Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46577 del 17/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46577 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI RAFFAELE MARIO N. IL 05/10/1979
avverso la sentenza n. 1646/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del
13/10/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 17/07/2013

Motivi della decisione
Di Raffaele Mario ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
della Corte di Appello di Roma in data 13.10.2011, con la quale, in parziale riforma
della sentenza di condanna resa dal Tribunale di Civitavecchia il 29.04.2009, in

ordine al delitto di furto aggravato, è stata rideterminata la pena originariamente
inflitta nei confronti del prevenuto.
Con il primo motivo la parte denuncia la violazione di legge in riferimento

ciclomotore oggetto di furto. Osserva che il mezzo venne parcheggiato in zona ad
alto tasso di criminalità, di talché la vittima del furto non può fare affidamento sulla
esposizione alla pubblica fede.
Con il secondo motivo la parte deduce violazione di legge e vizio
motivazionale, in riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Con il terzo motivo la parte deduce la violazione di norme processuali, in
riferimento alla esposizione del mezzo alla pubblica fede ed alla circostanza che le

chiavi fossero state lasciate inserite nel blocco di accensione. A sostegno degli
assunti, l’esponente riporta le dichiarazioni rese dal prevenuto al momento del
fermo.
Con il quarto motivo, il deducente si duole della mancata concessione
dell’indulto.
Il ricorso è inammissibile.
Soffermandosi sul primo e sul terzo motivo di ricorso, che è dato esaminare
congiuntamente, si osserva che l’esponente propone censure non consentite nel
giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del
fatto, nonché l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi
alla esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e
adeguata motivazione, immune da censure logiche, perché basata su corretti criteri
di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di

esperienza.
Come è noto la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha
ritenuto, pressocchè costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile
a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile ictu °culi, in quanto l’indagine di legittimità
sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del
legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza
possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni
processuali” (Cass. 24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n.
12/2000; n. 24/1999; n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che “esula

alla ritenuta sussistenza della aggravate della esposizione alla pubblica fede del

dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata
al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali” (Cass. sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in
sede di legittimità non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente
la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle

Rv. 201177; Cass. Sez. VI sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009,
Rv. 244181). Del resto, nel caso di specie, la Corte di Appello ha espressamente
considerato, con rilievo di ordine dirimente, che non vi erano dubbi in ordine alla
esposizione del mezzo alla pubblica fede, in quanto il ciclomotore era stato lasciato,
regolarmente parcheggiato, senza le chiavi dell’accensione sulla pubblica via.
Il secondo motivo di ricorso è del pari inammissibile.
La decisione impugnata risulta sorretta da conferente apparato
argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, anche per quanto
concerne la dosimetria della pena. E’ appena il caso di considerare che in tema di
valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero
in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena
ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa
Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez. VI 22
settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene
congrua” vedi Cass. sez. VI 4 agosto 1998 n. 9120 Rv. 211583), ma afferma anche
che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed
attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono
censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento
illogico (Cass. sez. III 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298). Si tratta di
evenienza che certamente non sussiste nel caso di specie. La Corte territoriale,
infatti, ha confermato la valutazione effettuata dal primo giudice, in ordine alla non
concedibilità al prevenuto delle attenuanti generiche, in considerazione della
inclinazione alla violazione del precetto penale da parte del Di Raffaele, inferibile
dai precedenti penali a carico dell’imputato, relativi anche a gravi reati.
Manifestamente infondato risulta anche il quarto motivo di ricorso. Quanto
alla richiesta di applicazione dell’indulto, è appena il caso di rilevare che la
giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che il ricorso per cassazione
avverso la mancata applicazione dell’indulto è ammissibile soltanto quando il
giudice abbia esplicitamente escluso l’applicazione del beneficio e non anche
quando non risulti – come nel caso in esame – alcuna pronuncia sul punto (Cass.
Sez. U, Sentenza n. 2333 del 03/02/1995, dep. 07/03/1995, Rv. 200262; Cass.

.,.

circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769,

Sez. 2, Sentenza n. 11851 del 18/02/2004, dep. 11/03/2004, Rv. 228634); e che,
in tale ipotesi, l’eventuale applicazione di detto beneficio risulta riservata al giudice
dell’esecuzione (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 43262 del 22/10/2009,
dep. 12/11/2009, Rv. 245106).
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 17 luglio 2013.

P.Q.M.

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