Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46726 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 46726 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: RAMACCI LUCA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GUBERT LEONE N. IL 20/10/1949
avverso l’ordinanza n. 4/2013 TRIB. LIBERTA’ di TRENTO, del
12/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
lykte/sentite le conclusioni del PG Dott. y

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 30/10/2013

1. Il Tribunale di Trento, con ordinanza del 12.2.2013, in accoglimento
dell’appello proposto dal Pubblico Ministero, ha disposto il sequestro preventivo
per equivalente di un immobile di proprietà di Leone GUBERT, indagato per il
reato di cui agli artt. 81 cpv cod. pen. e 10-ter d.lgs. 74\2000, perché, quale
legale rappresentante della «TRENTO PACK s.r.I.», ometteva il versamento
dell’IVA relativamente ai periodi di imposta 2009 (per euro 208.737,77) e 2010
(per euro 123.544,75).
Avverso tale pronuncia Leone GUBERT propone ricorso per cassazione.
2. Con un primo motivo di ricorso rileva che il Pubblico Ministero si era
limitato a richiedere al Giudice per le indagini preliminari il sequestro preventivo
senza, tuttavia, specificare che lo stesso era finalizzato alla confisca per
equivalente, come avvenuto, poi, nell’atto di appello e che, considerata la
sostanziale diversità tra i due istituti, così facendo avrebbe modificato la
domanda originaria sottraendogli, di fatto, un grado di giudizio.
Osserva, inoltre, che l’impugnazione del Pubblico Ministero avrebbe dovuto
essere dichiarata inammissibile, non avendo egli in alcun modo argomentato sul
periculum in mora, neppure in maniera implicita, nella richiesta formulata al
G.I.P. e non essendo conseguentemente possibile proporre appello su questioni
in precedenza non dedotte.
3. Con un secondo motivo di ricorso osserva che, risultando pacifica la
riferibilità del profitto del reato ipotizzato alla società della quale era legale
rappresentante e non avendo egli dirottato tale profitto verso il suo patrimonio
personale, in quanto le somme ricavate dall’omesso versamento dell’IVA erano
state utilizzate dalla società per pagare i dipendenti ed evitare un tracollo
finanziario, si sarebbe dovuta verificare la possibilità di procedere al sequestro in
forma specifica prima di richiedere la misura sul suo patrimonio personale.
Aggiunge che la misura poteva comunque essere eseguita direttamente sul
profitto del reato, che si trovava ancora interamente nel patrimonio della società,
pacificamente aggredibile o, in difetto, per equivalente sugli altri beni della
società e su quelli del legale rappresentante.
Aggiunge che il Tribunale ha ritenuto che non potesse essere disposto il
sequestro diretto del profitto essendo tale circostanza irrilevante ovvero,
implicitamente, perché non sarebbe stato richiesto dal Pubblico Ministero,
offrendo così una motivazione meramente apparente oltre che erronea.
4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta che il Tribunale si sarebbe limitato
a ritenere che il requisito del periculum coincide con la confiscabilità del profitto
o del prezzo del reato, senza tuttavia considerare la necessità di valutare
l’esistenza di significativi elementi tali da contrastare o addirittura elidere la
sussistenza del periculum stesso e che, nella fattispecie, erano effettivamente
presenti ed individuabili: nel fatto che la società aveva già concordato il
pagamento rateale delle imposte dovute ed aveva già iniziato i relativi
versamenti; nei contenuti della dichiarazione fiscale e dell’interrogatorio
dell’indagato; nella circostanza che l’omesso versamento era finalizzato a
reperire somme per la stessa sopravvivenza dell’azienda e la corresponsione
delle retribuzioni ai dipendenti; nella predisposizione di accorgimenti di natura
economica attuati; nella nota situazione di crisi economica e nel fatto che egli
non aveva ricavato alcun personale profitto dal mancato versamento dell’IVA.
L’omessa valutazione di detti elementi caratterizzerebbe, pertanto, la
valutazione del provvedimento impugnato come meramente apparente.

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RITENUTO IN FATTO

5. Con un quarto motivo di ricorso censura l’ordinanza del Tribunale in ordine
alla ritenuta sussistenza del fumus del reato ipotizzato, dovendosi ritenere
mancante l’elemento soggettivo, in quanto la condotta in contestazione sarebbe
stata posta in essere a causa della situazione di crisi finanziaria che lo avrebbe
costretto all’impossibilità di adempiere agli obblighi fiscali.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

6. La vicenda in esame attiene, come indicato in premessa, ad una ipotesi di
sequestro preventivo per equivalente in relazione al reato di cui all’art. 10-ter
d.lgs. 74\2000.
7. Come è noto, l’estensione anche ai reati tributari di cui al d.lgs. 74\2000
della confisca per equivalente, già prevista dall’art. 322-ter cod. pen. per alcune
ipotesi di reato contemplate dal codice penale, è stata disposta dall’ art. 1,
comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 al fine di meglio contrastare
la criminalità finanziaria con strumenti incidenti direttamente sul patrimonio dei
contravventori.
Ciò avviene colpendo beni corrispondenti per valore al prezzo o al profitto del
reato, indipendentemente da un nesso pertinenziale tra il reato e il bene da
confiscare, al fine di sottrarre al responsabile dell’illecito qualsivoglia vantaggio
economico dallo stesso derivante.
Secondo l’unanime orientamento espresso dalla giurisprudenza di questa
Corte, deve ritenersi pacifico, sempre con riferimento ai reati tributari, che il
sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente possa essere
disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, in ragione
dell’integrale rinvio alle «disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale»
contenuto nell’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 (Sez. III n.17465,
10 maggio 2012; Sez. III n.35807, 6 ottobre 2010; Sez. III n. 25890, 7 luglio
2010).
Successivamente, questa Corte ha avuto modo di affermare come il
consolidato orientamento appena ricordato non venga inficiato e sia, al contrario,
confermato dalla modifica apportata all’art. 322-ter cod. pen. dall’art. 1, comma
75, lett. o) della legge 6 novembre 2012, n. 190, che ha esteso la confisca per i
delitti previsti dagli articoli da 314 a 320 cod. pen. con riferimento non soltanto
al solo prezzo del reato, ma anche al profitto di esso, in quanto l’ambito di
operatività del sequestro per equivalente è stato ampliato adeguandosi a quanto
stabilito da fonti internazionali ed europee, perseguendo lo scopo di una
adeguata sanzione di condotte illecite senza irragionevoli distinzioni fondate
sulla diversa tipologia dei reati commessi (Sez. III n. 23108, 29 maggio 2013).
8. La trattazione del secondo motivo di ricorso implica la soluzione, da parte di
questa Corte della questione concernente la possibilità di aggredire o meno
direttamente i beni di una società per le violazioni tributarie commesse dal legale
rappresentante della stessa, sulla quale si registra un contrasto di giurisprudenza
del quale hanno dato conto anche altre decisioni di questa Sezione (si Sez. III
n.1256, 10 gennaio 2013).
9. In particolare, si è ricordato in quell’occasione come, secondo alcune
pronunce sia stata ritenuta, con riferimento ai reati tributari, l’applicabilità del
sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni della
persona giuridica anche al di fuori dei casi in cui la sua creazione sia finalizzata a
farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali quale «società schermo».

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CONSIDERATO IN DIRITTO

10. Altre decisioni, di segno opposto, hanno invece affermato l’impossibilità di
applicare il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni
appartenenti alla persona giuridica qualora si proceda per violazioni finanziarie
commesse dal legale rappresentante della società, in quanto gli artt. 24 e ss. del
d.lgs. 231\2001 non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di
giustificare l’adozione del provvedimento, tranne nel caso in cui la struttura
aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli
illeciti, tanto che ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia
immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato (Sez. III
n.25774, 4 luglio 2012; Sez. III n.15349, 3 aprile 2013; Sez. III n.33371, 19
agosto 2012, non massimata ove si evidenzia anche l’irrilevanza, con riferimento
alle persone giuridiche, del cosiddetto rapporto di immedesimazione organica del
reo con l’ente del quale con compiti o poteri vari egli fa parte).
Va altresì rilevato che, pervenendo a conclusioni analoghe dopo aver illustrato
le diverse posizioni assunte dalla giurisprudenza della Sezione sopra riportate, la
sentenza 1256\2013 in precedenza citata (conf. Sez. III n.9576,28 febbraio
2013, non massimata), dopo aver motivatamente rilevato l’impossibilità di far
derivare, in base alla normativa vigente la responsabilità degli enti per i reati
tributari tranne nel caso dei reati a carattere transnazionale di cui all’art. 10,
legge 146\2006, evidenzia come tale situazione non possa ritenersi il risultato di
una scelta meditata del legislatore, facendo osservare l’irragionevolezza
dell’attuale assetto normativo, in base al quale con riferimento ai reati tributari
compiuti nell’ambito di fenomeni associativi a carattere transnazionale è possibile
ravvisare la responsabilità della persona giuridica ed operare la confisca per
equivalente dei beni della società coinvolta diversamente da ciò che avverrebbe,
in assenza di tale presupposto, anche a fronte di un ammontare maggiore di
imposte evase, stigmatizzando quindi l’inefficacia dell’attuale sistema punitivo e
la disparità di trattamento derivante dalla situazione considerata.
In una successiva pronuncia (Sez. III n.42350, 15 ottobre 2013, non ancora

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Si è infatti affermato che, sebbene il reato tributario sia addebitabile
all’indagato, le conseguenze patrimoniali ricadono sulla società a favore della
quale egli ha agito salvo che si dimostri che vi è stata una rottura del rapporto
organico, cosicché non è richiesto che l’ente sia responsabile a sensi del d.lgs.
231\2001 ed esso non può considerarsi terzo estraneo al reato perché partecipa
alla utilizzazione degli incrementi economici che ne sono derivati (Sez. III n.
28731, 19 luglio 2011, non massimata. V. anche Sez. III n.26389, 6 luglio
2011).
Ad analoghe conclusioni sono pervenute successive pronunce (v. Sez. III n.
17485, 10 maggio 2012 non massimata) specificando, in un caso (Sez. III n.
38740, 4 ottobre 2012) che, in linea generale, la legge consente la confisca
diretta dei beni costituenti profitto del reato indipendentemente dalla qualifica di
concorrente nel reato stesso del soggetto nella cui disponibilità è pervenuto il
profitto e, nel caso si tratti di una società, prescindendo dalla previsione o meno
di responsabilità amministrativa per il reato medesimo. Si è ulteriormente
affermato che non è possibile procedere alla confisca del profitto qualora esso
appartenga a persona estranea al reato, sebbene, nel caso in cui il reato sia
stato commesso dall’amministratore di una società il cui profitto sia rimasto nelle
casse della società stessa, questa non può considerarsi persona estranea al
reato, pur se non è prevista una sua responsabilità amministrativa.
Riguardo al sequestro funzionale alla confisca per equivalente, nella medesima
decisione si è precisato come l’art. 322-ter cod. proc. pen. preveda che possa
applicarsi detta confisca su beni di cui il reo ha la disponibilità solo nel caso in cui
non sia possibile la confisca dei beni che costituiscono il profitto del reato,
cosicché la impossibilità di una confisca diretta dei beni costituenti il profitto del
reato costituisce presupposto necessario per procedere a quella per equivalente.
Deve conseguentemente procedersi alla verifica della sussistenza di tale
necessario presupposto, motivando adeguatamente sul punto.

11. Ciò posto, osserva il Collegio che il contrasto come sopra evidenziato non
possa ritenersi superato e che, comunque, anche in tale ultimo caso, la soluzione
della questione oggi sottoposta al suo esame potrebbe comunque dar luogo ad
un nuovo contrasto giurisprudenziale.
Si ritiene, conseguentemente, che sussistano i presupposti di cui all’art. 618 cod.
proc. pen. per la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite per la soluzione della
seguente questione: «se sia possibile o meno aggredire direttamente i beni di
una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale
rappresentante della stessa».

P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen.
Così deciso in data 30.10.2013

massimata) sono state tratte analoghe conclusioni, riconducendo alla specifica
ed espressa volontà del legislatore la individuazione dei reati presupposto che
consentono il sequestro funzionale alla confisca per equivalente, ritenendo ormai
consolidato l’indirizzo giurisprudenziale che nega la possibilità di applicare tale
misura reale sui beni appartenenti alla persona giuridica con riferimento alle
violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante. In detta sentenza,
peraltro, era stata esclusa la necessità di sottoporre la questione de qua al vaglio
delle Sezioni Unite.
Il principio è stato ulteriormente ribadito (Sez. III n. 39308, 25 settembre
2013; Sez. III n. 41694, 9 ottobre 2013; Sez. III n. 42476, 16 ottobre 2013,
non massimata; Sez. III n. 42477, 16 ottobre 2013, non massimata; Sez. III n.
42638, 17 ottobre 2013, non massimata).

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