Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46772 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 46772 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARINKOVIC ZIKO N. IL 14/06/1963
avverso l’ordinanza n. 8/2011 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
29/04/2011
sentita la r azione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
lette/sekife le conclusioni del PG Dott.
)
3

tt

Uditi difensor Avv.;

LAT

Data Udienza: 24/10/2013

Ritenuto in fatto

MARINKOVIC Ziko, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Venezia con la quale è stata accolta la sua
istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita per due giorni e liquidata la somma
di euro 300,00, mentre è stata rigettata in relazione al residuo periodo del
mantenimento della custodia cautelare per la ritenuta sussistenza della condotta ostativa

Il Marinkovic, giudicato dal Tribunale dei minorenn4 per i reati di rapina aggravata,
tentato omicidio, porto illegale di armi ed altro, era stato assolto in via definitiva con la
formula per non aver commesso il fatto.
La Corte territoriale, nel motivare il rigetto parziale, ha ritenuto che l’istante aveva
concorso al mantenimento della custodia cautelare omettendo in sede di interrogatorio di
fornire chiarimenti sulla sua presenza in casa nella notte del fatto e nelle ore antecedenti
la rapina, così fornendo un alibi falso.
Quanto alla liquidazione dell’indennizzo,il giudice della riparazione ha applicato il
parametro aritmetico pari ad euro 235,82 per ogni giorno di restrizione ingiusta,
riducendolo ad euro 150,00 per la rilevanza negativa dei precedenti penali dell’istante.

Il ricorrente ha articolato tre motivi di censura.
Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 314 c.p.p., censurando l’interpretazione
data dal giudice di merito della colpa grave e sostenendo l’ininfluenza, ai fini del
mantenimento della custodia cautelare, della circostanza afferente la sua presenza in
casa nella notte della rapina, dallo stesso falsamente affermata agli inquirenti, a fronte
del quadro indiziario complessivo a suo favore.
Con il secondo motivo lamenta che il giudice della riparazione, violando i principi
affermati dalle Sezioni unite con la sentenza Ambrosio, aveva fondato la colpa grave su

ex art. 314 c.p.p.

elementi indiziari a disposizione del giudice della cautela, valutati diversamente dal
giudicante, che aveva pronunciato sentenza assolutoria.
Con il terzo motivo censura la statuizione nella parte in cui aveva riconosciuto per due
giorni, a titolo di liquidazione del diritto alla riparazione, la somma complessiva di euro
300,00 dimenticando, ai fini del calcolo dell’indennizzo / che i termini per la custodia
cautelare per i minori degli anni 18 sono ridotti della metà e operando una illegittima
\{)

riduzione facendo riferimento all’esistenza di precedenti condanne in capo all’istante.

Considerato in diritto

Il ricorso è parzialmente fondato con riferimento al terzo motivo.
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Il primo motivo è infondato.

Va, innanzitutto ricordato che

nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta

detenzione, il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il
procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del
procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i

giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo
convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del
dolo ( v. tra le tante, da ultimo, Sezione IV, 11 aprile 2012, n. 21896, Hilario, rv.
253325).

Ciò detto, l’ordinanza impugnata sfugge da censure in questa sede, perché fa corretta
applicazione dei principi di diritto operanti nella subiecta materia ed è assistita da
congrua motivazione.

La decisione, infatti, è in linea con il principio in forza del qualeIM,o;rile”‘
,..d in materia di
riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della sussistenza della
condizione ostativa della “colpa grave” dell’interessato, pur dovendosi considerare
l’insindacabile diritto al silenzio da parte della persona sottoposta alle indagini e
dell’imputato (che hanno il diritto di difendersi anche con il silenzio, la reticenza o

il

mendacio), il giudice ben può valutare il comportamento silenzioso o mendace per
escludere il suo diritto all’equo indennizzo. Infatti, anche nel necessario rispetto delle
strategie difensive adottate in sede penale, nel procedimento de quo

è possibile

valutare, per escludere il diritto all’indennizzo, il comportamento silenzioso o mendace
dell’indagato o dell’imputato, che, per quanto legittimamente tenuto nel procedimento
penale, abbia finito con il non chiarire la propria posizione mediante l’allegazione di quelle
circostanze, a lui note, idonee a contrastare l’accusa o a vincere le ragioni di cautela (cfr.,
in tal senso, Sezione IV, 17 novembre 2011, n. 7296, Berdicchia, rv 251928).

La decisione gravata rispettq il suddetto principio, avendo valorizzato come sopra
dettagliato il comportamento gravemente imprudente del prevenuto che, in sede di
primo interrogatorio, si era avvalso della facoltà di non rispondere e nel successivo
interrogatorio aveva mentito affermando di essere rimasto a casa nella notte del fatto.

Anche il secondo motivo è infondato.

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presupposti per l’ottenimento del beneficio. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del

Il giudice della riparazione,

chiamato a pronunciarsi sull’ingiusta detenzione,

per

valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave,
deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili,
con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del
convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in
sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti

perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un
iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di
merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto
che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di “causa ad effetto” (cfr., tra le tante, la citata sentenza Hilario).

La Corte di merito ha proceduto secondo le suindicate indicazioni di principio, attraverso
l’analisi del quadro indiziario, venuto meno,e solo parzialmente, in dibattimento, per
mancata acquisizione del verbale di audizione del teste ex articolo 500 c.p.p. ed ha
valorizzato negativamente il fatto che l’istante non era stato rintracciato a casa nella
notte del fatto.

La motivazione sul punto fornita è congrua e resiste alla lettura di segno diverso operata
nel ricorso.

Va del resto ricordato che la nozione di “colpa grave” di cui all’articolo 314, comma 1,
c.p.p., ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione, va individuata in quella
condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica
negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di
intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un
provvedimento restrittivo della libertà personale. A tal riguardo, la colpa grave può
concretarsi in comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave
leggerezza o la macroscopica trascuratezza, tenuti sia anteriormente che
successivamente al momento restrittivo della libertà personale; onde, l’applicazione della
suddetta disciplina normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non
integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del giudice
della riparazione) (di recente, Sezione IV, 12 febbraio 2010, Petrozza).
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concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la

Infondata è la deduzione afferente l’asserita violazione dei principi sanciti dalla richiamata
sentenza delle Sezioni unite D’ambrosio, che si riferisce alla diversa ipotesi, prevista
dall’art. 314, comma 2, c.p.p., cioè ai casi in cui sia stato accertato che il provvedimento
custodiale è stato emesso o mantenuto in assenza delle condizioni di applicabilità previste
dagli artt. 273 e 280 c.p.p.

La questione innanzitutto da affrontare è se, anche nel caso di imputato minorenne, il
dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tento presente,
è costituitok l,perteitO dal parametro aritmetico, calcolato secondo i iparaThetfi /indicati
dalla sentenza delle v. Sezioni unite, 9 maggio 2001, Caridi, individuato, alla luce dei
criteri sotto indi ati,nella,somma di euro 235, 82 per ogni giorno di detenzione in carcere
ed in quella i i euro 120 i i per ogni giorno di arresti domiciliari, in ragione della ritenuta
minore afflittività della pena.
A tale conclusione la giurisprudenza di legittimità è pervenuta rilevando la necessità di
contemperare il parametro aritmetico- costituito dal rapporto tra il tetto massimo
dell’indennizzo di cui all’articolo 315, comma 2, c.p.p. (euro 516.456,90) e il termine
massimo della custodia cautelare di cui all’articolo 303, comma 4, lett. c).,c.p.p.,
espresso in giorni ( sei anni ovvero 2190 giorni), moltiplicato per il periodo anch’esso
espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita – con il potere di valutazione equitativa
attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto, che non può mai comportare lo
sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito.
Secondo i principi costantemente affermati da questa Corte tale criterio aritmetico di
calcolo, rispetto al quale, in particolare, la somma che ne deriva [euro 235, 82, per
ciascun giorno di detenzione in carcere] può essere ragionevolmente dimezzata [euro
117,91] nel caso di detenzione domiciliare, attesa la sua minore afflittività, costituisce,
però, solo una base utile per sottrarre la determinazione dell’indennizzo ad un’eccessiva
discrezionalità del giudice e garantire in modo razionale una uniformità di giudizio.
Il parametro aritmetico indicato, pertanto, costituisce uno standard che fa riferimento
all’indennizzo in un’astratta situazione in cui i diversi fattori di danno derivanti
dall’ingiusta detenzione si siano concretizzati in modo medio ed ordinario; con la
conseguenza che tale parametro può subire variazioni verso l’alto o verso il basso in
ragione di specifiche contingenze proprie del caso concreto. In ogni caso, al giudice è
chiesta una valutazione che pur equitativa, non può mai essere arbitraria, onde egli è
tenuto ad offrire una adeguata motivazione che dia conto, alla luce del materiale
probatorio acquisito, delle ragioni per le quali si è distaccato dai parametri standard, con
l’unico limite che il frutto della sia determinazione non può condurre allo sfondamento del
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Fondato è, invece, il terzo motivo.

tetto, normativamente fissato, dell’entità massima della liquidazione (cfr. Sezione IV, 16
luglio 2009- 5 novembre 2009 n. 42510, Ric. Ministero dell’economia in proc. Morelli).

Trattandosi di un parametro standard, nel senso sopra indicato, ritiene il Collegio che lo
stesso sia applicabile anche nella ipotesi che la ingiusta detenzione sia riferita ad un
imputato minorenne, come nel caso in esame, applicabile sempre che non siano
individuati fattori eccezionali, suscettibili, nel caso concreto, di alterare il rapporto che il

L’altra questione da affrontare è se la somma ottenuta, applicando i suddetti parametri,
possa essere ridotta facendo riferimento alle precedenti condanne.
Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto che la somma spettante al Marinkovic , alla
luce del criterio aritmetico, per i due giorni di ingiusta dovesse essre ridotta in euro
300,00 (euro 150,00 per ogni giorno di detenzione) in considerazione della circostanza
che il ricorrente risultava avere precedenti condanne, essendo ragionevole ritenere che,
in tal caso, il danno derivante dalla ingiusta detenzione sofferta sia minore.
Ritiene il collegio di non condividere tale affermazione, non potendo la circostanza
indicata costituire un valido elemento da cui desumere, automaticamente e
necessariamente, una minore afflittività del periodo di detenzione ( v. in tal senso di
recente, Sez. III, 20 gennaio 2011, n. 17404, Tripodi, rv. 250279, che richiama, per
contrastarlo, il diverso orientamento, che giustifica tale riduzione, nelle ipotesi di
precedenti condanne e detenzioni, facendo riferimento alla minore afflittività in tali casi
della privazione della libertà personale, riconducibile sia al minore discredito che l’evento
comporta per una persona la cui immagine sociale è già compromessa, sia al fatto che la
sua dimestichezza con l’ambiente carcerario rende meno traumatica l’ingiusta privazione
della libertà, v. Sez. IV, 22 giugno 2010, n. 34673, Trapasso, rv 248083).
Ritiene tuttavia il Collegio di riaffermare che una automatica e generalizzata riduzione
della somma determinata secondo il c.d. criterio aritmetico per tutti i soggetti che
abbiano subito precedenti condanne e precedenti detenzioni, rende la valutazione
equitativa priva di una adeguata e logica motivazione, dal momento che la esistenza di
precedente esperienza carceraria può avere, secondo i casi, sia un effetto di riduzione
della sofferenza cagionata dalla carcerazione sia un effetto di massimizzazione di quella
sofferenza.
L’ordinanza impugnata deve di conseguenza essere annullata con rinvio per nuovo esame
alla Corte d’appello di Venezia, che si uniformerà al principio di diritto sopra indicato,
provvedendo in quella sede al regolamento delle spese di questo giudizio tra le parti.

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legislatore ha inteso fissare tra i predetti termini.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione dell’indennizzo e rinvia
sul punto alla Corte di Appello di Venezia, cui rimette anche il regolamento delle spese tra
le parti del presente giudizio.
Rigetta il ricorso nel resto.

Il Consigliere estensore

Il Presi ente

Così deciso nella camera di consiglio del 24 ottobre 2013

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