Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46786 del 15/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 46786 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Murreli Francesco, nato a Lanusei il 09/05/1975
avverso la sentenza emessa 1’11/01/2012 dalla Corte di appello di Cagliari
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATI-0
1. Con sentenza dell’11/01/2012, la Corte di appello di Cagliari confermava
la condanna di Francesco Murreli ad anni 3 e mesi 6 di reclusione per i delitti di
minaccia e lesioni gravi in danno di Salvatore Lai, di cui alla pronuncia emessa il
17/06/2010 dal Tribunale di Lanusei: i fatti si riferivano ad una aggressione che
l’imputato era accusato di avere realizzato nei confronti del Lai all’esterno di un
bar dove poco prima lo aveva incontrato facendogli gesti di scherno.

Data Udienza: 15/03/2013

Sulla dinamica dell’episodio, osservava la Corte territoriale che gli assunti del
Lai avevano trovato piena conferma (quanto ai profili essenziali del racconto,
dovendosi invece trascurare «minime differenze su aspetti di contorno») nella
testimonianza di Gian Luca Coccoda, che aveva riferito «dell’atteggiamento
insolente e provocatorio assunto da Murreli sin dal momento in cui vide Lai
entrare nel bar, dell’aggressione proditoria attuata dallo stesso Murreli nei
confronti di Lai quando costui uscì dal bar e dell’impiego da parte di Murreli di un
grosso portacenere per colpire Lai alla testa»; il mancato intervento del Coccoda

dell’appellante – con il rilievo che il Lai stava fisicamente prevalendo sul Murreli,
bensì perché il teste svolgeva compiti di guardia giurata nella vigilanza di una
banca adiacente, da cui non avrebbe potuto allontanarsi, oltre a doversi
considerare che ad occuparsi di bloccare la condotta del Murreli aveva già
pensato il titolare del bar.
La Corte di appello disattendeva poi le censure della difesa sia in ordine al
lamentato atteggiamento provocatorio del Lai risultante dagli atti (la persona
offesa non aveva effettivamente aderito all’invito del barista di uscire
dall’ingresso principale, onde evitare di incontrarsi di nuovo con il Murreli, ma ciò
era dipeso dall’avere egli lasciato la propria auto dinanzi alla porta secondaria,
con le chiavi nel quadro), sia quanto alla presunta modestia delle lesioni
riportate dal denunciante, smentita dalle certificazioni mediche e dalla
circostanza che il Lai aveva subito financo due giorni di ricovero.
2. Propone ricorso per cassazione il difensore del Murreli, sviluppando un
unico, articolato motivo.
La difesa lamenta violazione degli artt. 125, 192 e 546 del codice di rito,
nonché delle norme sostanziali di cui alle contestazioni mosse all’imputato,
deducendo altresì mancanza e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata. Nel ricorso si sostiene che la Corte territoriale avrebbe
acriticamente riproposto le dichiarazioni del Lai, senza tenere conto dell’interesse
di cui questi era portatore, né delle contraddizioni ed omissioni in cui era
incorso; i giudici di merito avrebbero poi travisato il contributo del Coccoda,
ritenendolo di essenziale conferma degli assunti del denunciante, quando invece
il teste aveva parlato di colluttazione fra il Lai ed il Murreli, con calci e pugni
volati da una parte e dall’altra.
Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità che richiede un vaglio
rigoroso dell’attendibilità della persona offesa, in specie se costituitasi parte
civile: vaglio che nel caso in esame sarebbe mancato, non foss’altro perché – già
in punto di credibilità intrinseca del racconto – il Lai aveva affermato di non

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nel sedare la lite doveva poi giustificarsi non già – come ritenuto dalla difesa

aspettarsi che qualcuno, fuori dal bar, potesse aggredirlo, pur precisando di
avere udito le presunte minacce di morte del Murreli, provenienti appunto
dall’esterno del locale. Ritiene pertanto la difesa che, non già quale spiegazione
logica alternativa, bensì quale unica spiegazione logica, «il Lai decideva di
raggiungere il Murreli per continuare la lite intrapresa nel bar. Lo faceva
consapevole che il Murreli fosse là ad aspettarlo per lo stesso motivo. Lo faceva
senza paura, come lui stesso ha affermato. Lo faceva con la volontà e la
certezza di riprendere la colluttazione».

narrazioni del Lai e del Coccoda, sia quanto alla dinamica dei fatti al momento
del presunto colpo alla testa sferrato dal Murreli, utilizzando un posacenere, sia
circa la condotta del Lai una volta prestatigli i primi soccorsi (la persona offesa
aveva sostenuto di essersi trovata in stato di sostanziale incoscienza, mentre
l’altro aveva ricordato come il Lai non volesse essere accompagnato in ospedale,
ed infatti aveva deciso di recarsi piuttosto in commissariato per denunciare
l’imputato). A proposito del suddetto posacenere, non ne sarebbe neppure
provato con certezza l’impiego da parte del Murreli, visto che il Coccoda ne
aveva ricordato solo la rottura in mille pezzi, una volta caduto a terra, ed era
comunque verosimile che l’imputato lo avesse afferrato durante la colluttazione,
in stato d’ira a causa della caduta a terra della compagna (in stato di
gravidanza), provocata dal Lai.
Quanto all’entità delle lesioni, reputa infine la difesa che non basti il
riferimento ad un ricovero per poterne evincere la gravità: a seguito di detto
ricovero, al Lai erano comunque stati prescritti solo dieci giorni di riposo,
coerenti con il fatto che egli rifiutò l’ambulanza e fu capace di guidare la propria
auto subito dopo essere stato colpito.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 In vero, gli argomenti utilizzati dal difensore dell’imputato tendono a
sottoporre al giudizio di legittimità aspetti che riguardano la ricostruzione del
fatto e l’apprezzamento del materiale probatorio, da riservare in linea di principio
alla esclusiva competenza del giudice di merito e già valutati sia in primo che in
secondo grado.
Sino alla novella introdotta con la legge n. 46 del 2006, la giurisprudenza di
questa Corte affermava pacificamente che al giudice di legittimità deve ritenersi
preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione

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Nell’interesse dell’imputato si evidenziano altresì le discrasie ulteriori nelle

impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore
capacità esplicativa, dovendo soltanto controllare se la motivazione della
sentenza di merito fosse intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito. Quindi, non potevano avere rilevanza le censure
che si limitavano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la
verifica della correttezza e completezza della motivazione non poteva essere
confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti,

dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento» (v., ex plurimis, Cass., Sez. IV, n. 4842
del 02/12/2003, Elia).
I parametri di valutazione possono dirsi solo parzialmente mutati per effetto
delle modifiche apportate agli artt. 533 e 606 cod. proc. pen. con la ricordata
novella: infatti, questa Corte potrebbe ravvisare un vizio rilevante in termini di
inosservanza di legge processuale, e per converso in termini di manifesta
illogicità della motivazione, laddove si rappresenti che le risultanze processuali
avrebbero in effetti consentito una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a
quella fatta propria dai giudici di merito, purché tale diversa ricostruzione abbia
appunto maggior spessore sul piano logico (realizzando così il presupposto del
“ragionevole dubbio” ostativo ad una pronuncia di condanna).
Questa è appunto, nella prospettazione difensiva, la situazione che si verifica
nel caso concreto, atteso che la tesi secondo cui il Lai intese uscire dal locale,
segnatamente non utilizzando la porta principale, volendo proseguire la
colluttazione iniziata all’interno, rappresenterebbe l’unica spiegazione logica della
dinamica dei fatti, piuttosto che una ricostruzione alternativa parimenti plausibile
rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito.
1.2 Non possono tuttavia condividersi le censure del ricorrente.
Nella motivazione della sentenza impugnata si dà infatti contezza della
necessità di distinguere, sul piano logico e cronologico, i due momenti essenziali
della vicenda. Si segnala in particolare che, «con specifico riferimento
all’aggressione che causò a Lai le lesioni alla testa, Murreli era ormai uscito dal
locale e si trovava in una situazione assolutamente tranquilla, in cui non vi era
per lui alcun pericolo e tanto meno una stringente necessità difensiva: al
contrario, egli attese Lai, insieme alla convivente […], preannunciando, come ha
riferito il teste Coccoda, l’aggressione imminente».
Ergo, non può avere concreto spessore, tanto da determinare un ragionevole

dubbio circa la ricostruzione dei fatti e la conseguente declaratoria di penale

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«non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione

responsabilità dell’imputato, l’assunto che il Lai fu forse consapevole di quel che
sarebbe accaduto fuori dal bar; la persona offesa poté anche immaginare di
ritrovarsi dinanzi al Murreli, ma il fatto stesso di avere atteso alcuni minuti prima
di uscire, assumendo così un atteggiamento antitetico rispetto all’idea che egli
volesse prolungare la lite, lascia fondatamente ritenere che il denunciante
confidasse di evitare un nuovo confronto con l’imputato, allontanandosi in auto.
Al contrario, è pacifico che all’esterno del locale fu il Murreli a riprendere
l’iniziativa, ricorrendo alla violenza fisica: del tutto fuorvianti appaiono gli

pur avendo il Coccoda ricordato che quello strumento andò in frantumi cadendo
a terra – il teste descrisse con dovizia di particolari il ripetuto gesto dell’imputato
di colpire il Lai alla testa proprio con il posacenere in questione (come parimenti
risulta dal testo della sentenza impugnata, a pag. 6), dunque la caduta e la
rottura dello stesso costituirono semplicemente l’ultimo segmento della scena
visivamente percepita dalla guardia giurata.
Altrettanto insostenibile sul piano logico appare l’ipotesi di uno stato d’ira del
Murreli correlato alle condizioni della compagna (era stato egli stesso, a dispetto
della cautela che lo stato di gravidanza della donna avrebbe dovuto suggerirgli, a
restare sul posto continuando a proferire minacce a gran voce verso il Lai, non
ancora uscito dal bar); in punto di durata delle lesioni, la motivazione della Corte
territoriale nel riconoscere credito alla certificazione neurologica rilasciata al
denunciante il 09/01/2007, con il prolungamento della prognosi iniziale, appare
incontrovertibile, essendo al contrario del tutto insignificante il rilievo che il Lai
fosse apparso solo “un pochettino sanguinante” agli occhi di un Ispettore di P.S.
(che comunque ritenne necessario accompagnarlo al Pronto Soccorso).
2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Murreli al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/03/2013.

argomenti della difesa circa la mancata prova dell’uso del posacenere, giacché –

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