Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46737 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 46737 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da
Ragosta Fedele, nato a San Giuseppe Vesuviano il 14.1.1969,
avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli, in data 14.6.2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Piercamillo Davigo.
Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, dott. Carmine Stabile,
il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
Uditi i difensori, Avv. Massimo Krog e Mario Papa, i quali hanno concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso,

Data Udienza: 07/11/2013

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 12.3.2012 il G.I.P. del Tribunale di Napoli
disponeva la custodia cautelare in carcere nei confronti di Fedele Ragosta,
indagato per il reato di cui agli artt. 110 e 416 bis (capo 2) per concorso
esterno nell’associazione camorristica denominata “Fabbrocino” ed ai sensi

dell’art. 648 ter e 7 d.l. n. 152/91, per reimpiego dei proventi del clan (capo
3), fittizia intestazione di beni aggravata dall’art. 7 legge n. 203/1991 (capo
4), corruzione in atti giudiziari (capi 11, 12 e 13) e disponeva il sequestro
dell’intero patrimonio.
Il Tribunale del riesame, con ordinanza 12.4.2012, confermava il
provvedimento limitatamente al reato di reimpiego non aggravato e con altra
ordinanza in pari data confermava il sequestro limitatamente al reato di
reimpiego.
Con ordinanza in data 4.6.2012 il Tribunale di Napoli, quale giudice
d’appello, sostituiva alla misura della custodia in carcere quella degli arresti
domiciliari.
Avverso tale provvedimento ricorrevano per cassazione sia il
Procuratore della Repubblica che la difesa e questa Sezione, con sentenza
n. 44822 del 6.11.2012, dep. il 15.11.2012, rigettò il ricorso dell’indagato ed
in accoglimento del ricorso del P.M. annullò l’ordinanza impugnata con rinvio
al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

2. Con ordinanza 10.7.2012 il G.I.P. del Tribunale di Napoli dispose la
custodia in carcere di Ragosta Fedele per concorso esterno in associazione
mafiosa e reimpiego aggravato dall’art. 7 legge n. 203/1991, sulla base di
nuovi elementi acquisiti dal P.M.
Il Tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza 24.7.2012 dichiarò la
nullità della misura per la mancata trasmissione dei verbali di interrogatorio
degli indagati, sicché Ragosta Fedele tornava agli arresti domiciliari.

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3. Con ordinanza in data 1.8.2012, il G.I.P. del Tribunale di Napoli
disponeva la custodia cautelare in carcere di Ragosta Fedele per i reati e sui
presupposti della ordinanza dichiarata inefficace.
Avverso tale ordinanza i difensori dell’indagato, proponevano ricorso
per cassazione che veniva rigettato dalla Sez. 5^ di questa Corte con
sentenza 28316 del 12.3.2013 dep. 28.6.2013.

4. Con ordinanza 17.8.2012 il G.I.P. del Tribunale di Napoli dispose la
custodia in carcere di Ragosta Fedele per corruzione.
Il Tribunale del riesame, con ordinanza 5.9.2012 confermò la custodia
per il reato associativo e quello di reimpiego ed annullò il provvedimento per
il reato di corruzione.

5. Con ordinanza 5.9.2012 il G.I.P. del Tribunale di Napoli sostituì alla
custodia in carcere gli arresti domiciliari.
Avverso tale provvedimento il Procuratore della Repubblica propose
appello ed il Tribunale di Napoli, con ordinanza 2.12.2012 lo accolse.
La difesa di Ragosta propose ricorso per cassazione e la Sez. 5^ di
questa Corte, con sentenza n. 28080 del 12.3.2013 annullò l’ordinanza di
appello 2.12.2013 con rinvio al Tribunale di Napoli, accogliendo parte del
secondo motivo di ricorso (relativo alla mancata considerazione
dell’intervenuto sequestro dell’intero patrimonio personale e societario
dell’indagato, rilevante in funzione di possibile giudizio di non reiterabilità
della condotta illecita di rempiego) ed il quarto motivo (relativo alla mancata
considerazione delle circostanze segnalate dalla difesa a sostegno
dell’affievolimento delle esigenze cautelari e dei rilievi difensivi riguardanti
l’utilizzo delle schede telefoniche prodotte dal PM in sede di appello), non
risultando adeguata motivazione al riguardo pur trattandosi di situazioni,
astrattamente, capaci di dimostrare l’attenuazione delle esigenze di cautela.
6. Con ordinanza 28.2.2013 il G.I.P. presso il Tribunale di Napoli,
sostituì gli arresti domiciliari con l’obbligo di dimora nel Comune di Napoli.
L’ordinanza veniva appellata sia dalla difesa che dal Procuratore della
Repubblica.

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7. Con ordinanza del 14.6.2013 il Tribunale di Napoli, previa riunione
dei procedimenti rigettò l’appello proposto da Ragosta Fedele ed accolse
l’appello del Procuratore della Repubblica avverso l’ordinanza 28.2.2013 con
la quale il G.I.P. del Tribunale di Napoli aveva sostituito la misura degli arresti
domiciliari applicata a Ragosta (con ordinanza 5.9.2012) con quella
dell’obbligo di dimora nel Comune di Napoli, ripristinando gli arresti
domiciliari per i reati di cui all’art. 416 bis cod. pen. e 648 ter cod. pen.

aggravato ai sensi dell’art. 7 legge n. 203/1991.
8. Ricorrono per cassazione l’indagato ed il suo difensore, con distinti
atti di identico contenuto, dopo aver ricostruito la vicenda cautelare (anche
con allegazione delle sentenze di questa Corte di legittimità ed il ricorso in
parte accolto), deducendo:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto, premesso che con
sentenza 12.3.2013 della Corte di cassazione era stata annullata
l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame aveva accolto l’appello del
P.M. in punto di esigenze cautelari, l’ordinanza qui impugnata sarebbe
sovrapponibile a quella annullata in punto di mancata esplicazione
delle ragioni che avrebbero inficiato l’affievolimento delle esigenze
cautelari; il Tribunale si sarebbe limitato a vaghe congetture; il giudice
di appello, pur condividendo il fatto che il concorso nel reato
associativo si sarebbe concretizzato nel reimpiego di denaro del clan,
non avrebbe spiegato per quali ragioni non sia condivisibile il giudizio
del G.I.P. circa la irripetibilità della situazione che aveva dato luogo al
contributo di Ragosta; il Tribunale si sarebbe limitato ad affermare che
Ragosta potrebbe intessere nuovi rapporti col clan avvalendosi di
ulteriori risorse verosimilmente sfuggite ai sequestri;
2. vizio di motivazione in quanto a fronte delle deduzioni della difesa
circa la irripetibilità delle situazioni che avevano dato luogo al
concorso esterno nel reato associativo il Tribunale si sarebbe limitato
ad affermare che i fratelli Ragosta rappresentano un unitario centro di
imputazione sicché non sarebbe sufficiente una valutazione
individuale e che gli elementi evidenziati dalla difesa sarebbero solo

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frammenti del complessivo quadro indiziario, senza però precisare da
quali altri fatti sarebbero surrogati;
3. mancanza e contraddittorietà della motivazione in quanto il Tribunale
avrebbe mutuato le considerazioni svolte in sede di riesame per
dimostrare che il reimpiego dei soldi del clan è avvenuto attraverso
l’illecita gestione economico finanziaria delle imprese poste a servizio
del clan, ma avrebbe omesso di replicare alla censura della difesa

alcuna somma sospetta nelle società del ricorrente;
4. mancanza e contraddittorietà della motivazione in quanto il Tribunale
avrebbe desunto elementi negativi sulla pericolosità di Ragosta dal
rinvenimento di due schede sim presso la sua abitazione ed
incorrendo in un vizio di motivazione già stigmatizzato dalla Corte di
cassazione;
5. mancanza di motivazione e violazione di legge in quanto il Tribunale
non ha replicato sulle questioni processuali sollevate dalla difesa
ritenendole estranee al devolutum; le questioni erano relative alla
declaratoria di inefficacia della misura per violazione dell’art. 414 cod.
proc. pen. ed all’inutilizzabilità di buona parte degli atti di indagine sui
quali si fonda la misura cautelare; il Tribunale non ha considerato che
si tratta di nullità assoluta rilevabile in ogni stato e grado; peraltro la
parte che intenda utilizzare elementi probatori nuovi nel giudizio de
liberate li deve riversare nel giudizio di impugnazione.

Considerato in diritto

Il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono infondati.
L’ordinanza impugnata ha specificamente motivato in ordine al
perdurare delle esigenze cautelari conseguenti al ritenuto

“indefettibile

collegamento con l’associazione camorrista dei Fabbrocino” (p. 17 ordinanza
impugnata), “protrattosi nel tempo” e nella “qualità dell’attività di reimpiego”
(p. 18 ordinanza impugnata), tali da determinare “accentuate caratteristiche
di pericolosità — per radicamento nel territorio, intensità dei collegamenti

secondo la quale, quantomeno dopo il 2004 non era stata più versata

personali e forza intimidatrice” (p. 18 ordinanza impugnata). Inoltre ha dato
conto del fatto che il semplice dato formale della separazione del patrimonio
e della diversificazione dei settori imprenditoriali non era di per sé sufficiente
ad elidere tali esigenze cautelari (p. 20 ordinanza impugnata).
Si tratta di valutazione di merito motivata in modo non manifestamente
illogico e quindi insindacabile in questa sede.
In siffatto contesto assumono rilievo marginale le questioni relative alle

schede S.I.M. rinvenute, come sono irrilevanti le altre considerazioni del
Tribunale basate su congetture.
Il quinto motivo di ricorso è infondato ed in parte generico.
Il Tribunale ha citato una pronunzia di questa Corte (Sez. 1, Sentenza
n. 1219 del 26/02/1998 dep. 04/04/1998 Rv. 210249), secondo la quale la
regola della devoluzione, propria del giudizio di appello nel processo di
cognizione è applicabile anche all’appello nel procedimento “de libertate”. Ne
consegue che al giudice della fase del gravame è precluso ogni esame dei
punti della decisione di primo grado diversi da quelli oggetto di censura.
(Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto inammissibile, in quanto questione
nuova, quella sollevata dall’imputato in sede di legittimità e relativa
all’asserita inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dal P.M. senza
l’autorizzazione del G.I.P. alla riapertura delle indagini, questione che non
era stata portata alla cognizione del giudice dell’appello cautelare, proposto
dal P.M. e che, secondo la S.C. ben avrebbe potuto – e dovuto – essere
introdotta in quella fase, mediante appello incidentale dell’imputato).
É ben vero che si versa in ipotesi di inutilizzabilità dedotta non
dall’appellante, ma dall’appellato, sicché questi non subisce limiti di devoluto,
tuttavia la stessa può essere rilevata a condizione che il giudice disponga
degli atti in conseguenza dei quali emerga tale inutilizzabilità.
Versandosi in procedimento incidentale relativo a misura cautelare è
ragionevole ritenere (e comunque il ricorso non documenta il contrario) che il
giudice di appello non avesse la disponibilità di tali atti, tant’è vero che
nell’ordinanza impugnata si segnala che la difesa potrà far valere tale
eccezione innanzi all’autorità procedente e di proporre eventualmente
appello (p. 10 ordinanza impugnata).

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In ogni caso il ricorso è generico laddove non documenta, allegando gli
atti processuali dai quali deriverebbe, la fondatezza della questione di
inutilizzabilità prospettata.
I ricorsi devono pertanto essere rigettati.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta i ricorsi, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Si provveda a norma dell’art. 28 Reg. cod. proc. pen.
Così deliberato il giorno 7.11.2013.

pagamento delle spese del procedimento.

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