Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46637 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 46637 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• BUFANO Andrea, nato a Maglie il giorno 8/1/1977;
avverso la sentenza n. 13038/13 in data 15/10/2013 della Corte di Appello di
Bologna;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Alfredo Pompeo VIOLA, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità
del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 15/10/2013 la Corte di Appello di Bologna, in parziale
riforma della sentenza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
di Forlì in data 8/4/2004, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di
BUFANO Andrea in relazione al reato di cui all’art. 4, comma 2, I. 110/75 per
essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione. Indi, riconosciuta la
continuazione tra il fatto di rapina aggravata contestato al BUFANO e di cui al
presente processo ed i fatti oggetto delle sentenza indicate nel provvedimento
del Giudice dell’esecuzione di Pesaro datato 16/3/2004 e, ritenuti più gravi i fatti
oggetto della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Lecce in data 10/1/2003,
ha determinato per il fatto reato in relazione al quale si procede in questa sede
un aumento per la continuazione con gli altri reati per i quali è già intervenuta

Data Udienza: 12/11/2015

condanna definitiva nella misura di anni 1, mesi 6 di reclusione ed C 100,00 di
multa.
All’imputato, nel processo che in questa sede ci occupa è contestato il concorso
in una rapina a mano armata commessa ai danni della Rolo Banca in data
1/10/2001.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato,
deducendo:

delle attenuanti generiche (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.).
Rileva, al riguardo, la difesa di parte ricorrente che la Corte di Appello dopo aver
ritenuto di essere “esentata” dalla valutazione del motivo di gravame ad essa
sopposto relativa al riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti
generiche, ha calcolato un aumento a titolo di continuazione per il fatto per il
quale si procedeva in anni 1 e mesi 6 di reclusione anziché in un anno come
aveva fatto il Giudice dell’esecuzione, in pratica non computando la riduzione di
un terzo della pena per le attenuanti generiche e ciò senza spiegare i motivi di
tale scelta ed omettendo di rispondere ad uno dei motivi di appello.
2. Violazione dell’art. 81 cod. pen. e, comunque per mancanza o manifesta
illogicità della motivazione risultante dal provvedimento impugnato nonché
dall’ordinanza del Giudice per l’udienza preliminare di Pesaro in veste di Giudice
dell’esecuzione in data 16/3/2004 e dalla sentenza del Giudice per l’udienza
preliminare di Pesaro in data 7/11/2002 in merito all’entità dell’aumento a titolo
di continuazione (art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen.).
Si duole, al riguardo, la difesa del ricorrente che nell’ordinanza del Giudice per
l’udienza preliminare di Pesaro del 16/3/2004 il Giudice dell’esecuzione aveva
ritenuto di porre a base del calcolo relativo alla sanzione come fatto più grave
quello giudicato dalla Corte di Appello di Lecce il 10/1/2003, indi aveva apportato
un aumento di pena per ciascuna delle ulteriori rapine nella misura di anni 1 di
reclusione ed C 100,00 di multa.
Ora, poiché il fatto giudicato a Pesaro era più grave di quello giudicato a Forlì
essendo inferiore il bottino della rapina ed essendo nel caso di Pesaro contestato
anche il sequestro di persona invece non contestato nella rapina di Forlì, sarebbe
stato logico apportare anche per il fatto di cui al presente procedimento un
analogo aumento di pena e, in ogni caso, la Corte di Appello avrebbe dovuto
spiegare le ragioni per quale motivo la rapina di Forlì deve essere ritenuta più
grave di quella di Pesaro.

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1. Omessa motivazione sul motivo di appello relativo alla mancata concessione

Non avendolo fatto, la sentenza impugnata sarebbe viziata anche sotto tale
profilo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Questa Corte Suprema, con un assunto condiviso anche dall’odierno Collegio, ha
infatti già avuto modo di evidenziare che l’accertamento del vincolo della
continuazione tra il reato giudicato ed altro precedente per il quale è intervenuta

dell’aumento dovuto per la continuazione, mentre non possono essere applicate
le circostanze attenuanti, il cui riconoscimento richiede Pesarne dell’intera
condotta antigiuridica del reo, ivi inclusa quella già considerata dal precedente
giudicato, ostandovi la “res iudicata” (Cass. Sez. 5, sent. n. 2907 del
23/10/2013, dep. 22/01/2014, Rv. 258462; Sez. 3, sent. n. 897 del
29/11/2011, dep. 13/01/2012, Rv. 251907).
Correttamente ha quindi operato la Corte di Appello allorquando ha affermato
con motivazione idonea a dare conto del rigetto della relativa istanza difensiva di
essere esentata dal decidere sulla concessione delle circostanze attenuanti
generiche le quali sono da ritenersi assorbite nella determinazione di un aumento
di pena in continuazione rispetto a quella inflitta dalla Corte di Appello di Lecce in
data 10/1/2003, per la quale le circostanze attenuanti generiche risultano essere
già state riconosciute in misura equivalente alle aggravanti.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
A nulla rileva, infatti, la circostanza che il Giudice dell’esecuzione (di altro
procedimento) abbia adottato un criterio diverso per il calcolo della pena
derivante per la continuazione con altra rapina asseritamente più grave rispetto
a quella oggetto del processo che in questa sede ci occupa.
Ciò che conta è che la Corte di Appello ha spiegato in modo congruo le ragioni
per le quali, in relazione ai richiamati parametri ex art. 133 cod. pen., ha
ritenuto di applicare la pena in continuazione nella misura sopra indicata facendo
richiamo alla portata offensiva dell’azione, all’utilizzo spregiudicato di armi da
taglio nei confronti di più persone mettendo a repentaglio l’incolumità dei
presenti ed al comportamento processuale dell’imputato che ha ammesso la
propria partecipazione alla rapina pur cercando di ridimensionare la posizione dei
coimputati.
Al riguardo deve solo ricordarsi che la graduazione della pena, anche in relazione
agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed

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condanna con sentenza irrevocabile richiede al giudice la sola applicazione

attenuanti (ovvero per la continuazione – ndr.), rientra nella discrezionalità del
giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza
ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova
valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di
mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione
(Cass. Sez. 5, sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Rv. 259142).

inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C
1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 12 novembre 2015.

Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato

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