Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46576 del 17/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46576 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TIBERIO MICHELE N. IL 02/07/1981
avverso la sentenza n. 145/2009 CORTE APPELLO di
CAMPOBASSO, del 10/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 17/07/2013

Osserva
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Tiberio Michele avverso la sentenza
emessa in data 10.5.2012 dalla Corte di Appello di Campobasso che confermava
quella emessa in data 10.7.2008 del Tribunale di Larino in composizione monocratica,
che aveva condannato il predetto alla pena di mesi nove di reclusione per il reato di
furto pluriaggravato, dichiarando condonata la pena inflitta.
Deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla valutazione della
all’identificazione della persona del colpevole; si duole, inoltre, della violazione di
legge in relazione alla quantificazione della pena.
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi aspecifici e non consentiti in
questa sede.
E’ palese l’aspecificità delle censure mosse che hanno riproposto in questa sede
pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale
e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed
assolutamente plausibile.
Infatti, è stato affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su
motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice
del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità
del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato
senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett.
c), all’inammissibilità” (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e
successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).
Peraltro va rammentato che il giudizio di cassazione è rimasto giudizio di legittimità
e non si è trasformato, a seguito della riforma dicui alla L. 46/2006, in un ennesimo
giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte
di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una
rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti
riservati in via esclusiva al giudice del merito. Ma le censure prospettate mirano
appunto ad una improponibile rivalutazione della prova e si risolvono in deduzioni in
punto di fatto, insuscettibili, come tali, di aver seguito nel presente giudizio di
legittimità, sottraendosi la motivazione della impugnata sentenza ad ogni sindacato
per le connotazioni di coerenza, di completezza e di razionalità dei suoi contenuti.
Inoltre, si rammenta che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il
massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale
assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli

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prova concernente la partecipazione del prevenuto alle condotte contestate e

elementi indicati nell’art. 133 c.p.: tale valutazione, infatti, rientra nella sua
discrezionalità e non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per
addivenirvi in concreto (Cass. pen. Sez. II, n. 12749 del 19.3.2008, Rv. 239754).
Nella specie, risulta evidente che il potere discrezionale in punto di trattamento
dosimetrico, alla luce della pena inflitta, è stato dal giudice di merito correttamente
esercitato, alla luce degli elementi indicati nell’art. 133 c.p., richiamati in
motivazione.

la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che
si ritiene equo liquidare in C 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non
ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di
inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17.7.2013

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p.,

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