Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46563 del 17/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46563 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

Data Udienza: 17/07/2013

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CARBONE FERDINANDO N. IL 22/08/1949
avverso la sentenza n. 934/2012 TRIBUNALE di MONZA, del
06/04/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

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Motivi della decisione
Carbone Ferdinando ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
del Tribunale di Monza, in data 6.04.2012, con la quale, ai sensi dell’art. 444 cod.
proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in ordine al delitto di
furto aggravato ascritto al prevenuto in concorso con altri.
Con unico motivo la parte denuncia del tutto genericamente il vizio
motivazionale, in ordine al mancato apprezzamento della ricorrenza dei presupposti

Il ricorso è inammissibile.
Giova considerare che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il
principio che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere
conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo
sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza
dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti
dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di
una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve essere
accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle
deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di
cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta
la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e
ratificato accordo, proporre questioni in ordine alla mancata applicazione

legittimanti l’adozione di sentenza liberatoria, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.

dell’articolo 129 cod. proc. pen., senza precisare per quali specifiche ragioni detta
disposizione avrebbe dovuto essere applicata nel momento del giudizio. Occorre,
peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice ha indicato le ragioni poste a
fondamento della propria determinazione, in ordine alla insussistenza delle
condizioni per procedere ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., richiamando
diffusamente il contenuto del verbale di arresto, la denuncia di furto sporta da
Sebastiani Nicolò Maria e le stesse dichiarazioni ammissive rese dai prevenuti.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente

favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 17 luglio 2013.

al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 a

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