Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46742 del 08/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 46742 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
FIRENZE
nei confronti di:
HAMDI RIDHA BEN ABDELSSALEM N. IL 26/02/1965
inoltre:
HAMDI RIDHA BEN ABDELSSALEM N. IL 26/02/1965
avverso la sentenza n. 2016/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
11/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
F kào Vi TTO JZ:
che ha concluso per
h
4 ~4.4.
,

Udito, per la parte civile, l’Avv

SCA Ala

Data Udienza: 08/10/2013

ce ,’

Udit i difensor Avv.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’Il dicembre 2012 la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della
sentenza emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Firenze in data 27 marzo 2012, ha assolto per
non aver commesso il fatto Hamdi Ridha Ben Abdessalem dai reati di detenzione e cessione
continuata di sostanze stupefacenti in rubrica ascrittigli ai capi sub A) e B), in concorso con
Raboutti Majdi, separatamente giudicato, e, ritenuta applicabile l’attenuante di cui al comma

C) – ex artt. 81, cpv., c.p. e 73 del D.P.R. n. 309/90, commesso in Firenze dalla fine del 2010
sino al 17 febbraio 2011 – nella misura di anni due di reclusione ed euro quattromila di multa,
revocando l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e confermando nel resto l’impugnata
sentenza.

2. Avverso la su indicata decisione della Corte d’appello di Firenze ha proposto ricorso per
cassazione il P.G. della Repubblica presso la medesima Corte, deducendo i vizi di violazione di
legge e difetto di motivazione sia riguardo al reato di cui al capo sub A), che a quello in rubrica
ascritto sub B).
Quanto alla prima ipotesi di reato, in particolare, la Corte di merito non ha valutato le
argomentazioni della pronuncia di primo grado che facevano riferimento anche alle
informazioni assunte dall’acquirente Leonardo Gridoni, laddove questi ha dichiarato di essersi
rivolto, per gli acquisti di stupefacente, a persone che rispondevano sia sul cellulare attribuito
all’imputato, che a quello attribuito al Raboutti.
Né la Corte ha considerato che nell’abitazione dei due imputati sono stati rinvenuti droga,
materiale per il suo confezionamento, somme di denaro ed appunti che confermavano il
commercio di quelle sostanze.
Quanto alla seconda ipotesi di reato, inoltre, la Corte ha creduto, senza valutarne
l’attendibilità, alle dichiarazioni dell’imputato, il quale ha affermato che il danaro rinvenuto
proveniva da una sua attività lavorativa, circostanza, tuttavia, da nessuno verificata, mentre
gli ulteriori elementi di fatto – il presunto stato di tossicodipendenza e la destinazione al
consumo personale della sostanza rinvenuta – non erano privi di rilevanza indiziaria ai fini
dell’attività di spaccio.
E’ stata erroneamente riconosciuta, infine, l’attenuante della lieve entità, poiché le concrete
circostanze del fatto (durata del commercio e pluralità degli acquirenti) non autorizzavano ad
inquadrarlo in una attività di minima offensività.

3. Avverso la su indicata pronuncia della Corte d’appello hanno altresì proposto ricorso i
difensori di fiducia dell’imputato, deducendo:

1

quinto dell’art. 73 del D.P.R. n. 309/90, ha rideterminato la pena per il reato di cui al capo sub

a)

la nullità della sentenza per inosservanza di norme processuali penali e carenze

motivazionali, non emergendo le ragioni che hanno condotto la Corte d’appello a confermare la
sentenza di primo grado in ordine al reato sub C), a fronte di un percorso argomentativo che
ha invece correttamente portato i Giudici di secondo grado ad una pronuncia assolutoria per i
reati di cui ai capi sub A) e B): si è infatti ritenuto che l’attribuibilità delle utenze telefoniche
all’imputato costituisce un elemento connotato da margini di incertezza che ne preclude
l’affermazione della penale responsabilità per i reati da ultimo indicati, laddove

all’imputato scaturiva anche l’ipotesi accusatoria di cui al reato sub C); né, peraltro, i Giudici
d’appello hanno tenuto conto delle doglianze difensive in merito alla prospettata inutilizzabilità
delle individuazioni fotografiche, effettuate senza una previa descrizione somatica del soggetto
da riconoscere;

b) violazione di legge ed illogicità della motivazione (ex art. 606, lett. b) e lett. e), c.p.p.) in
relazione all’art. 62-bis c.p., avendo l’impugnata sentenza escluso le attenuanti generiche
sull’erroneo presupposto che l’imputato fosse recidivo, quando la recidiva era stata esclusa
dalla sentenza di primo grado, e non avendo inoltre considerato una serie di circostanze (ad
es., l’ammissione dell’uso personale dello stupefacente rinvenuto nella camera condivisa con il
coimputato), la cui adeguata ponderazione avrebbe condotto ad una diversa conclusione sul
punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso proposto dal P.G. è fondato e deve essere conseguentemente accolto.

5. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, la motivazione della
sentenza d’appello che riformi in senso radicale la decisione di primo grado si caratterizza per
un obbligo peculiare e “rafforzato” di tenuta logico-argomentativa, che si aggiunge a quello
generale della non apparenza, non manifesta illogicità e non contraddittorietà, desumibile dalla
formulazione della lett. e) dell’art. 606, comma 1, c.p.p. (Sez. 6, n. 46847 del 10/07/2012,
dep. 04/12/2012, Rv. 253718; Sez. 6, n. 1266 del 10/10/2012, dep. 10/01/2013, Rv. 254024;
Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, dep. 21/02/2013, Rv. 254113).
Più in particolare, si è affermato che il giudice di appello che riformi la decisione di condanna
del giudice di primo grado, nella specie pervenendo ad una sentenza di assoluzione, non può
limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente o
sommariamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale
montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che
egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice,
considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente
2

dall’acquisizione dei relativi tabulati telefonici indicati dalla Polizia giudiziaria come in uso

acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e
compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. Un., n. 6682
del 04/02/1992, dep. 04/06/1992, Rv. 191229; Sez. 4, n. 35922 del 11/07/2012, dep.
19/09/2012, Rv. 254617).
Ne discende, in definitiva, che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo
grado ha l’obbligo di delineare le basi strutturali poste a sostegno del proprio, alternativo,
ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti contenuti nella

incoerenza, e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio
probatorio perché ritenuta preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (v. Sez.
Un., n. 33748 del 12/07/2005, dep. 20/09/2005, Rv. 231679; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013,
dep. 20/02/2013, Rv. 254638).

6. Considerando, ora, le implicazioni di tale quadro di principii in relazione alla concreta
disamina della vicenda storico-fattuale oggetto della regiudicanda, deve rilevarsi come la Corte
territoriale, nel privilegiare l’epilogo assolutorio, abbia operato una rivalutazione sommaria
delle emergenze probatorie, venendo meno all’obbligo di motivazione rafforzata che grava sul
giudice di appello nelle evenienze procedimentali dianzi esaminate.
Invero, con riferimento alle ipotesi delittuose contestate nei capi sub A) e sub B), emerge dalle
sequenze motivazionali della decisione del Giudice di prime cure la decisa valorizzazione
assegnata ad un insieme di dati probatori, il cui contenuto avrebbe dovuto richiedere
un’attenta disamina, seguita da un bilanciamento comparativo del peso specifico assegnato
alle diverse componenti strutturali dell’intero quadro probatorio, all’interno del perimetro
individuato dalle linee argomentative proprie della prospettiva assiologica sopra indicata.
Rilevano, in particolare, sotto tale profilo:

a) la perquisizione dell’abitazione comune ad

entrambi gli imputati, che dividevano la stessa camera all’interno della quale furono rinvenuti
sostanze stupefacenti, materiale per il loro confezionamento, somme di denaro in contanti e
manoscritti confermativi dell’attività di spaccio; b) le dichiarazioni rese da Leonardo Gridoni,
che sembra aver descritto il proprio fornitore di eroina in modo sostanzialmente corrispondente
all’imputato, riferendo altresì di aver già acquistato dal medesimo altri quantitativi di
stupefacente; c) l’esame dei tabulati relativi alle utenze cellulari in uso all’imputato e dei
relativi contatti telefonici;

d) gli intensi contatti telefonici intervenuti con il coimputato

Raboutti; e) le identiche modalità di confezionamento delle dosi cedute dal coimputato e di
quelle da preparare nell’appartamento ove fu rinvenuto il quantitativo di stupefacente
attribuibile all’Hamdi; f) l’identico soprannome indicato dai vari acquirenti identificati nel corso
delle indagini (nominativo, peraltro, già fornito dal Gridoni); g) il ruolo di fornitore di sostanze
stupefacenti in favore del coimputato Raboutti, che sarebbe stato svolto dall’imputato in
relazione alle diverse vicende storico-fattuali descritte nei relativi temi d’accusa.

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motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o

Sui punti or ora evidenziati, ed in relazione ai numerosi aspetti e profili ad essi fattualmente
correlati e, come tali, investiti dal motivato convincimento espresso dal Giudice di primo grado,
la Corte territoriale ha omesso di confutarne appieno la consistenza e linearità del
ragionamento probatorio, trascurando la necessaria valutazione critica di tutti gli elementi su
cui è stata fondata la precedente decisione di condanna.

6.1. Analoghe considerazioni devono svolgersi per quel che inerisce al riconoscimento

avuto riguardo alla pacifica linea interpretativa in questa Sede tracciata, secondo cui il giudice
del merito deve fornire in motivazione una adeguata valutazione complessiva del fatto (in
particolare, mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza, con
riferimento alla percentuale di purezza della stessa), poiché solo in tal modo è possibile in
concreto formulare un giudizio di lieve offensività del reato (Sez. 6, n. 27809 del 05/03/2013,
dep. 25/06/2013, Rv. 255856).
Al riguardo, infatti, la Corte distrettuale si è limitata a valorizzare il solo dato evincibile dal
modesto rilievo dell’attività di spaccio – in tal guisa contrapponendo frontalmente la diversa
valutazione di un elemento già ritenuto asintomatico dalla decisione di primo grado – e ad
assegnare altresì un immotivato rilievo ad un elemento neutro, se non addirittura
insignificante, rappresentato dal mancato accertamento del principio attivo della sostanza
stupefacente di volta in volta ceduta, senza confrontarsi criticamente con i diversi elementi di
valutazione fatti oggetto, sul punto, di un motivato apprezzamento da parte del Giudice di
prime cure (quali, ad es., la pluralità degli acquirenti, le tecniche utilizzate ed il carattere
niente affatto occasionale, ma anzi reiterato dell’attività di spaccio, elemento, quest’ultimo,
contraddittoriamente riconosciuto, peraltro, nello stesso percorso motivazionale della decisione
in questa Sede impugnata).
Ne discende che il giudice, ai fini della concedibilità o del diniego della su indicata circostanza
attenuante, è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati,
quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che
attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti
oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento
dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del
bene giuridico protetto sia di “lieve entità” (Sez. 4, n. 6732 del 22/12/2011, dep. 20/02/2012,
Rv. 251942).

7. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, l’impugnata sentenza deve
essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze,
che nella piena libertà delle valutazioni di merito di sua competenza dovrà porre rimedio alle
rilevate carenze motivazionali, uniformandosi al quadro dei principii di diritto in questa Sede
stabiliti.
4

dell’attenuante della lieve entità del fatto di cui all’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990,

8. Infondato, di contro, deve ritenersi il ricorso proposto dall’imputato, ove si considerino, per
quel che attiene al primo motivo di doglianza ivi articolato: a) l’assoluta genericità dei rilievi al
riguardo prospettati dal ricorrente, a fronte del congruo ed esaustivo apparato logicoargomentativo della decisione pronunziata dalla Corte d’appello, che in ordine alla
configurabilità del delitto di cui al capo sub C) ha ampiamente giustificato le ragioni del suo
convincimento, richiamando le analoghe valutazioni già espresse dal Giudice di primo grado

testimonianze rese dagli acquirenti di sostanze stupefacenti ascoltati nel corso delle indagini;
b) il buon governo dei principii che regolano la materia oggetto del su indicato profilo di
doglianza, essendosi la Corte di merito fedelmente attenuta al quadro di regole evincibili dal
pacifico insegnamento giurisprudenziale da questa Suprema Corte elaborato, secondo cui
l’individuazione fotografica di un soggetto effettuata dalla polizia giudiziaria costituisce una
prova atipica la cui affidabilità non deriva dal riconoscimento in sé, ma dalla credibilità della
deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia, si dica certo della sua identificazione

(ex

multis, Sez. 6, n. 49758 del 27/11/2012, dep. 20/12/2012, Rv. 253910).
Corretta, sul punto, deve pertanto ritenersi l’impostazione seguita nell’impugnata pronunzia,
che ha criticamente affrontato le obiezioni ed i rilievi difensivi, non mancando di porre in
rilievo, con congrua ed esaustiva motivazione, che i testimoni ascoltati nel corso delle indagini
avevano visto diverse volte il loro fornitore da vicino, ed erano quindi pienamente in condizione
di ricordarne le sembianze, in tal guisa escludendo ogni dubbio sul risultato dell’esatta
percezione delle caratteristiche fisiche del soggetto sottoposto all’individuazione.
Parimenti infondata, altresì, deve ritenersi la seconda censura mossa dal ricorrente, ove si
ponga mente al consolidato orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui, nel motivare
il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda
in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli
atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi, o comunque rilevanti,
rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del
16/06/2010, dep. 23/09/2010, Rv. 248244; Sez. 2, n. 2285 del 11/10/200h dep. 25/01/2005,
Rv. 230691).
Al riguardo si censurano, dunque, le valutazioni proprie di un potere discrezionale il cui
esercizio è stato oggetto di congrua motivazione da parte della Corte territoriale, che su tale
punto ha fatto riferimento alla marcata tendenza a delinquere dell’imputato, peraltro
identificato con un alias, ed all’assenza di elementi di segno positivo, richiamando i parametri
dettati dall’art. 133 c.p. ai fini della dosimetria della pena, ed in tal guisa esprimendo la piena
giustificazione di un apprezzamento di merito come tale non assoggettabile a sindacato in
questa Sede, laddove le deduzioni difensive al riguardo formulate si pongono, di contro, nella
mera prospettiva di accreditare una diversa ed alternativa valutazione in ordine alla

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riguardo all’attendibilità ed ai caratteri di univocità e convergenza del contenuto delle diverse

sussistenza dei presupposti fattuali che giustificherebbero la concessione delle invocate
attenuanti.

9. Al rigetto del ricorso proposto dall’imputato consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del
medesimo al pagamento delle spese processuali.

In accoglimento del ricorso del P.G., annulla la sentenza impugnata in ordine ai reati di cui ai
capi A) e B) nonché all’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990 inerente
al reato di cui al capo C) e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di
Firenze. Rigetta il ricorso dell’imputato che condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, lì, 8 ottobre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

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