Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4680 del 29/10/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 4680 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– LICATA CARUSO CALOGERO, n. 22/07/1972 a RAVANUSA

avverso la sentenza della Corte d’appello di MILANO in data 19/09/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. G. Romano, che ha chiesto rigettarsi il ricorso;

Data Udienza: 29/10/2014

RITENUTO IN FATTO

1.

LICATA CARUSO CALOGERO proponeva ricorso, a mezzo del difensore

fiduciario cassazionista, avverso la sentenza della Corte d’appello di MILANO,
emessa in data 19/09/2013, depositata in data 1/10/2013, con cui, in parziale
riforma della sentenza del GUP del tribunale di MILANO emessa il 12/02/2013,

per anni 5 in sostituzione dell’irrogata interdizione perpetua, revocando la pena
accessoria dell’interdizione legale e confermando nel resto l’impugnata sentenza;
giova in questa sede precisare che il LICATA è stato condannato alla pena di anni
4 dì reclusione per il reato di associazione per delinquere aggravata e finalizzata
alla commissione di più reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti,
dichiarazioni fraudolente, intestazione fittizia di capitali e beni immobili (fatti
contestati come commessi dal 2004 ad oggi).

2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti
quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con un primo motivo, l’inosservanza e/o erronea applicazione della
legge penale (art. 606, lett. b), c.p.p.), in relazione all’art. 416, comma 1, c.p.
quanto al ritenuto ruolo del ricorrente di promotore od organizzatore
dell’associazione e correlati vizi motivazionali di contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione intrinseca ed estrinseca (art. 606, lett. e), c.p.p.).
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver qualificato il
ricorrente come promotore dell’associazione, definendo tale come colui che
assume anche compiti direttivi ed organizzativi di un’azione coinvolgente una
pluralità di persone; tale affermazione sarebbe illogica e contradditoria, oltre che
giuridicamente errata ex art. 416, comma 1, c.p., in quanto, tenuto conto del
significato giuridico del termine “promotore; non potrebbe essere attribuito detto
ruolo al ricorrente per il sol fatto di aver reclutato una testa di legno nella
persona di tale Marchese Ragona; la debolezza argomentativa sarebbe, peraltro,
confermata dalla stessa motivazione dell’impugnata sentenza, in cui si evidenzia
come sarebbe innegabile che il Licata sia stato uno degli “organizzatori”
dell’attività del sodalizio, affermazione giuridicamente non corretta non essendo
chiaro come l’attività di reclutamento suddetta sia idonea ad integrare il
comportamento dell’organizzatore dell’associazione, soprattutto laddove si
consideri che questi agiva su disposizioni specifiche impartitegli dal Vivacqua
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applicava all’imputato la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pp.uu.

Paolo, capo della consorteria, senza alcuna autonomia decisionale, come
dimostrata anche dalla conversazione intercettata su cui si fonda la condanna del
Licata (egli, cioè, non avrebbe rassicurato il suo interlocutore che avrebbe dato
il denaro per ricoprire il ruolo di prestanome, ma che si sarebbe interposto per
fargli dare il denaro; ancora, nel corso del colloquio, di fronte alla resistenza del
suo interlocutore, avrebbe esclamato “che brutta figura mi stai facendo fare”,

posto in cattiva luca con il suo “capo” Vivacqua che gli aveva affidato l’incarico di
reclutare una testa di legno); non rileverebbe, peraltro, per spiegare detto ruolo,
il richiamo alla circostanza che il ricorrente partecipasse insieme ai fratelli
Vivacqua alle operazioni di prelevamento in contanti, comportamento definito dal
ricorrente come sintomatico dei “guardiaspalle”, come descritto dalla Corte per
l’Infantino (altro sodale), qualifica non ricomprendibile in quella
dell’organizzatore; infine, l’illogicità e contraddittorietà motivazionale
emergerebbe laddove la sentenza qualifica il ricorrente come organizzatore, a
fronte invece di dati processuali che lo descrivevano come figura di secondo
piano nell’ambito dell’organizzazione delinquenziale ed assolutamente
inconsistente nelle trattative che il Vivacqua conduceva nei suoi affari.

2.2. Deduce, con un secondo motivo, la violazione e falsa applicazione della
legge penale (art. 606, lett. b), c.p.p.), in relazione all’art. 512 c.p.p., 111 Cost.
e 6, comma 3, Convenzione e.d.u., sub specie di violazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza e correlati vizi motivazionali di
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione intrinseca (art. 606, lett.
e), c.p.p.).
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver la Corte d’appello
condannato il ricorrente come “organizzatore” laddove nei giudizi di merito
alcuna difesa era stata espletata per confutare l’accusa di aver rivestito detto
ruolo, mai contestato; la giustificazione addotta dalla Corte d’appello nel
rigettare l’eccezione (ossia che l’alternatività delle condotte di cui al comma 1
dell’art. 416 c.p., escluderebbe qualsiasi mutamento del fatto, atteso che nel
caso in esame la condotta sarebbe rimasta immutata) non sarebbe convincente,
secondo il ricorrente, in quanto la condotta del costituire l’associazione o quella
di chi promuove il sodalizio, differisce da quella dell’organizzatore del sodalizio
medesimo, sia da un punto di vista concettuale che fenomenologico; si
tratterebbe, quindi, di una vera e propria immutazione del fatto, che sarebbe
oltremodo affetta da contraddittorietà, laddove la Corte d’appello, nel tentativo
di giustificare l’attribuzione del ruolo di organizzatore al ricorrente, da un lato
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così manifestando la preoccupazione che il diniego del Marchese lo avrebbe

afferma che coloro che costituiscono od organizzano pongono in essere condotte
alterative di identica gravità, mentre nel caso in esame la condotta contestata
rimarrebbe immutata; richiamandosi alla nota sentenza Drassich della Corte
e.d.u. dell’Il dicembre 2007, infine, il ricorrente censura l’impugnata sentenza
per non aver dato allo stesso la possibilità di difendersi interloquendo sulla
diversa qualificazione del fatto, laddove ha riqualificato il ruolo del ricorrente

2.3. Deduce, con un terzo motivo, la violazione e falsa applicazione della legge
penale (art. 606, lett. b), c.p.p.), in relazione all’art. 416, comma 5, c.p., quanto
alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della partecipazione ad associazione per
delinquere in numero maggiore di 10 persone e correlati vizi motivazionali di
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione intrinseca (art. 606, lett.
e), c.p.p.).
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver la Corte d’appello
erroneamente ritenuto sussistente l’aggravante del numero delle persone, pur
essendo stato celebrato il giudizio nei confronti di sette persone soltanto; la
motivazione sul punto sarebbe manifestamente illogica, avendo ritenuto la Corte
irrilevante ai fini della decisione il fatto che la posizione di altri soggetti non fosse
stata definita, in quanto dagli atti non sarebbero emersi, quanto ai soggetti
diversi dagli appellanti, elementi che inducessero ad escludere che costoro
abbiano partecipato al sodalizio; non sarebbero stati individuati gli elementi
sintomatici positivi della partecipazione all’associazione di altri soggetti diversi
dagli appellanti, rifugiandosi in una discutibile argomentazione che ravvisa la
prova della partecipazione nell’assenza di elementi di segno contrario.

2.4. Deduce, con un quarto ed ultimo motivo, la violazione e falsa applicazione
della legge penale (art. 606, lett. b), c.p.p.), in relazione all’art. 62bis c.p.
quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e correlato vizio
motivazionale di manifesta illogicità della motivazione (art. 606, lett. e), c.p.p.).
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver la Corte d’appello
negato le attenuanti generiche, non ritenendo sussistere per il ricorrente
esigenze di adeguamento della pena al fatto concreto, come invece ritenuto per
altro sodale (Infantino).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere accolto per le ragioni di seguito esposte.
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come “organizzatore”, in assenza di contestazione in tal senso.

4. Seguendo la struttura logico – sistematica dell’impugnazione di legittimità,
devono essere esaminati i primi due motivi di ricorso, che, stante l’affinità dei
profili di doglianza proposti, possono essere congiuntamente esaminati.
In relazione alle censure proposte, si rileva come il ricorrente è stato ritenuto
dalla Corte territoriale promotore dell’associazione e, senza contestazione
originaria, qualificato come “organizzatore”; emerge dalla lettura dell’impugnata

difensiva – non sarebbe sufficiente per ascrivergli tale titolo di responsabilità il
fatto che partecipasse alle operazioni di prelevamento contanti (come, del resto,
non sarebbe sufficiente per ascrivergli la responsabilità quale “promotore”, il
fatto di essersi limitato a reclutare delle “teste di legno” da impiegare nel
sodalizio per la consumazione dei reati fine). Correlata a tale critica
“motivazionale” v’è, peraltro, la censura difensiva di violazione delle disposizioni
degli artt. 111 Cost. e 6 Convenzione e.d.u., in quanto il ricorrente si duole per
essere stato condannato quale “organizzatore”, laddove tale ruolo non era stato
oggetto dell’originaria contestazione né, tantomeno, egli si sarebbe difeso sul
punto; l’organizzatore, come sostenuto in ricorso, è infatti figura diversa dal
promotore, sia concettualmente che giuridicamente, donde ciò avrebbe
determinato uno stravolgimento dell’originaria imputazione essendo stato
condannato per un fatto diverso, in violazione dei principi affermati dalla nota
sentenza Drassich (Corte e.d.u. caso Drassich c. Italia, sentenza 11 dicembre
2007, n. 25575/04), essendo diritto dell’imputato essere informato, in tempo
utile, non soltanto dei fatti materiali posti a suo carico, ma anche – e in modo
dettagliato -della qualificazione giuridica data a questi fatti. Nel caso di specie,
applicando i principi della “Drassich” il ricorrente sarebbe condannato per un
fatto diverso (essere organizzatore) rispetto a quello contestato (essere il
promotore dell’associazione) che non era indicato nel rinvio a giudizio e che non
gli era stato comunicato in alcuna fase della procedura, con conseguente
violazione del paragrafo 3 lett. a) e b) dell’art. 6 della Convenzione, combinato
con il paragrafo 1 dello stesso articolo, che prescrive un equo processo.

5. Tanto premesso, al fine di rilevare la fondatezza delle argomentazioni
sostenute dal ricorrente, è necessario richiamare quanto affermato dalla Corte
territoriale a sostegno dell’opposta tesi (v. pagg. 8 e 39 dell’impugnata
sentenza). Orbene, quanto alla prima delle questioni, ossia quella dell’essere
stato il ricorrente condannato per il diverso ruolo di “organizzatore”, deve
ritenersi che il ruolo di “organizzatore” non implica il necessario svolgimento di
funzioni di coordinamento e direzione dell’attività altrui, che sono anzi tipiche
5

ordinanza che egli agì su disposizione del Vivacqua, ma – secondo la critica

delle figure di “promotore” o “costitutore”, essendo sufficiente che l’attività
dell’interessato – avviata contestualmente o dopo la formazione del sodalizio, ed
eventualmente priva del carattere di continuità – risulti essenziale per l’azione
degli associati ed infungibile, nel senso della non facile sostituibilità del sodale
nel ruolo assicurato. I giudici territoriali, nello sviluppare il percorso
argomentativo sul punto, tuttavia, non si soffermano adeguatamente sulla

detto ruolo, l’essenzialità per l’azione del gruppo e l’infungibilità.
La questione è incentrata sulla violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., in quanto
è indubbio che il reato di associazione per delinquere (art. 416 cod. pen.)
prevede una pluralità di figure criminose di carattere alternativo, ma autonome
tra loro, che hanno in comune il solo riferimento ad un sodalizio criminoso, per
cui la condotta del “promotore” (come, del resto, quella dell’organizzatore) è
attributiva di un ruolo autonomo nella consumazione del reato associativo. Del
resto, si noti, sebbene con riferimento all’affine figura delittuosa dell’art. 416 bis
cod. pen., la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l’associazione per
delinquere ex art. 416 bis cod. pen. prevede una pluralità di figure criminose di
carattere alternativo ed autonome, che hanno in comune tra loro il solo
riferimento ad una associazione di tipo mafioso, per cui la condotta del
promotore costituisce figura autonoma di reato e non circostanza aggravante
della partecipazione all’associazione medesima (Sez. 5, n. 8430 del 17/01/2014
– dep. 21/02/2014, Castaldo e altri, Rv. 258304).
Tuttavia, la contestazione originaria mossa al ricorrente, ossia quella di aver
svolto un ruolo di “promotore”, nel discorso logico – argomentativo sviluppato
dalla Corte territoriale tradisce in realtà un errore di qualificazione, affermando
infatti i giudici della Corte d’appello che è tale colui che assume compiti direttivi
ed organizzativi di un’azione coinvolgente una pluralità di persone (pag. 39
dell’impugnata sentenza), aggiungendo poi che, quand’anche non si ritenesse di
dover qualificare il ricorrente come tale, comunque egli sarebbe un
“organizzatore” del sodalizio criminoso, ciò che non comporterebbe alcuna
violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. in quanto l’art. 416 comma primo cod.
pen. porrebbe sullo stesso piano promotori, costitutori ed organizzatori
dell’associazione, trattandosi di condotte alternative di identica gravità, ciò che
non determinerebbe alcun “mutamento del fatto” secondo l’esegesi
giurisprudenziale di legittimità ormai consolidata, atteso che nel caso in esame la
condotta contestata rimarrebbe immutata.

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questione, né ritengono sufficiente per ascrivere la responsabilità al ricorrente, in

5.1. Tali affermazioni si prestano, a giudizio del Collegio, alle censure in diritto e
motivazionali esposte dal ricorrente, posto che, a differenza di quanto sostenuto
dalla Corte territoriale, la figura del “promotore” è quella del soggetto che
assume l’iniziativa della costituzione del sodalizio criminoso, ed è innegabile che
il tipo di condotta posta in essere dal ricorrente (ed al medesimo, infatti,
ascritta) è più vicina a quella dell’organizzatore, ma in relazione a quest’ultima

Affermare, infatti, come fa la Corte d’appello, che è “promotore” colui che
assume compiti direttivi ed organizzativi di un’azione coinvolgente una pluralità
di persone (pag. 39 dell’impugnata sentenza), altro non significa che attribuire al
medesimo in ruolo di organizzatore; ed è proprio tale ruolo che non è stato
contestato al ricorrente, con conseguente fondatezza del motivo di ricorso.
Né, osserva il Collegio, può condividersi il ragionamento logico – argornentativo
della Corte territoriale secondo cui non vi sarebbe stato mutamento del fatto in
quanto l’art. 416 comma primo cod. pen. porrebbe sullo stesso piano promotori,
costitutori ed organizzatori dell’associazione, atteso che, nel caso in esame, il
fatto criminoso è indubbiamente lo stesso (associazione per delinquere) ma ciò
che muta è il ruolo del ricorrente, quello di “organizzatore”, ruolo mai contestato.
Proprio l’autonomia del ruolo “alternativo” di organizzatore, infatti, secondo la
richiamata giurisprudenza di legittimità a proposito dell’omologo ruolo nel delitto
di cui all’art. 416 bis cod. pen., avrebbe invero imposto la modifica
dell’imputazione, ciò che non si è verificato nel caso di specie, con conseguente
violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.

5.2. Nessuna violazione, diversamente, osserva il Collegio vi è invece stata con
riferimento al principio del contraddittorio

ex artt. 111 Cost. e 6, § 3,

Convenzione e.d.u., atteso che – come più volte affermato da questa Corte qualora il fatto venga diversamente qualificato dal giudice di appello senza che
l’imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la
garanzia del contraddittorio resta comunque assicurata dalla possibilità di
contestare la diversa definizione mediante il ricorso per cassazione (Sez. 2, n.
37413 del 15/05/2013 – dep. 12/09/2013, Drassich, Rv. 256652), come in effetti
avvenuto nel caso di specie.

6. Solo per completezza, infine, ritiene il Collegio di dover affrontare i residui
motivi di ricorso che si appalesano, tuttavia, infondati.

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non v’è stata alcuna contestazione né modifica dell’imputazione originaria.

6.1. Quanto alla censura relativa al numero degli associati, la stessa è infondata
in quanto per pacifica giurisprudenza di legittimità, in tema di associazione per
delinquere, il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la
configurabilità del reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come
componente effettiva ed esistente del sodalizio e non con riferimento al numero
degli imputati presenti nel processo. Ne consegue che vale ad integrare il reato

deceduti, e che è possibile dedurre l’esistenza della realtà associativa, anche
sotto il profilo numerico, dalle attività svolte, dalle quali può risultare in concreto
una distribuzione di compiti necessariamente estesa a più di due persone (Sez.
5, n. 39223 del 23/09/2010 – dep. 05/11/2010, Mastrangeli, Rv. 248882). E non
v’è dubbio, nel caso in esame, che il numero degli associati – a prescindere da
coloro nei cui confronti si è proceduto nel processo cumulativo – superava il
numero di dieci (oltre al Vivacqua Stefano, Davide e Gaetano, al Licata ed
all’Infantino Enzo, nei cui confronti la Corte d’appello ebbe a pronunciare
sentenza in data 19 settembre 2013, risulta che si è separatamente proceduto,
sebbene con diversi ruoli, nei confronti di Scibetta, Infantino Mario, Mantellini,
Fulcoli, Peri, Cannpisi, Napoli e Biondo).

6.2.

Quanto, infine, alle censura che investe l’impugnata sentenza con

riferimento al riconoscimento delle attenuanti generiche, la stessa è infondata
atteso che la Corte d’appello, sul punto, motiva adeguatamente, rilevando che in
assenza di elementi positivi la sola incensuratezza era da considerarsi
insufficiente, atteso che l’ammissione degli addebiti peraltro limitata ai soli reati
fiscali risultava caratterizzata da un’ottica “banalizzante”, mentre l’offerta dei
beni è stata ritenuta del tutto irrilevante.
Orbene, osserva il Collegio che la predetta motivazione si sottrae ai dedotti vizi,
atteso che, come più volte affermato da questa Corte, con l’art. 62 bis cod. pen.,
che prevede le attenuanti generiche, il legislatore ha inteso introdurre nel
sistema penale un istituto atto a mitigare l’asprezza della pena in base ad
elementi desumibili da quei dati che caratterizzano la capacita a delinquere a
norma dell’art 133 cod. pen. e che, ragionevolmente valutati, siano ritenuti dal
giudice come meritevoli di particolare considerazione ai fini di un più congruo
adeguamento della pena in concreto. A tal uopo, basta che la sentenza dia conto
dell’uso del relativo potere discrezionale, sicché essa è adeguatamente motivata
se, nel negare l’applicazione delle attenuanti generiche all’imputato, si richiami
alla sua veste di “organizzatore” di un’associazione criminosa, perche tale
qualifica è indice di una personalità avente una marcata attitudine criminale, tale
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anche la partecipazione degli individui rimasti ignoti o giudicati a parte o

da non far sorgere quelle indeterminate ragioni che possono giustificare
l’applicazione delle attenuanti generiche. Questo apprezzamento così espresso è
elemento idoneo a sorreggere il diniego e costituisce esauriente ed adeguata
motivazione della sentenza. Esso, per il suo carattere prevalente, implica ripudio
di ogni altra ragione addotta a sostegno della richiesta di tali attenuanti (v., in

7. Il ricorso dev’essere, dunque, accolto in relazione ai primi due motivi di
impugnazione, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano, perché
proceda a rivalutare la questione relativa al ruolo del ricorrente alla luce della
contestazione originaria mossa (“promotore”), questione che, richiedendo
inevitabili apprezzamenti fattuali in ordine alle condotte svolte ed emergenti
dagli atti, sfugge ai poteri valutativi di questa Corte.

P.Q.M.

La Corte annulla con rinvio la sentenza impugnata ad altra Sezione della Corte
d’Appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2014

Il

sigli e est.

Il Presidente

termini: Sez. 1, n. 637 del 07/10/1971 – dep. 15/11/1971, Rizzo, Rv. 119318).

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