Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46671 del 17/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46671 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: FOTI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GENCHI ANTONIO N. IL 20/12/1977
avverso la sentenza n. 2706/2012 TRIBUNALE di BARI, del
14/09/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Data Udienza: 17/07/2013

Ritenuto in fatto.
Con sentenza del 14 settembre 2012, il Tribunale di Bari, in composizione monocratica,
sull’accordo delle parti, ex art. 444 cod. proc. pen., ha applicato a Genchi Antonio -imputato
del delitto di cui all’art. 73 co. 1 e 1 bis del d.p.r. n. 309/90-, riconosciute le circostanze
attenuanti generiche, con la diminuente del rito, la pena di quattro anni di reclusione e
40.000,00 euro di multa.
Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione l’imputato, che deduce il vizio di
motivazione della sentenza impugnata.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, non solo perché tende a rimettere in
discussione i termini dell’accordo finalizzato all’applicazione della pena oggetto del
patteggiamento (ciò che, come ripetutamente ha affermato questa Corte, non è consentito a
nessuna delle parti, salvo i casi di palese violazione di legge), ma anche perché non tiene in
alcun conto del fatto che al giudice del merito, nell’ipotesi di pena concordata tra le parti, non
spettano particolari obblighi motivazionali o di approfondimento dei fatti contestati,
sostanzialmente ammessi dall’imputato che ha chiesto di patteggiare la pena, bensì solo di
accertare, oltre che la corretta qualificazione dei fatti e la congruità della pena concordata,
l’eventuale presenza di cause di non punibilità che impongano l’immediata relativa
declaratoria, ex art. 129 c.p.p.
Compito al quale ha regolarmente atteso quel giudice, che ha puntualmente preso e dato
atto, seppure in termini sintetici, che, alla stregua degli atti processuali, non emergevano
elementi che potessero autorizzare una sentenza di proscioglimento. Elementi, peraltro,
neanche individuati dallo stesso ricorrente, che si limita a proporre generiche censure.
Quanto alla determinazione della pena in concreto applicata, la censura si presenta ancor
più manifestamente infondata, avendo il giudice del merito preso e dato atto della congruità
di quella concordata tra le parti e dallo stesso ratificata. Deve, peraltro, in proposito essere
richiamato il principio ripetutamente affermato di questa Corte (Cass. n. 18385/04), secondo
cui non è consentito all’imputato proporre con il ricorso per cassazione censure che
coinvolgono il patto dallo stesso accettato, e ratificato dal giudice, tranne la pena determinata
sia stata illegittimamente quantificata. Situazione non ricorrente nel caso di specie e, peraltro,
neanche denunciata.
La stessa censura si presenta, inoltre, del tutto generica, poiché il ricorrente omette di
indicare le ragioni per la quali ritiene che avrebbe dovuto essere applicata una pena diversa
da quella concordata.
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della cassa delle
ammende, di una somma che si ritiene equo determinare in euro 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2013.

Considerato in diritto.

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