Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46515 del 15/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 46515 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAFFO EDUARDO N. IL 07/05/1985
avverso la sentenza n. 1090/2013 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 28/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.P
JA9che ha concluso per 4.e-C-

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 15/10/2015

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto, con sentenza
del 28/4/2014 ha parzialmente riformato, rideterminando, tra l’altro, la pena
originariamente inflitta, la decisione con la quale, in data 10/7/2013, il Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Taranto aveva riconosciuto

Eduardo

il 12/3/2013).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il
proprio difensore di fiducia.

2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge, lamentando
l’erronea applicazione, da parte dei giudici del gravame, dell’art. 133 cod. pen. e
la violazione del divieto di reformatio in peius.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
Il primo giudice, all’esito di giudizio abbreviato, aveva irrogato all’imputato la
pena finale di anni 3 e mesi 8 di reclusione ed euro 16.000,00 di multa, previo
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della riduzione per il rito.
La Corte d’appello ha doverosamente dato atto del fatto che, con la
sentenza n. 32 del 2014, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005,
n. 272, determinando la applicabilità dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 nel
testo anteriore alle modifiche apportate dalle norme dichiarate incostituzionali,
cosicché la previsione sanzionatoria, reintrodotta per effetto della sentenza della
Corte costituzionale, stabilisce ora, per le sostanze stupefacenti di cui alle tabelle
Il e IV dell’art. 14 (tra le quali rientra quella detenuta dal ricorrente), la pena della
reclusione da due a sei anni, oltre la multa da 5.164 a 77.468,00 euro.
I giudici del gravame hanno quindi ricalcolato la pena partendo da una pena
base di anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro 4.500,00 di multa, poi ridotta di un
terzo per le circostanze attenuanti generiche e di un ulteriore terzo per il rito,
pervenendo così alla pena finale di anni 2 di reclusione ed euro 2.000,00
1

di

RAFFO responsabile di illecita detenzione di hashish (fatto commesso in Taranto,

multa.
Nella determinazione della pena base, peraltro, la Corte del merito ha dato
atto di aver considerato la quantità e qualità dello stupefacente, la personalità
del reo, l’intensità del dolo e le modalità di occultamento della sostanza.
A fronte di ciò, il ricorrente lamenta il fatto che il primo giudice, nel calcolare
la pena, aveva individuato una pena base superiore solo di un anno al minimo
edittale. In tale evenienza egli ravvisa la violazione del divieto di reformatio in

2. Ciò posto, rileva a tale proposito il Collegio che la pena base è comunque
inferiore a quella originariamente individuata (indicata dallo stesso ricorrente in
anni 7 di reclusione ed euro 30.000,00 di multa), come è inferiore la pena finale
rideterminata e che, considerata la rilevante differenza quantitativa tra la pena
originariamente individuata e quella posta alla base del nuovo calcolo, nessuna
comparazione proporzionale può essere effettuata rispetto al calcolo del primo
giudice, potendo quello dell’appello quantificare discrezionalmente la pena entro
l’ambito della più contenuta cornice edittale tornata in vigore, operando il divieto
reformatio in peius con riferimento alla pena finale nell’ipotesi di impugnazione
del solo imputato.

3. La valutazione effettuata nella fattispecie, inoltre, risulta adeguatamente
motivata nel rispetto dei criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen., non essendo
richiesto al giudice di procedere ad una analitica valutazione di ogni singolo
elemento esaminato, ben potendo assolvere adeguatamente all’obbligo di
motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto
prevalente (v. Sez. 2, n. 12749 del 19/3/2008, Gasparri, Rv. 239754 ).

4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni
indicate in dispositivo.

2

peius.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.

Così deciso in data 15.10.2015

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