Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46685 del 17/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46685 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MAROUANI HASSAN N. IL 31/07/1984
MAROUANI BILEL N. IL 19/05/1990
JELASSI HICHEM N. IL 17/05/1983
KHEMAIS BEN AHMED N. IL 25/11/1972
avverso la sentenza n. 15227/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di BERGAMO, del 19/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 17/07/2013

Motivi della decisione
Marouani Hassan e Marouani Bilel hanno proposto ricorso per cassazione
avverso la sentenza del G.i.p. presso il Tribunale di Bergamo in data 19.12.2012,
con la quale, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena
concordata dalle parti, in ordine alle contestate violazioni dell’art. 73, d.P.R. n.
309/1990 ed altro.
Con il primo motivo gli esponenti denunciano il vizio motivazionale in

l’adozione di sentenza liberatoria, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono l’inosservanza dell’art. 240 cod.
pen. e dell’art. 12 sexies Legge n. 356/1992, in riferimento alla disposta confisca
del denaro, dei telefoni cellulari, delle schede telefoniche e di qunt’altro in
sequestro.
Con il terzo motivo, le parti lamentano la carenza di motivazione sul punto
relativo alla disposta confisca del denaro, dei telefoni e delle schede telefoniche.
Avverso la richiamata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i
coimputati Jelassi Hichem e Khemais Ben Ahmed.
Con il primo motivo denunciano il vizio motivazionale in riferimento al
mancato apprezzamento della ricorrenza dei presupposti legittimanti l’adozione di
sentenza liberatoria, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 240 cod. pen., in
relazione alla confisca dei beni sottoposti a sequestro.
I ricorsi che occupano, che è dato esaminare congiuntamente, sono
inammissibili.
Soffermandosi sui motivi afferenti al mancato apprezzamento delle cause di
proscioglimento, giova considerare che questa Suprema Corte ha ripetutamente
affermato il principio che l’obbligo della motivazione della sentenza non piè non
essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di
patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di
provare i fatti dedotti nell’imputazione. CB implica che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve
essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o
dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile
applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso
contrario, una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è
stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per
la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto;
Sez. U. 27 dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente

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riferimento al mancato apprezzamento della ricorrenza dei presupposti legittimanti

accolto dalla giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti
significativi della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione
giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze,
la congruità della pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa
Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la
motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che
il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere

sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice
coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice
ha osservato che la qualificazione giuridica dei fatti risultava corretta con il
riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n.
309/1990, fatta esclusione per la posizione di Marouani Bilel. Oltre a ciò, il giudice
ha rilevato che le pene indicate dalle parti risultavano congrue.
Del pari inammissibili risultano i motivi di ricorso afferenti alla disposta
confisca del denaro, dei telefoni cellulari e delle schede telefoniche in sequestro.
Al riguardo, si deve osservare che il corredo premiale di cui all’art. 445 cod.
proc. pen., a seguito delle modifiche introdotte con legge 12.06.2003 n. 134, non
comprende alcuna delle ipotesi di confisca, di cui all’art. 240 cod. pen.; e che il
giudicante, qualora provveda alla applicazione della predetta misura di sicurezza,
deve esplicitare le ragioni che fondano la relativa statuizione, evidenziando i
presupposti della disposta misura (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8440 del
24/01/2007, dep. 28/02/2007, Rv. 236623).
Nel caso di specie, il giudice ha assolto il richiamato obbligo motivazionale,
osservando che il denaro ed i telefoni in sequestro dovevano qualificarsi,
rispettivamente, come provento e quali strumenti utilizzati nell’attività di spaccio,
ipotesi rientranti nel primo comma dell’art. 240 cod. pen. Oltre a ciò, il giudicante
ha richiamato l’art. 12 sexies, Legge n. 356/1992, ove è stabilito che nei casi di
condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc.,
per taluno, tra gli altri, dei delitti previsti dall’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, esclusa
l’ipotesi di cui al V comma, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o
delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui
risulta avere la disponibilità, in valore sproporzionato rispetto al proprio reddito: si
tratta di disposizione espressamente conferente rispetto alla posizione di Marouani

*S.

interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e

Bilel, imputato al quale non è stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui al
V comma, dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, come sopra si è evidenziato.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00
ciascuno a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento

favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 17 luglio 2013.

delle spese processuali e al versamento della somma di € 1.500,00 ciascuno in

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