Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46510 del 17/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 46510 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
HERRERA MELISSA SANDRA N. IL 02/08/1979
avverso la sentenza n. 7237/2012 TRIBUNALE di ROMA, del
13/04/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 17/07/2013

Osserva

Ricorre per cassazione Herrera Melissa Sandra avverso la sentenza emessa in data 13.4.2012
ai sensi dell’art. 444 c.p.p. dal Giudice monocratico del Tribunale di Roma con la quale veniva
applicata alla predetta la pena concordata di mesi sei di reclusione ed C 200,00 di multa per
il delitto di furto aggravato e continuato.
Deduce la violazione di legge in relazione alla verifica della sussistenza delle cause di non
punibilità di cui all’art. 129 c.p.p. e alla valutazione della congruità della pena.
non consentiti nella presente sede di legittimità.
I motivi sono palesemente generici perché privi del requisito della specificità, consistendo
nella generica esposizione della doglianza senza alcun contenuto di effettiva critica alla
decisione impugnata.
Inoltre, come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis, Cass. pen. Sez. Un.,
n. 10372 del 27.9.1995, Rv. 202270, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di
applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della medesima e
deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché succintamente, come nel caso
di specie, di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti (la sussistenza
dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di eventuali
circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la concedibilità della
sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad essa subordinata) e
di quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma
dell’articolo 129 c.p.p.).
Non può, invece, l’imputato che abbia consentito all’applicazione della pena, rimettere in
discussione gli altri profili oggettivi o soggettivi della responsabilità e non può, in particolare,
proporre in sede di legittimità eccezioni o censure attinenti al merito nè recriminare sulla
qualificazione giuridica del fatto e la ricorrenza delle circostanze o la congruità della pena a
meno che si tratti di statuizioni palesemente illegittime: evenienza questa che, nel caso di
specie, è senz’altro da escludere.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene
equo liquidare in C 1.500,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza
di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17.7.

Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati, aspecifici e

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