Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46746 del 06/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 46746 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAPALLINI CRISTIANO N. IL 26/03/1980
avverso la sentenza n. 2371/2013 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di GENOVA, del 08/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
lette/seetite le conclusioni del PG Dott. E i> R, í_L
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Data Udienza: 06/11/2013

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FATTO e DIRITTO

1.1. errata applicazione degli artt. 40- 110 c.p. e 73 del D.P.R. n. 309/90, in relazione
all’art. 129 c.p.p., essendo stata attribuita al ricorrente la responsabilità per l’episodio
di cui al capo sub D) dell’imputazione, quando invece la condotta penalmente rilevante
si era esaurita con la commissione del reato di cui al capo sub A): le cessioni
successive a quella di cui al capo A), infatti, non sono ascrivibili al ricorrente, in
quanto facenti parte di un programma criminoso cui egli era estraneo, rientrando in
autonomi accordi intercorsi fra gli altri coimputati e terzi a lui sconosciuti;la
responsabilità per la cessione di cui al capo sub D), dunque, gli è stata attribuita solo
in virtù della diversa ed autonoma condotta contestata sub A), imponendosi al
riguardo un annullamento senza rinvio previa rideterminazione della pena per
insussistenza del fatto;
1.2. violazione dei commi 1 e 6 dell’art. 73 del D.P.R. n. 309/90, in relazione all’art.
110 c.p., essendo stata erroneamente applicata la circostanza aggravante del numero
delle persone in ordine al capo sub D) dell’imputazione, attraverso il mero calcolo
aritmetico degli imputati coinvolti, senza differenziare le diverse condotte ed i diversi
ruoli assunti nella vicenda, e senza valutare se effettivamente la condotta tenuta dal
ricorrente – tutt’al più un’intermediazione tra il Pennisi e l’Hysaj – sia stata commessa
da tre o più persone;
1.3. la sentenza contiene un errore materiale relativamente alla pena pecuniaria
inflitta, che era stata concordata in misura pari ad euro 16.000,00 (somma risultante
dalla riduzione finale, ex art. 444 c.p.p., della pena di euro 24.000,00).
2. Palesemente infondati devono ritenersi i primi due motivi di doglianza, ove si
consideri che, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, se il giudice
ha adeguatamente motivato in ordine alla insussistenza di ipotesi di proscioglimento ai
sensi dell’ad 129 cod. proc. pen., è inammissibile, in sede di legittimità, ogni
impugnazione contenente eccezioni o censure relative al merito delle valutazioni
sottese al consenso prestato.
Invero, tutte le statuizioni non illegittime, concordate tra le parti e recepite in
sentenza, in quanto manifestazione di un generale potere dispositivo che la legge
riconosce alle parti e che il giudice ratifica, non possono essere dalle stesse parti
rimesse in discussione con il ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 4118 del 20/09/1999,
dep. 29/09/1999, Rv. 214482).
Nel caso in esame il Giudice non solo ha esplicitato le ragioni che lo hanno portato ad
escludere la presenza delle condizioni dettate dall’art. 129 c.p.p. per il proscioglimento
nel merito, ma ha altresì provveduto alla congrua indicazione dei presupposti della
ritenuta continuazione tra le due diverse fattispecie di reato all’imputato in rubrica
ascritte.
Né la parte può dolersi della misura della pena “patteggiata”, a meno che non si versi
in ipotesi di pena illegale, evenienza, questa, senz’altro da escludere nel caso in
esame, poiché per qualificare illegale la pena non basta eccepire che il giudice non
abbia correttamente esplicato i criteri valutativi che lo hanno indotto ad applicare la
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1. Cristiano Rapallini propone personalmente ricorso per cassazione avverso la
sentenza emessa dal G.u.p. presso il Tribunale di Genova in data 8 marzo 2013, con
la quale gli veniva applicata ex artt. 444 ss. c.p.p. la pena di anni quattro di reclusione
ed euro 24.000,00 di multa per i reati di cui agli artt. 110 c.p. e 73, comma 1, del
D.P.R. n. 309/90, rispettivamente commessi in Genova 1’8 marzo 2012 (capo sub A)
ed il 12 marzo 2012 (capo sub D), deducendo i seguenti motivi:

pena richiesta, ma occorre che il risultato finale del calcolo non risulti conforme a
legge.

4. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione
delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di euro
millecinquecento.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, lì, 6 novembre 2013
Il Consigliere estensore

Il esidente

3. Palesemente infondato, altresì, deve ritenersi il terzo profilo di doglianza, dal
ricorrente prospettato senza avvedersi che all’erronea indicazione contenuta nel
dispositivo dell’impugnato provvedimento si era già ovviato con la correzione
appositamente disposta dal Giudice ex art. 130 c.p.p., in forza dell’ordinanza del 12
aprile 2013, sì come riportata a margine del medesimo provvedimento.

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