Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46695 del 17/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46695 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: FOTI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BANI RABIA N. IL 01/05/1976
AZAGHAY KAMAL EL HAYAT N. IL 08/04/1965
avverso la sentenza n. 423/2012 TRIBUNALE di MASSA, del
29/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Data Udienza: 17/07/2013

Con sentenza del 29 ottobre 2012, il giudice monocratico del Tribunale di Massa,
sull’accordo delle parti, ex art. 444 cod. proc. pen., ha applicato a Bani Rabia e Azaghay
Kamal El Hayat -imputati dei delitti di cui agli artt. 110 cod. pen., 73 co. I bis del d.p.r. n.
309/90-, riconosciute ad entrambi le circostanze attenuanti generiche, dichiarate, quanto al
Bani, prevalenti sulla recidiva contestata, con la diminuente del rito, la pena di due anni, otto
mesi di reclusione e 12.000,00 euro di multa (a Bani Rabia) e di tre anni, due mesi di
reclusione e 15.00,00 euro di multa ( a Azaghay Kamal). Con la stessa sentenza, il giudice ha
dichiarato l’Azaghay interdetto per cinque anni dai pubblici uffici ed ha disposto la confisca
della somma di denaro in sequestro.
Avverso tale sentenza, propongono ricorso per cassazione i due imputati, che deducono:
1) Bani Rabia: vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere il tribunale omesso
di indicare la percentuale di principio attivo rilevato sulla sostanza stupefacente sequestrata;
2) Azaghay Kamal El Hayat: a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere il
giudicante omesso di verificare la sussistenza dei presupposti per pervenire ad una pronuncia
di proscioglimento, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.; b) Violazione degli artt. 29 cod.
pen. e 444 cod. procp. pen. e vizio di motivazione, in punto di applicazione al ricorrente della
pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni; c) Violazione dell’art.
240 cod. pen. e vizio di motivazione relativamente al capo della sentenza concernente la
confisca della somma di denaro in sequestro.
Considerato in diritto.
Ambedue i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
1) Certamente inammissibile è il ricorso proposto dal Bani, non solo perch
sostanzialmente diretto a rimettere in discussione i termini dell’accordo finalizzato
all’applicazione della pena oggetto del patteggiamento (ciò che, come ripetutamente ha
affermato questa Corte, non è consentito a nessuna delle parti, salvo i casi di palese
violazione di legge), ma anche per la sua manifesta infondatezza, atteso che la mancata
specificazione, nel testo della motivazione della sentenza, della percentuale di principio
attivo non determina conseguenze di alcun genere, specie in un procedimento definito con
sentenza di patteggiamento.
2) Analoga inammissibilità presenta il ricorso dell’Azaghay:
a) Quanto al primo dei motivi proposti, osserva la Corte che, in realtà, contrariamente a
quanto si sostiene dal ricorrente, il giudice, nell’applicare la pena concordata, ha preso e
dato atto del fatto che dalle emergenze processuali si presentava evidente l’assenza dei
presupposti per l’applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen.
Lo stesso ricorrente, d’altra parte, non indica le ragioni per la quali ritiene che avrebbe
dovuto essere applicata la norma evocata e non considera, nel formulare le sue censure, che
al giudice, nell’ipotesi di pena concordata tra le parti, non spettano particolari obblighi
motivazionali o di approfondimento dei fatti contestati, sostanzialmente ammessi
dall’imputato che ha chiesto di patteggiare la pena, bensì solo di accertare, oltre che la
corretta qualificazione degli stessi e la congruità della pena concordata, l’eventuale presenza
di cause di non punibilità che impongano l’immediata relativa declaratoria, ex art. 129 c.p.p.
Compito cui ha regolarmente atteso il giudice del merito, donde la manifesta infondatezza
della doglianza.
b) Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, avendo correttamente il
giudicante applicato la pena accessoria sopra richiamata, obbligatoria e predeterminata “ex
lege”, in ossequio al disposto dell’art. 29 co. 1 cod. pen. il quale, dopo avere individuato i
casi di interdizione perpetua (allorché sia inflitta la pena dell’ergastolo o della reclusione non

L

Ritenuto in fatto.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 ciascuno in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2013.

inferiore a cinque anni), prevede che “la condanna alla reclusione per un tempo non
inferiore a tre anni importa l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque”.
L’art. 37 cod. pen., evocato dal ricorrente, non è applicabile al caso di specie, atteso che esso
riguarda i casi di sanzione accessoria temporanea, la cui durata non sia espressamente
determinata dalla legge.
c) Legittimamente, infine, è stata disposta la confisca del denaro sequestrato, avendo il
giudicante ritenuto, ed espressamente rilevato, che esso dovesse ritenersi compendio
dell’illecito commercio del quale il ricorrente è stato ritenuto responsabile. Anche il terzo
motivo di ricorso è, dunque, manifestamente infondato.
Alla declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi, consegue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della cassa delle
ammende, di una somma che si ritiene equo determinare in euro 1.500,00 ciascuno.

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