Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46678 del 17/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46678 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
JARMOUNI RADWAN N. IL 01/01/1990
JARMOLTNI MAATI N. IL 03/03/1986
RAMI AZIZ N. IL 01/01/1989
avverso la sentenza n. 5462/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di LUCCA, del 05/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 17/07/2013

l.

Motivi della decisione
Rami Aziz, Jarmouni Maati e Jarmouni Radwan hanno proposto ricorso per
cassazione avverso la sentenza del G.i.p. presso il Tribunale di Lucca in data
5.12.2012, con la quale, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la
pena concordata dalle parti, in ordine alle contestate violazioni dell’art. 73, d.P.R.
n. 309/1990.
Con unico motivo gli esponenti denunciano il vizio motivazionale in

l’adozione di sentenza liberatoria, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Gli esponenti deducono doglianze manifestamente infondate e perciò
inammissibili.
Giova considerare che questa Suprema Corte ha da tempo chiarito che
l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal

riferimento al mancato apprezzamento della ricorrenza dei presupposti legittimanti

medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice
ha evidenziato che dall’esame degli atti non emergevano le condizioni per
procedere ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. nei riguardi degli odierni ricorrenti.
In particolare, il giudicante ha richiamato: le informative della polizia giudiziaria e
le risultanze delle operazioni di intercettazione.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00

P.Q. M .
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di € 1.500,00 ciascuno in
favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 17 luglio 2013.

ciascuno a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.

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