Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46796 del 11/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 46796 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
De Masi Pasquale, nato a Roma il 03/05/1981

avverso l’ordinanza del 25/10/2012 del Tribunale del riesame di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Elisabetta Cesqui, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’indagato l’avv. Vincenzo Galeota, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 25 ottobre 2012 il Tribunale del riesame di
Catanzaro, in ciò confermando il provvedimento emesso dal locale giudice per le
indagini preliminari (invece annullato per altri reati), ha disposto che Pasquale
De Masi rimanesse sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere

Data Udienza: 11/06/2013

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quale indagato per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.
1.1. Ha ritenuto quel collegio che sussistessero a carico del De Masi gravi
indizi di colpevolezza, alla stregua delle convergenti propalazioni dei collaboratori
di giustizia Rocco Oppedisano, Michele Ganino e Antonio Forastefano, in aggiunta
al coinvolgimento dell’indagato in un’attività di spaccio, in concorso col cognato
Vincenzo Bartone e con altri sodali, per la quale era stato raggiunto da una
precedente ordinanza coercitiva. Quanto alle esigenze cautelari, ha ravvisato il
pericolo di reiterazione dei reati desumendolo dalle modalità della condotta, di

mafiosa nel quale essa era inquadrata.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite dei difensori,
affidandolo a due motivi.
2.1. Col primo motivo il ricorrente rinnova l’eccezione di inefficacia della
misura ex art. 309, comma 10, cod. proc. pen., per omessa trasmissione al
Tribunale del riesame di una parte degli atti utilizzati dal G.I.P..
2.2. Col secondo motivo contrasta il giudizio di sussistenza della gravità
indiziaria, rilevando fra l’altro l’omessa valutazione delle dichiarazioni rese da un
altro collaboratore di giustizia, Antonio Forastefano, a suo giudizio dimostrative
dell’inesistenza del sodalizio criminoso. Quanto alla propria partecipazione,
contesta che possa trarsene prova da un singolo accadimento processuale,
tuttora sub iudice e comunque non correlato al contesto delle investigazioni.
Sotto altro profilo nega l’attualità delle esigenze cautelari, attesa la lontananza
nel tempo delle condotte in contestazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Priva di fondamento è l’eccezione di inefficacia della misura cautelare, che
informa il primo motivo di ricorso.
1.1. Secondo l’assunto del ricorrente, il Tribunale del riesame non avrebbe
avuto a disposizione tutti gli elementi che erano stati portati a conoscenza del
g.i.p. per essere mancata la trasmissione di alcuni atti, fra cui le dichiarazioni
rese dai collaboratori di giustizia Oppedisano e Ganino, nonché i tabulati delle
utenze telefoniche utilizzate quali dati dimostrativi degli spostamenti sul
territorio del De Masi e dei coindagati.
1.2. In adesione a quanto osservato nell’ordinanza impugnata, va rimarcato
che spetta insindacabilmente al pubblico ministero la selezione degli elementi
d’accusa che intende sottoporre al giudice contestualmente alla richiesta di
applicazione di una misura cautelare (fermo restando l’obbligo di trasmettere

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estrema gravità ed allarme sociale, stante l’accertato contesto di criminalità

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nella loro interezza gli elementi a favore dell’imputato), secondo quanto disposto
dall’art. 291, comma 1, cod. proc. pen.; con la conseguenza per cui ciò che
rileva, ai fini dell’osservanza dell’art. 309, comma 5, dello stesso codice, è
soltanto la corrispondenza fra gli atti trasmessi al giudice del riesame e quelli
utilizzati dal g.i.p. ai fini dell’imposizione della misura (v. Sez. 5, n. 6231 del
21/12/1999 – dep. 11/02/2000, Zapparata, Rv. 216242, citata anche nell’ordinanza). Nel caso di specie tale corrispondenza vi è stata: sicché la mancanza, fra
gli atti pervenuti alla valutazione del Tribunale, dei verbali contenenti le

della sanzione processuale di cui all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., dal
momento che l’utilizzo di tali risultanze è avvenuto, anche da parte del g.i.p.,
sulla base soltanto di quanto riportato nella richiesta del P.M. e nelle informative
di reato della Squadra Mobile.

2. Il secondo motivo, articolato in molteplici censure, è in parte infondato e
in parte inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
2.1. Inammissibile, perché non riconducibile ad alcuno dei motivi consentiti
dall’art. 606 cod. proc. pen., è la censura con la quale il ricorrente sollecita la
rilettura delle dichiarazioni rese dal collaborante Antonio Forastefano, per
derivarne l’affermazione di circostanze favorevoli alla difesa. Al riguardo non sarà
inutile ricordare che, per consolidata giurisprudenza, pur dopo la modifica
legislativa dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. introdotta dall’art. 8 L.
20 febbraio 2006, n. 46, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di
controllo sulla motivazione – la rivisitazione degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti; e il riferimento ivi contenuto anche agli
«altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame» non vale a
mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi
comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai
dati processuali (così Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; v.
anche le più recenti Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile, Rv. 245103; Sez.
6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).
2.2. Da disattendere è la linea difensiva volta a negare capacità
dimostrativa, in rapporto all’imputazione ex art. 74 d.P.R. 309/1990, alla vicenda
processuale riguardante l’attività di traffico illegale di stupefacenti in concorso
con Vincenzo Bartone; essa è versata in fatto, nella parte in cui nega la
connessione con l’attività illecita svolta dall’associazione criminale; ed è priva di
correlazione con la ratio decidendi dell’ordinanza impugnata, là dove contesta
che la menzionata attività possa da sola costituire l’indizio fondante dell’ap-

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dichiarazioni dei collaboranti e dei tabulati telefonici non importa l’applicazione

partenenza all’associazione, atteso che la motivazione addotta dal Tribunale si
richiama a un ben più corposo compendio indiziario, valorizzando anche le
propalazioni dei collaboratori di giustizia.
2.3. Non è fondata, infine, la denuncia di carenza argomentativa in ordine
alle esigenze cautelari. L’accertato contesto di criminalità di matrice mafiosa connotata per sua natura dal carattere della permanenza – nel quale s’inquadra
l’attività delittuosa presa in considerazione nell’ordinanza impugnata rende
ragione dell’attualità del pericolo di reiterazione delle condotte illecite,

della sola custodia inframuraria.

3. Il rigetto del ricorso, che pianamente consegue a quanto fin qui
argomentato, comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
3.1. La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter,
delle disposizioni di attuazione al cod. proc. pen..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen..

Così deciso il 11/06/2013.

congruamente valorizzato dal Tribunale anche sotto il profilo dell’adeguatezza

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