Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46800 del 15/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46800 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SPICUZZA UMBERTO N. IL 21/01/1959
avverso la sentenza n. 2134/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
13/03/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 15/07/2013

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Catania ha confermato la sentenza emessa in’data 18 gennaio 2011 dal Tribunale di Siracusa, Sezione distaccata di Avola, appellata da SPICUZZA Umberto, che l’aveva dichiarato responsabile dei reati di minaccia e disturbo
all’occupazione ed al riposo delle persone, commessi fino al gennaio 2011.
Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo vizio di motivazione sulla responsabilità
perché la minaccia non sarebbe stata percepita come tale dalla p.l.
Osserva il Collegio che le censure prospettate con il ricorso sono inammissibili in quanto tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito e già
adeguatamente valutati sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello.
Nel caso in esame, difatti, i giudici del merito hanno ineccepibilmente osservato che la prova del
fatto ascritto all’imputato riposava nella testimonianza della persona offesa, la cui credibilità è
adeguatamente e sufficientemente argomentata atteso che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che l’affermazione di responsabilità può essere basata sulle sole dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova (cfr. pure C. cost. ordinanze n. 82 del 2005, n. 115 del
1992, n. 374 del 1994, e sentenze n. 2 del 1973 e n. 190 del 1971), purché la relativa valutazione
sia adeguatamente motivata.
Manifestamente infondata è anche la doglianza relativa al ricorrere della minaccia, atteso che è
indifferente che la p.l. in concreto non si sia intimidita per le espressioni usate, atteso che il delitto di cui si tratta è un reato di pericolo che ricorre per l’intrinseca idoneità delle espressioni usate
a turbare l’animo di persone di media sensibilità, ed in tale ottica una minaccia di morte è pienamente idonea a turbare la tranquillità morale di chiunque, in modo grave, attesa la natura del
male minacciato.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in C. 1.000,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di E. 1.000,00# in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15 luglio 2013.

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