complessivo di 6 mesi di reclusione (due mesi per ogni capo di imputazione).
Ci si duole, inoltre, che i coimputati, Cutè Antonino, Cutè Giuseppe e
Trovato Franco, giudicati nel procedimento penale de quo per le ipotesi di
cui ai capi 19 e 20 della rubrica (per i quali lo Spadaro è stato condannato
con la sentenza N. 1031/2012 del 7/12/2012 della Corte d’Appello di Messina),

appena un mese di reclusione.
In definitiva, diversamente da quanto argomentato, il giudice del gravame, avrebbe riservato allo Spadaro un trattamento sanzionatorio palesemente
diverso rispetto a quello che avrebbe ricevuto ove fosse stato giudicato in un
unico procedimento penale, atteso che, come sopra evidenziato per i capi 19 e
20 della rubrica (per i quali lo Spadaro è stato giudicato con la sentenza
7/12/2012 della Corte d’Appello di Messina) aumenta la pena base ex art. 81
c.p. di ben 2 anni e per gli altri 3 reati contestati nel procedimento de quo
opera un aumento di pena 6 mesi (2 mesi per ogni delitto).
Fermo restando che agli altri coimputati, peraltro, originariamente
ritenuti capi e promotori dell’associazione di cui al capo 1) della rubrica,
opera un aumento in continuazione ex art. 81 c.p. di 1 mese per ogni reato
satellite. Da ciò se ne dedurrebbe la macroscopica violazione dell’art. 606 co. 1
lett. e) c.p.p. (motivazione illogica).
d. Violazione di legge e motivazione mancante ed illogica (art. 606 co. 1
lett. B ed E c.p.p.) in relazione all’art. 62 bis c.p.
Il ricorrente si duole che, con argomentazioni del tutto apodittiche, tipiche di mere clausole di stile, la Corte territoriale gli avrebbe negato le circostanze attenuanti di cui all’art 62bis c.p., quantunque lo
Spadaro fosse soggetto incensurato, alla prima esperienza carceraria e comunque avesse rivestito in seno alla consorteria criminale di cui al capo 1 della rubrica una posizione del tutto marginale (mero esecutore di precise direttive che
gli venivano impartite).

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con le conseguenti statuizioni di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati appaiono tutti infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
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diversamente dal ricorrente, abbiano riportato un aumento in continuazione di

2. Ancorché dedotte, alternativamente, come violazione di legge e/o vizio
motivazionale, le proposte doglianze mirano ad ottenere una rivalutazione del
compendio probatorio o una diversa dosimetria della pena, che non sono consentite in questa sede.
In proposito, va osservato, quanto al primo motivo di ricorso, che a pag.
14 della motivazione la Corte territoriale ha motivato in maniera logica e congrua
-e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità- circa l’evidente inconsi-

commettere fatti di lieve entità di cui al comma 6 dell’art. 74 Dpr. 309/90.
Né pare confliggere con tale argomentazione la circostanza che, per alcune ipotesi di cessione di stupefacente contestate, il giudice di primo grado abbia
riconosciuto sussistente l’ipotesi di cui al quinto comma dell’art. 73 Dpr. 309/90.
Come ha già evidenziato coerentemente la Corte messinese, infatti (cfr.
pag. 16 della sentenza impugnata) “per quanto sia discutibile considerare di lieve
entità cessioni pur in sé modeste che comunque si inquadrano in retrostanti traffici di droga di proporzioni assai importanti, nessun effetto esplica ciò sulla natura dell’associazione che non è certamente diretta a commettere fatti dì lieve entità, bensì a trattare partite dell’ordine di chili di stupefacente, programmare con
accortezza tagli della sostanza e, infine, cessioni al dettaglio ai pushers”.
Totalmente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Ed invero, come appare evidente, ancorché a pag. 18 della motivazione la
Corte territoriale sia incorsa in un errore materiale laddove si legge “reato più
grave da individuarsi nell’art. 74 c. 2° e 4° Dpr. 309/90”, allo Spadaro non è stato applicato alcun aumento di pena in relazione al quarto comma ditale norma,
circostanza aggravante ritenuta già insussistente dal GUP in sede di giudizio di
primo grado (cfr. sul punto pag. 27 della sentenza di primo grado).
Come emerge chiaramente dal computo della pena, infatti, la Corte di appello di Messina, sulla scorta della valutazione in tal senso operata dal giudice di
primo grado, ha riconosciuto sussistente soltanto l’aggravante di cui al terzo
comma dell’art. 74 Dpr. 309/90.

3. Infondate, infine, sono le censure rivolte al provvedimento impugnato
in punto di determinazione della pena e di aumento per la continuazione.
Per giurisprudenza costante di questa Suprema Corte, infatti, la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra, infatti, tra i poteri
discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia
applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il
cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e si-

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stenza della possibilità di ritenere l’associazione in questione come diretta a

mili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (così sez. 4,
n. 21294, Serratore, rv. 256197; conf. sez. 2, n. 28852 dell’8.5.2013, Taurasi e
altro, rv. 256464; sez. 3, n. 10095 del 10.1.2013, Monterosso, rv. 255153).
Già in precedenza si era, peraltro, rilevato come la specifica e dettagliata
motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran
lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere
sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le

pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (così sez. 2, n.
36245 del 26.6.2009, Denaro, rv. 245596).
Come ricordato nella sentenza impugnata, inoltre, questa Corte di legittimità
ha recentemente precisato che in casi come quello all’odierno esame, in cui il
giudice della cognizione, in sede di applicazione della continuazione, individui il
reato più grave in quello al suo esame e i reati satelliti in quelli giudicati con sentenza irrevocabile, non è vincolato dal divieto di “reformatio in peius”, di cui
all’art. 597, comma terzo, cod. proc. pen., per cui l’unico limite è quello della
somma delle pene inflitte con ciascuna sentenza, stabilito dall’art. 671, comma
secondo, stesso codice (sez. 2, n. 43768 dell’8.10.2013, Bacio Terracino e altro,
rv. 257664).
Premessi tali principi, va evidenziato come non possa avere rilievo la prospettazione comparativa delle pene tra i vari coimputati operata in ricorso, in ragione del diverso ruolo da ciascuno ricoperto nell’agire criminoso, anche rispetto
ai medesimi reati, e della diversa capacità a delinquere che si desume dai precedenti da cui sono o meno gravati.
Nel determinare la pena da irrogare all’odierno ricorrente e il quantum di
continuazione da applicare in relazione alla precedente condanna la Corte territoriale appare aver fatto buongoverno dei principi giuridici sopra richiamati, laddove ha valorizzato il fatto che lo Spadaro fosse “assiduamente coinvolto nel maneggio di grossi quantitativi di droga, con compiti di assoluta fiducia” e ha mostrato pure di avere valutato la circostanza che lo stesso vantasse un unico precedente per furto, oltre quello con il quale è stata riconosciuta la continuazione
(cfr. pag. 18 della sentenza impugnata).
In ultimo, la doglianza proposta circa la mancata concessione allo Spadaro
delle circostanze attenuanti generiche si palesa peraltro generica in quanto il ricorrente non indica (oltre l’incensuratezza dell’imputato, non più idonea da sola
a giustificare la concessione del beneficio e un assunto ruolo minimale dello stesso nella consorteria criminale che stride con le risultanze processuali di cui si è

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espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come

dato conto in motivazione da parte dei giudici del gravame) altri elementi in ipotesi non valutati o mal valutati.
Già il giudice di primo grado, peraltro, aveva rilevato come, tra l’altro, non
potessero essere concesse ad alcuno degli imputati le circostanze attenuanti generiche “in considerazione della professionalità e disinvoltura con cui essi hanno
posto in essere le innumerevoli condotte illecite” (cfr. pag. 47 della sentenza del
GUP di Messina). E la Corte territoriale ha ritenuto condivisibile tale impostazione, dando conto (cfr. pag. 16 della motivazione) di avere valutato i curricula cri-

Va rilevato in proposito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, come
più volte ribadito da questa Corte di legittimità, non è necessario che il giudice
prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle
parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri
da tale valutazione. (così questa sez. 3, n. 23055 del 23.4.2013, Banic e altro,
rv. 256172).

4. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento
P.Q.M.
La Corte,
preso atto dell’impedimento odierno del relatore originariamente designato;
considerato, pertanto, l’avvenuto mutamento del giudice relatore;
ritenuto opportuno disporre lo stralcio delle posizioni dei ricorrenti TROVATO
Franco, CUTE’ Antonino e CUTE’ Giuseppe;
considerato, pertanto, di dovere provvedere esclusivamente in relazione alla
posizione di SPADARO Carmelo, per il quale è imminente la scadenza del termine
massimo della misura cautelare a lui applicata;
DISPONE
previo stralcio delle posizioni di TROVATO Franco, CUTE’ Antonino e CUTE’
Giuseppe, il rinvio a nuovo ruolo del processo limitatamente ai detti imputati e di
procedersi nel presente giudizio nei confronti del solo SPADARO Carmelo.
Rigetta il ricorso di Spadaro Carmelo e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 18 dicembre 2014
sigliere est sore

Il Presidente

minali degli imputati, ma, soprattutto, la gravità dei fatti accertati.

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