Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46690 del 17/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46690 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: FOTI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
COFANO NICOLA N. IL 19/12/1974
IPPOLITO ALESSANDRO N. IL 23/02/1975
TANZI GIUSEPPE BENITO N. IL 26/09/1980
avverso la sentenza n. 8839/2012 GIP TRIBUNALE di LECCE, del
13/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Data Udienza: 17/07/2013

Con sentenza del 13 novembre 2012, il Gup del Tribunale di Lecce, sull’accordo delle
parti, ex art. 444 cod. proc. pen., ha applicato, tra gli altri, a Cofano Nicola, Ippolito
Alessandro e Tanzi Giuseppe Benito -imputati del delitto di cui agli artt. 110, 81 cod. pen.,
73 co. 1 bis del d.p.r. n. 309/90 (Ippolito risponde anche ex co. I del richiamato dpr),
ravvisata, per Ippolito e Tanzi, l’ipotesi attenuata del comma 5 0 dell’art. 73 e riconosciute al
Cofano le circostanze attenuanti generiche, applicata la diminuente del rito- le pene
rispettivamente concordate.
Avverso tale sentenza, propongono ricorso per cassazione i tre imputati, che, con separati
ricorsi, denunciano i vizi di violazione di legge e di motivazione della sentenza impugnata in
punto di mancata verifica della sussistenza dei presupposti per pervenire ad una pronuncia di
proscioglimento, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. Evocando anche il Tanzi la tesi del
consumo personale della droga e denunciando, taluno dei ricorrenti, più in generale, il
mancato approfondimento dei temi concernenti la responsabilità e l’omessa indicazione degli
elementi sulla base dei quali la stessa è stata riconosciuta. Il Cofano, inoltre, contesta l’entità
della pena applicata, non avendo, a suo giudizio, il decidente valorizzato la bassa portata
lesiva del fatto contestato.
Considerato in diritto.
Tutti e tre i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, non solo perché sostanzialmente
diretti a rimettere in discussione i termini degli accordi finalizzati all’applicazione delle pene
oggetto di patteggiamento (ciò che, come ripetutamente ha affermato questa Corte, non è
consentito a nessuna delle parti, salvo i casi di palese violazione di legge), ma anche per la
loro manifesta infondatezza.
1) Certamente inammissibile è il motivo di ricorso, variamente proposto, concernente il
tema della responsabilità e la verifica, da parte del giudicante, della sussistenza di elementi
che imponevano il proscioglimento degli imputati. Invero, contrariamente a quanto
sostengono i ricorrenti, il giudice, nell’applicare le pene concordate, ha preso e dato atto del
fatto che le emergenze processuali evidenziavano l’assenza dei presupposti per pervenire ad
una sentenza di proscioglimento. I ricorsi, peraltro, si presentano anche generici, poiché, in
concreto, tali presupposti non sono neanche indicati nel ricorso.
I ricorrenti, d’altra parte, non considerano, nel formulare le loro censure, che al giudice,
nell’ipotesi di pena concordata tra le parti, non spettano particolari obblighi motivazionali o
di approfondimento dei fatti contestati, sostanzialmente ammessi dall’imputato che ha
chiesto di patteggiare la pena, bensì solo di accertare, oltre che la corretta qualificazione degli
stessi e la congruità della pena concordata, l’eventuale presenza di cause di non punibilità
che impongano l’immediata relativa declaratoria, ex art. 129 c.p.p.
Compito al quale ha regolarmente atteso quel giudice. Mentre il tema dell’uso personale
della droga, fugacemente e genericamente evocato del Tanzi, non può che rimanere estraneo
al meccanismo processuale del patteggiamento, che non consente di rimettere in discussione
la finalità della detenzione della droga.
D’altra parte, non solo la sussistenza dei fatti, così come contestati, e la loro qualificazione
giuridica non possono essere rimesse in discussione dalle parti dopo la ratifica del patto da
parte del giudice, ma neanche il trattamento sanzionatorio -pure oggetto di censura da taluno
dei ricorrenti- che altro non è che quello proposto dallo stesso imputato, al quale ha prestato
la propria adesione il Pm e che, una volta ratificato dal giudice, non può più essere contestato
da nessuna delle parti contraenti, tranne che nei casi di pena illegale (Cass. n. 18385/04).
Situazione non ricorrente nel caso di specie e, peraltro, neanche denunciata.

2

Ritenuto in fatto.

Alla declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi, consegue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della cassa delle
ammende, di una somma che si ritiene equo determinare in euro 1.500,00 ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 ciascuno in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2013.

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