Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46526 del 28/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 46526 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cargnello Aldo, nato a Vivaro (Pn) il 28/1/1952

avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Udine in data 17/9/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Enrico Delehaye, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio
della sentenza perché il fatto non costituisce reato;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. A. Lolli in sostituzione
dell’Avv. P. Viezzi, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17/9/2014, il Tribunale di Udine riconosceva Aldo
Cargnello colpevole della contravvenzione di cui all’art. 30, comma 1, lett. h), d.
Igs. 11 febbraio 1992, n. 157 e lo condannava alla pena di mille euro di
ammenda; allo stesso era ascritto di aver esercitato la caccia utilizzando un
fucile cal. 12 ad anima liscia predisposto ad incamerare tre cartucce.

Data Udienza: 28/10/2015

2. Propone ricorso per cassazione il Cargnello, a mezzo del proprio
difensore, deducendo tre motivi:
– violazione degli artt. 12, commi 2 e 3, I. 157 del 1992, 192 cod. proc.
pen.. Il Tribunale non avrebbe adeguatamente considerato che, all’atto del
controllo, il fucile del ricorrente era appoggiato ad un albero e che l’asta di
riduzione del serbatoio era contenuta nello zaino; dal che, la conclusione che lo
stesso, al momento, non stava svolgendo attività venatoria;
– violazione degli artt. 13, comma 1, d. Igs. n. 157 del 1992, 192 cod. proc.

previste dall’art. 13 citato, atteso che il fucile in sequestro sarebbe sì arma a
ripetizione, ma non semiautomatica, bensì – come affermato dalla stessa
sentenza – a caricamento manuale (cd. a pompa);
– violazione degli artt. 13, comma 1, d. Igs. n. 157 del 1992 (come novellato
dalla I. 24 giugno 2014, n. 91), 192 cod. proc. pen.. Il Tribunale avrebbe
erroneamente interpretato la norma citata nel senso che il riferimento a 2
cartucce – in essa indicato come limite non superabile per i fucili con canna ad
anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatici – sarebbe da
intendersi in senso teorico, di astratta capacità, non già concreto; quest’ultimo,
invece, ben si desumerebbe dalla seconda parte dello stesso comma 1, in tema
di fucili con canna ad anima rigata, come novellato dalla I. n. 91 del 2014.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.
Con riguardo al primo motivo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo
del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza
strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logicoargomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009,
Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo
di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a
norma dell’art. 606, comma 1, lett e), cod. proc. pen., è soltanto quella
evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i; ciò in quanto
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi,
per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv.
226074).

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pen.. Il Tribunale avrebbe condannato il ricorrente al di fuori delle ipotesi

In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla
ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato
alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono
insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo
hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o
di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv,

Se questa, dunque, è l’ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il
giudizio della Suprema Corte, le censure che il ricorrente muove al
provvedimento impugnato si evidenziano come manifestamente infondate; ed
invero, dietro la parvenza di una violazione di legge, lo stesso di fatto invoca al
Collegio una diversa ed alternativa lettura delle medesime risultanze istruttorie
già esaminate dal Giudice di merito, con particolare riguardo all’effettivo
esercizio dell’attività venatoria da parte del Cargnello ed all’arma rinvenuta al
momento del controllo.
Il che, come riportato, non è consentito.
E per tacer, comunque, del fatto che – come descritto nella sentenza – il
ricorrente era stato individuato in una località del Comune di Precenicco mentre
esercitava attività venatoria, munito di fucile e cartucce, ed in compagnia di un
cane, ciò rendendo irrilevante la circostanza che, al momento, l’arma fosse non
in dosso ma appoggiata ad un albero. Ed invero, costituisce pacifico e condiviso
indirizzo di legittimità quello per cui la nozione di esercizio di
attività venatoria, usata nella I. n. 157 del 1992, non può essere intesa in senso
riduttivo, dovendosi ritenere che essa comprenda non solo l’effettiva cattura o
uccisione della selvaggina, ma anche ogni attività preliminare, e la complessiva
organizzazione dei mezzi e, pertanto, qualsiasi atto, desumibile dall’insieme delle
circostanze di tempo e di luogo, che appaia diretto a tale fine (per tutte, Sez. 3,
n. 18088 del 6/3/2003, Febi, Rv. 224732).
4. Negli stessi termini, poi, conclude il Collegio anche con riguardo al
secondo motivo, inerente alla natura dell’arma in sequestro; ovvero, se la stessa
– fucile a ripetizione manuale (cd. a pompa) – sia annoverabile o meno tra quelle
semiautomatiche. Anche tale questione, infatti, risulta meramente ed
integralmente fattuale, concernendo profili di merito (quali le caratteristiche
proprie di questo cal. 12) che la Corte di legittimità non è deputata a valutare;
ed in ordine ai quali, peraltro, già di fatto si è espresso il Tribunale di Udine,
rilevando che l’arma era sì a caricamento manuale, ma priva di riduttore nel

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251760).

caricatore, così ampliandosi la portata offensiva in termini tali da renderla – di
per sé – mezzo non consentito.
5. Da ultimo, il terzo motivo, invero portante l’intero ricorso e la sentenza
gravata; ritiene la Corte, al riguardo, che anche sul punto la motivazione del
Giudice di merito sia logica, sostenuta da solido percorso argomentativo e non
meriti censura.
Occorre premettere che l’art. 13, comma 1, d. Igs. n. 157 del 1992 (Mezzi
stabilisce che “l’attività venatoria è

per l’esercizio dell’attività venatoria)

ripetizione e semiautomatico, con caricatore contenente non più di due cartucce,
di calibro non superiore al 12, nonché con fucile con canna ad anima rigata a
caricamento singolo manuale o a ripetizione semiautomatica di calibro non
inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di altezza non inferiore a millimetri
40. I caricatori dei fucili ad anima rigata a ripetizione semiautomatica non
possono contenere più di due cartucce durante l’esercizio dell’attività venatoria e
possono contenere fino a cinque cartucce limitatamente all’esercizio della caccia
al cinghiale”; ciò premesso, la questione oggetto del presente ricorso concerne
l’interpretazione dell’inciso “con caricatore contenente non più di due cartucce”, e
cioè se lo stesso riguardi la capacità “ricettiva” astratta del caricatore medesimo
oppure il numero di cartucce effettivamente collocate in questa parte dell’arma
(questione che rileva nel giudizio, atteso che il fucile del ricorrente era privo di
munizioni al momento del sequestro).
A tale questione la sentenza impugnata ha fornito una risposta corretta.
Costituisce costante indirizzo ermeneutico quello per cui in tema di caccia, la
disposizione di cui all’art. 13 in esame deve essere intesa nel senso che il
caricatore non sia in grado di contenere un numero di cartucce superiore alle due
consentite e non che il numero delle cartucce dentro il caricatore non debba
essere in concreto superiore a due (Sez. 3, n. 11341 del 18/10/1995, Capaldi,
Rv. 203933; Sez. 3, n. 8480 del 17/6/1994, Villa, Rv. 198845); tale ultima
interpretazione, infatti, oltre ad essere in palese contrasto con la convenzione
internazionale per la protezione degli uccelli adottata a Parigi il 18 ottobre 1950
e ratificata dall’Italia con legge 24 novembre 1978, n. 812, finirebbe per
vanificare lo scopo proprio dell’art. 13 suddetto, che è quello di limitare il
numero dei colpi che possono essere esplosi, al di là del numero delle cartucce in
concreto contenute nel caricatore.
Al riguardo, peraltro, ancora questa Sezione ha affermato – con riferimento
ad un caso identico al presente (fucile con serbatoio privo di riduttori e capacità
di tre cartucce) – che devono ritenersi vietati non soltanto tutti i mezzi diretti ad
abbattere la fauna selvatica diversi da quelli specificamente ammessi, ma anche

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consentita con l’uso del fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a

tutti quegli accessori che il detentore aggiunge all’arma per renderla più
offensiva e ciò in quanto il legislatore, nell’indicare le caratteristiche che l’arma
deve avere per essere lecita, prende in considerazione solo quelle realizzate dal
produttore, cosicché qualsiasi modificazione accessoria o sostitutiva di quella
propria dell’arma, rende questa diversa da quella prevista dal legislatore e perciò
non consentita, poiché in materia di caccia non vige la regola in forza della quale
tutto ciò che non è espressamente vietato deve considerarsi consentito, ma
quella opposta in base alla quale tutto ciò che non è espressamente consentito
non

massimata).
Né, peraltro, rileva in senso contrario la disciplina – apparentemente
difforme – contenuta nel medesimo art. 13, comma 1, con riguardo ai fucili con
canna ad anima rigata, trattandosi di tipologie di armi diverse, che giustificano
difformi discipline. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, infatti,
“la sospettabile illogicità di tale diversa previsione normativa non sussiste e per
intendere la “ratio” delle due distinte ipotesi occorre soffermarsi sulle diverse
caratteristiche dei fucili ad anima liscia e di quelli ad anima rigata, oltre che sul
distinto loro impiego a fini venatori. Invero, i fucili a canna liscia vengono
abitualmente utilizzati, a scopo venatorio, con munizioni spezzate, a pallini, che
espandendosi a rosa hanno la capacità offensiva di colpire più bersagli
contemporaneamente, donde la limitazione a due delle cartucce nel caricatore ed
il tempo necessario per riarmare il fucile trovano giustificazione nella volontà del
legislatore di ridurre il numero dei colpi che il cacciatore può esplodere in
sequenza e, quindi, di limitare la potenza distruttiva dell’arma, in ossequio anche
alle norme comunitarie in materia, mentre quelli a canna rigata possono
esplodere un unico proiettile a palla per volta, capace di colpire un bersaglio
singolo anche di rilevanti dimensioni, sicché sono idonei per la “caccia grossa” gli “ungulati”, come il cinghiale – ed è per questo che il legislatore si è limitato a
prevedere che le cartucce utilizzate per tali armi debbono essere di calibro
superiore a mm. 5,6 ed avere un bossolo a vuoto superiore a mm. 40″ (Sez. 3,
n. 3316 del 26/10/1999, Vitali, Rv. 214900; Sez. 3, n. 1897 del 18/5/1999,
Bruzzone, Rv. 214081). E senza che possa aver rilievo l’ulteriore specificazione,
di cui all’ultimo periodo del comma 1 in esame, tra capacità di contenimento dei
caricatori dei fucili ad anima rigata durante l’esercizio dell’attività venatoria e
capacità nella caccia al cinghiale, poiché non incompatibile con l’interpretazione
sopra richiamata in tema di caricatori di fucili con canna ad anima liscia.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

5

deve considerarsi vietato (Sez. 3, n. 16207 del 14/3/2013, Roscigno,

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2015

Il Presidente

nsigliere estensore

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