Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46684 del 17/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46684 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TELO’ FEDERICO N. IL 06/06/1978
avverso la sentenza n. 8700/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di BRESCIA, del 11/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

7″.

Data Udienza: 17/07/2013

Motivi della decisione
Telò Federico ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
G.i.p. presso il Tribunale di Brescia in data 11.12.2012, con la quale, ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in
ordine alle contestate violazioni dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990.
Con il primo motivo la parte denuncia il vizio motivazionale in riferimento al
,
mancato apprezzamento della ricorrenza dei presupposti legittimanti l’adozione di

reato di cui al capo B) della rubrica.
Con il secondo motivo, l’esponente deduce il vizio motivazionale in
riferimento alla disposta confisca del denaro e dell’autovettura in sequestro.
Il ricorso è inammissibile.
Soffermandosi sul primo motivo di ricorso, giova considerare che questa
Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio che l’obbligo della
motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è
necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato
dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica
che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato
art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica motivazione
solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti
elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece
ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella
enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge
e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129
(Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27 dicembre 1995, Serafino). Tale
orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano
precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la
comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la
costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni
unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura
enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né
l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola
come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la
statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può

a

sentenza liberatoria, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., con riguardo all’ipotesi di

prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice
ha indicato le ragioni poste a fondamento della propria determinazione, in ordine
alla insussistenza delle condizioni per procedere ai sensi dell’art. 129 cod. proc.
pen., richiamando le risultanze del verbale di arresto, di perquisizione e di
sequestro, le caratteristiche del confezionamento ed il dato qualitativo-ponderale
delle sostanze trattate. Ed oltre a tali rilievi, di ordine dirimente, il giudice ha
osservato che il prevenuto aveva pure reso dichiarazioni ammissive.

Del pari inammissibile risulta il secondo motivo di ricorso.
Si deve osservare, in riferimento alla disposta confisca della somma di
denaro e del veicolo in sequestro, che il corredo premiale di cui all’art. 445 cod.
proc. pen., a seguito delle modifiche introdotte con legge 12.06.2003 n. 134, non
comprende alcuna delle ipotesi di confisca, di cui all’art. 240 cod. pen.; e che il
giudicante, qualora provveda alla applicazione della predetta misura di sicurezza,
deve esplicitare le ragioni che fondano la relativa statuizione, evidenziando i
presupposti della disposta misura (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8440 del
24/01/2007, dep. 28/02/2007, Rv. 236623).
Orbene, nel caso di specie, il giudice ha assolto il richiamato obbligo
motivazionale, osservando che ricorrevano le condizioni per procedere alla confisca
del denaro e dell’autoveicolo in sequestro, ai sensi dell’art. 12 sexies, Legge n.
356/1992, trattandosi di beni di valore sproporzionato rispetto alle condizioni
reddituali dell’imputato, soggetto privo di occupazione. Oltre a ciò, il giudicante ha
osservato che era emersa una pregressa attività di spaccio posta in essere dal
prevenuto, alla quale dovevano correlarsi le somme di denaro e la disponibilità
dell’autovettura. Ebbene, la norma di cui all’art. 12 sexies, ora citata, stabilisce che
nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444
cod. proc., per taluno, tra gli altri, dei delitti previsti dall’art. 73, d.P.R. n.
309/1990 – esclusa l’ipotesi di cui al V comma, che non viene in rilievo nel caso di
specie – è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui
il condannato non può giustificare la provenienza e di cui risulta avere la
disponibilità, in valore sproporzionato rispetto al proprio reddito.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna delt4
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro
1.500,00 a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.

À

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ‘t/ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data 17 luglio 2013.

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