Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46777 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 46777 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CRESSOTTI GIANPIETRO N. IL 27/05/1971
avverso l’ordinanza n. 221/2013 TRIB. LIBERTA’ di BOLZANO, del
23/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
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Uditi dife or Avv.;

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n 4 CID 1/1109

Data Udienza: 30/10/2013

Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Bolzano, con ordinanza in data 23.07.2013, rigettava
l’appello proposto nell’interesse di Cressotti Giampietro avverso l’ordinanza del
4.07.2013 con la quale il giudice monocratico del Tribunale di Bolzano aveva
rigettato la richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini e la richiesta
subordinata di sostituzione della misura carceraria in atto.
Il Tribunale rilevava che la misura cautelare della custodia in carcere nei

furto ex artt. 61 nn. 6 e 7, 110, 624, 625 n. 2 cod. pen.; che il termine di fase
risulta pari a mesi sei; e che il decreto di citazione a giudizio era stato emesso in
data 6.02.2013. Il Collegio considerava che il mancato rispetto dei termini a
comparire, evenienza che aveva determinato la declaratoria di nullità dell’originario
decreto di citazione a giudizio da parte del giudice monocratico, non aveva
determinato la decorrenza del relativo termine di fase, atteso che le Sezioni Unite
della Suprema Corte di Cassazione hanno chiarito che il mancato rispetto del
termine di comparizione di cui all’art. 552, comma 3, cod. proc. pen., non
determina la nullità del decreto di citazione e la restituzione degli atti al pubblico
ministero. Osservava, pertanto, che l’intervenuta emissione del decreto di citazione
a giudizio, seppur successivamente dichiarato nullo per inosservanza dei termini a
comparire, aveva comportato il passaggio alla seconda fase, ai fini del computo dei
termini di custodia cautelare e che il termine di durata massima della cautela non
era decorso.
Il Tribunale rilevava, poi, che neppure poteva trovare accoglimento la
richiesta di sostituzione della misura carceraria in atto, stante l’elevato pericolo di
reiterazione criminosa. Al riguardo, osservava che il Cressotti è soggetto
plurirecidivo e che il reato per il quale si procede è stato commesso mentre il
prevenuto si trovava in affidamento al SERT, ex art. 94, d.P.R. n. 309/1990.
2.

Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione

Cressotti Ganpietro, a mezzo del difensore.
Con il primo motivo l’esponente denuncia l’erronea applicazione della legge
penale e l’inosservanza di norme processuali. La parte considera che il
provvedimento applicativo della misura cautelare risale al 25.10.2012; che il
decreto di rinvio a giudizio del 6.02.2013 è stato dichiarato nullo per mancato
rispetto dei termini a comparire; ed assume che, conseguentemente, debba
ritenersi inutilmente decorso il termini di mesi sei, relativo alla fase precedente al
rinvio a giudizio.
Il ricorrente osserva che seppure le Sezioni Unite hanno da ultimo affermato
che il mancato rispetto dei termini a comparire non comporta la restituzione degli
atti al pubblico ministero e la regressione alla fase precedente, deve ritenersi
2

confronti del prevenuto era stata adottata il 25.10.2012, in relazione al reato di

assodato che l’atto nullo non può spiegare i propri effetti, di talché l’atto non può
produrre effetti neppure in riferimento al passaggio alla successiva fase, incidente
sulla decorrenza dei nuovi termini di custodia cautelare. La parte ritiene che una
diversa interpretazione del quadro normativo comporterebbe la violazione dell’art.
13 Cost.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio
motivazionale, in riferimento alle esigenze di cautela ed al rigetto della richiesta di

protratta per oltre nove mesi; e rileva che il Tribunale del Riesame avrebbe dovuto
valutare la attualità delle esigenze di cautela e non limitarsi a condividere le
valutazioni effettuate dal primo giudice al momento della adozione del
provvedimento coercitivo. Osserva che in tema di modifica della misura cautelare, il
giudice deve considerare la personalità dell’indagato ed il comportamento tenuto
nel corso dell’esecuzione. L’esponente sottolinea che Cressotti ha usufruito di
permessi di uscita dal carcere, osservando puntualmente le relative prescrizioni;
che ha svolto l’attività di idraulico, nella struttura carceraria; e che ha rispettato il
programma terapeutico di recupero dalla dipendenza tossicologica. La parte ritiene
che il Tribunale non abbia considerato la reale personalità del prevenuto e che non
abbia chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto inadeguata la gradata misura degli
arresti domiciliari. Sottolinea che Cressotti, al momento del fatto per cui si procede,
si trovava in affidamento al servizio sociale e non in regime di detenzione
domiciliare.
Con ulteriore motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione della legge
penale e la mancanza di motivazione. Osserva che nel provvedimento impugnato si
fa riferimento ad un grave quadro indiziario; e ritiene che tale evenienza avrebbe
imposto al pubblico ministero di chiedere il giudizio immediato, ai sensi dell’art.
453, comma 1 bis, cod. proc. pen.
Considerato in diritto
3. Il ricorso in esame muove alle considerazioni che seguono.
3.1 Con il primo motivo la difesa ha posto il problema relativo al rilievo che
ha il provvedimento di annullamento del decreto che dispone il giudizio, rispetto al
decorso dei termini della custodia cautelare. Il ricorrente sostiene che se, alla data
del provvedimento di annullamento, il termine della fase cui il procedimento
regredisce era già scaduto, dovrebbe farsi luogo alla scarcerazione dell’indagato o
dell’imputato. In pratica, secondo la tesi sostenuta dall’esponente, il principio di cui
all’art. 303, comma 2 cod. proc. pen., in base al quale quando a seguito di
annullamento il procedimento regredisce ad una fase processuale diversa, i termini
di quella fase decorrono nuovamente a far tempo dalla data del provvedimento che

3

modifica dell’assetto cautelare in atto. La parte osserva che la misura carceraria si è

dispone il regresso, sarebbe applicabile nei soli casi in cui il provvedimento di
annullamento venga emesso entro i termini della fase precedente.
Il rilievo non ha pregio.
La giurisprudenza di legittimità, invero, ha da tempo affermato il principio in
base al quale “la perdita di efficacia della custodia cautelare non dipende tanto dalla
validità degli atti di mutamento di fase processuale previsti dall’art. 303 c.p.p.
quanto e soltanto dalla loro mancata emissione nei termini”; con la precisazione

conta è l’esistenza storico-giuridica dell’atto e non la sua validità, senza che sia
dato distinguere tra vizio e vizio” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4301 del 14/07/1998,
dep. 28/09/1998, Rv. 211413).
Si tratta di principi che questo Collegio ribadisce, per condivise ragioni.
Va, infatti, rilevato che la durata dei termini della custodia deve individuarsi
con riferimento alle imputazioni ed ai provvedimenti (che possono riguardare non
solo il passaggio da una fase ad un’altra, ma anche eventuali sospensioni o
proroghe dei termini) al momento esistenti; e che nessuna incidenza assumono le
successive modifiche delle imputazioni o l’annullamento dei predetti provvedimenti.
In conclusione, deve ritenersi che correttamente il Tribunale non ha
ravvisato la decorrenza dei termini di fase della custodia cautelare; e ciò in
considerazione del fatto che il provvedimento con il quale il giudice monocratico ha
disposto la rinnovazione della notifica della citazione a giudizio non comporta la
caducazione degli effetti ormai prodotti dalla intervenuta adozione dell’originario
decreto di citazione a giudizio, in riferimento alla decorrenza del nuovo termine di
fase, ai sensi dell’art. 303, comma 1, lett. b), cod, proc. pen., relativo alla custodia
cautelare in atto.
3.2 D secondo motivo di ricorso è destituito di fondamento.
Giova premettere, nel procedere all’esame delle censure mosse dal
ricorrente rispetto all’apprezzamento delle esigenze cautelari effettuato dai giudici
del merito, che il controllo di legittimità relativo ai provvedimenti “de libertate”
concerne l’esame del contenuto dell’atto impugnato al fine di verificare, da un lato,
le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, la assenza di illogicità
evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (cfr. Cass. Sez. IV sentenza n. 2146 del 25/5/95, dep. 16.06.1995,
Rv. 201840; e, da ultimo, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 56 del 07/12/2011,
dep. 04/01/2012, Rv. 251760). Alla Corte di Cassazione, invero, spetta il compito di
verificare la congruenza logica della motivazione resa dal giudice di merito rispetto
alla valutazione degli elementi indiziari ed in ordine alla proporzionalità ed
adeguatezza dei presidi di contenimento.

4

che: “ai fini del cambiamento di fase e della decorrenza dei nuovi termini, ciò che

Con specifico riferimento ai parametri ora richiamati, che vengono in rilievo
nel caso che occupa, preme poi osservare che la Corte regolatrice ha recentemente
ribadito che il giudice della cautela deve costantemente verificare che ogni misura
risulti adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari che si ravvisano nel caso
concreto, secondo il paradigma della gradualità del sacrificio imposto al soggetto
sottoposto a restrizione; e che la misura cautelare sia altresì proporzionata all’entità
del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata (Cass. Sez.

3.2.1 Muovendo da tali principi è dato soffermarsi sui motivi di doglianza
dedotti dal ricorrente, evidenziandosi che l’ordinanza gravata risulta sorretta da un
conferente percorso logico argomentativo, per quanto concerne la valutazione
relativa alla scelta delle misure cautelari rispetto alle esigenze che vengono in
rilievo nel caso di specie.
Ed invero, il Tribunale di Bolzano ha basato le valutazioni relative al
concreto pericolo di attività recidivante ed alla scelta del presidio di contenimento,
sull’analisi critica delle accertate modalità della condotta criminosa ed in riferimento
alla personalità dal prevenuto. Segnatamente, il Collegio ha considerato che a
carico dell’imputato si rinvengono numerosi precedenti, anche specifici; e che lo
stesso aveva commesso ulteriori reati, pure nel momento in cui beneficiava del
regime ex art. 94, d.P.R. n. 309/1990. Il Tribunale ha quindi rilevato che dette
evenienze, unitamente alle modalità della condotta criminosa, inducevano a
ritenere sussistente un attuale pericolo di attività recidivante ed una pervicacia
nella attività delinquenziale; e che la estrema misura in atto appariva conforme ai
criteri di scelta dettati dall’art. 275, cod. proc. pen. Si tratta di considerazioni
logicamente coerenti e del tutto conformi ai criteri di inferenza che presiedono
all’apprezzamento delle esigenze cautelari, sulla base delle accertate modalità della
condotta e della personalità dell’imputato, che non risultano perciò sindacabili in
questa sede di legittimità.
3.3 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
La parte introduce, in termini meramente assertivi, un nuovo tema,
osservando che laddove dovesse ritenersi sussistente un grave quadro indiziario a
carico del prevenuto, il pubblico ministero avrebbe dovuto procedere nelle forme
del giudizio immediato, ex art. 453, comma 1 bis, cod. proc. pen.
Si osserva che la questione da ultimo richiamata, che involge il profilo della
gravità indiziaria, non è stata precedentemente dedotta dall’esponente, né avanti al
giudice procedente, né avanti al Tribunale di Bolzano, adito ex art. 310 cod. proc.
pen. Deve allora richiamarsi l’insegnamento espresso dalla Corte regolatrice, in
base al quale in tema di appello cautelare – come nel caso di specie – stante la
natura devolutiva del giudizio, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite
5

U, Sentenza n. 16085 del 31/03/2011, dep. 22/04/2011, Rv. 249323).

segnato non solo dai motivi dedotti dall’impugnante, ma anche dal “decisum” del
provvedimento gravato, sicché non possono proporsi motivi nuovi rispetto a quelli
avanzati nell’istanza sottoposta al giudice di primo grado (cfr. Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 43913 del 02/07/2012, dep. 13/11/2012, Rv. 253786).
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali. Viene disposta la trasmissione di copia della presente
ordinanza al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al
direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito
dall’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma in data 30 ottobre 2013.

quanto stabilito dall’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.

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