Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46632 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 46632 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• NOLE’ Francesco, nato a Potenza il giorno 18/12/1958;
avverso la sentenza n. 5700 in data 1/10/2013 della Corte di Appello di Milano;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Alfredo Pompeo VIOLA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 1/10/2013 la Corte di Appello di Milano ha confermato la
sentenza emessa dal locale Tribunale in data 28/9/2009 con la quale NOLE’
Francesco era stato dichiarato colpevole del reato di ricettazione di un assegno
bancario, di un passaporto, di una fotocopia di carta di identità e di una tessera
bancomat, beni tutti di provenienza delittuosa e, ritenuta la lieve entità del fatto
(art. 648, comma 2, cod. pen.), condannato a pena ritenuta di giustizia.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato,
deducendo la omessa acquisizione da parte della Corte di Appello di un
documento (rinvenuto dal difensore in altro incartamento processuale) finalizzato
a dimostrare che presso l’abitazione dell’imputato di via Passeroni n. 1 in Milano
avevano soggiornato tale IONITA Irina ed altre persone di sesso maschile e

Data Udienza: 12/11/2015

femminile che erano state presenti all’interno dell’immobile in assenza
dell’imputato e senza il consenso di questi.
Tali soggetti avrebbero quindi ben potuto lasciare all’interno dell’immobile ed
all’insaputa dell’imputato i beni di provenienza illecita in relazione ai quali è stata
pronunciata la sentenza di condanna. Ciò renderebbe credibile il fatto che
l’imputato ha affermato di non ricordare e quindi di non sapere indicare come i
beni oggetto di imputazione siano pervenuti nella sua disponibilità.

motivazione sul punto renderebbero quindi viziata la sentenza impugnata ex art.
606, lett. c) ed e), cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e, per l’effetto, deve essere dichiarato
inammissibile.
Bisogna innanzitutto sottolineare che la Corte di Appello ha dato atto:
a) del fatto che l’assegno di provenienza furtiva è stato rinvenuto nel portafogli
dell’imputato (il quale non ha saputo indicare con precisione la persona che glielo
aveva dato) mentre le tessere erano rinvenute nelle tasche dei vestiti appesi
nell’armadio dell’abitazione dello stesso NOLE’;
b) del fatto che i documenti dei quali la difesa ha chiesto l’acquisizione alla Corte
di Appello erano preesistenti al giudizio di primo grado, con la conseguenza che
la richiesta di detta acquisizione è stata tardiva;
c) del fatto che si tratta di documenti comunque ininfluenti ai fini del decidere in
quanto il contenuto degli stessi dà conto della convivenza di altre persone
all’interno dell’abitazione dell’imputato cessata quasi due anni prima del
rinvenimento negli stessi locali dei beni di provenienza furtiva;
d) del fatto che il riferimento dell’imputato alla possibilità che altri frequentatori
del suo appartamento possano avere ivi lasciato a sua insaputa i beni di
provenienza illecita (oltretutto sparsi nei suoi vestiti presenti nell’armadio) è del
tutto generico;
e) del fatto, che la versione dell’imputato che ha affermato che l’assegno
rinvenuto nel suo portafoglio gli fu dato, a fini di sostentamento, da una donna
della quale non ha saputo indicare le generalità non è credibile sol che si pensi
che il predetto titolo di credito è risultato provento di furto ai danni di tale
TOMBOLA Mauro al quale nella circostanza furono sottratti anche altri beni (il
passaporto e la copia della carta di identità) che sono stati rinvenuti nelle tasche
dei vestiti nel NOLE’ all’interno dell’armadio della sua abitazione.

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L’omessa acquisizione del predetto documento e l’assenza di adeguata e logica

Ci si trova, quindi, in presenza di una sentenza di condanna che risulta fondata
su prove estremamente solide e che è caratterizzata da una motivazione congrua
ed assolutamente logica nella quale si è correttamente dato atto con una
valutazione di merito (non sindacabile in sede di legittimità) della non credibilità
della versione difensiva sostenuta dall’imputato.
La Corte di appello si è, in tal modo, correttamente conformata al consolidato
orientamento di questa Corte Suprema, a parere della quale (per tutte, Sez. 2

di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche
sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa
ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento,
logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede; in tal modo, non si richiede
all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di
fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose
medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione
di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le
parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati
da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento
(in tal senso, Cass. Sez. U, sent. n. 35535 del 12 luglio – 26 settembre 2007, Rv.
236914).
Quanto al profilo del rigetto di acquisizione da parte della Corte di Appello degli
atti richiesti dalla difesa dell’odierno ricorrente deve innanzitutto essere
evidenziato che l’art. 603, comma 2, cod. proc. pen. dispone testualmente che
“Se le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado,
il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei limiti previsti
dall’articolo 495, comma 1”.
Ora, nel caso in esame ci si trova di fronte a prove “preesistenti” e non certo
“sopravvenute” al giudizio di primo grado e che il NOLE’ non poteva non
conoscere essendo state raccolte in altro processo del quale egli era sempre
imputato. Difetta, quindi, anche il requisito di essere state tali prove “scoperte”
dopo il giudizio di primo grado.
Bene ha fatto quindi la Corte di Appello a non acquisire i relativi verbali.
In ogni caso la Corte di Appello, nonostante la mancata acquisizione, ne ha
valutato l’intrinseca manifesta irrilevanza così addirittura facendo una
valutazione che neppure sarebbe stata necessaria ma che ancor più ha
giustificato la mancata acquisizione della documentazione richiesta dalla difesa
anche in questo caso operando in piena conformità all’assunto di questa Corte

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sent. n. 29198 del 25/5/2010, rv. 248265), ai fini della configurabilità del reato

secondo il quale sebbene “nel giudizio di appello la rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale nel caso di nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio
di primo grado non soggiace alla regola della deduzione almeno 15 giorni prima
dell’udienza, prescritta dall’art. 585, comma quarto, cod. proc. pen., trattandosi
di deduzione non suscettibile – diversamente dal caso di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale previsto dall’art. 603 primo comma – di alcuna
preclusione di carattere temporale” rimane aperta la valutazione da parte del

appositamente richiamato dall’art. 603 comma 2 cod. proc. pen. (in tal senso
Cass. Sez. 4, sent. n. 37285 del 01/10/2002, dep. 17/11/2002, Rv. 222543).
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C
1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 12 novembre 2015.

Giudice di manifesta superfluità od irrilevanza a norma dell’art. 495 comma 1,

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