Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46817 del 15/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46817 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RAO CARLO N. IL 03/03/1978
avverso la sentenza n. 10521/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
16/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 15/07/2013

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Roma, riqualificata l’originaria imputazione di
sequestro di persona come violenza privata e ridotta la pena, ha confermato nel resto la sentenza
emessa in data 15 giugno 2011 dal locale Tribunale, appellata da RAO Carlo, dichiarato responsabile anche dei delitti di furto aggravato, falso in carta di identità, sostituzione di persona e truffa oltre all’indebito uso di carta di pagamento, commessi fino al 14 agosto 2008.
Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo vizio di motivazione sul ricorrere della violenza privata.
Rileva il Collegio che le censure prospettate con il ricorso sono inammissibili, in quanto tendono
a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello.
Correttamente, i giudici di merito hanno fondato il giudizio di penale responsabilità del RAO
sulle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, prudentemente valutate, secondo la pacifica
regola di giudizio secondo cui tali dichiarazioni possono, anche da sole, sostenere un’affermazione di penale responsabilità, ove sottoposte ad un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non v’è ragione di
dubitare della loro attendibilità (cfr., tra le altre, Cass. sez. 3^, 27.3.2003, n. 22848, RV. 225232).
La sentenza impugnata non è dunque sindacabile in questa sede perché la Corte di cassazione
non deve condividere o sindacare la decisione, ma verificare se la sua giustificazione sia, come
nel caso in esame, sorretta da validi elementi dimostrativi e non abbia trascurato elementi in astratto decisivi, sia compatibile con il senso comune e, data come valida la premessa in fatto, sia
logica: insomma, se sia esauriente e plausibile.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in C. 1.000,00#.
P . Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di €. 1.000,00# in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15 luglio 2013.

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