Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46438 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 46438 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Dubois Giovannino, nato a Casale Monferrato, il 10/4/1965;
Dibois Alessandro, nato a Casale Monferrato, il 7/5/1979;

avverso la sentenza del 4/12/2012 delal Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Eduardo
Vittorio Scardaccione, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udita per l’imputato l’avv. Cristina Coda, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 15/10/2013

1.Con sentenza del 4 dicembre 2012 la Corte d’appello di Milano confermava la
condanna alle pene ritenute di giustizia di Dubois Giovannino e Dibois Alessandro,
accusati di essere gli autori di numerosi furti perpetrati in diverse abitazioni sulla base
dei riconoscimenti, fotografici o formali, che dei medesimi avevano effettuato le
persone offese dei reati in contestazione.
2. Avverso la sentenza ricorrono entrambi gli imputati a mezzo del comune difensore
deducendo carenze e illogicità della motivazione del provvedimento impugnato. In

in merito all’attendibilità estrinseca dei riconoscimenti, la cui inconciliabilità con le
descrizioni degli autori dei furti fornite in precedenza dalle persone offese, pur eccepita
con i motivi d’appello, sarebbe stata negata dalla Corte territoriale invocando in
maniera apodittica la presunta marginalità delle pur registrate incongruenze segnalate
dalla difesa, giustificazione che peraltro, in alcuni casi, assumerebbe i caratteri della
manifesta illogicità.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Va innanzi tutto ricordato che, per quanto risulta dalla sentenza (non contestata sul
punto dal ricorso), l’identificazione certa degli imputati quali autori dei reati per cui è
intervenuta condanna è avvenuta nel corso delle indagini preliminari a seguito di
individuazione fotografica, cui ha fatto seguito conforme formale ricognizione
personale, svolta o nell’incidente probatorio o nel corso del giudizio abbreviato a titolo
di attività di integrazione probatoria.
I ricorrenti del resto non contestano la certezza dei riconoscimenti, ma ne eccepiscono
l’attendibilità in quanto la sicurezza dimostrata dai “ricognitori” contrasterebbe in
maniera evidente con la descrizione dagli stessi fornita, in diversi momenti
processuali, delle caratteristiche fisiche degli autori dei reati di cui sono stati vittime.
In proposito deve rammentarsi che le dichiarazioni “descrittive” rese dal “ricognitore”
– siano esse quelle eventualmente rese prima di procedere ad una informale
individuazione fotografica ovvero quelle propedeutiche ad una formale ricognizione
imposte dall’art. 213 c.p.p. – costituiscono un elemento per il vaglio dell’attendibilità
soggettiva ed oggettiva del riconoscimento da parte del giudice, il cui apprezzamento,
dunque, non è sindacabile in sede di legittimità, qualora sostenuta da congrua e logica
motivazione, in quanto costituisce una tipica valutazione di merito. Ed in proposito la
Corte d’appello ha ampiamente argomentato sulle ragioni per cui le presunte discrasie
rilevate con l’impugnazione di merito tra le descrizioni fornite dai testimoni degli autori
dei reati e le caratteristiche fisiche degli imputati dagli stessi poi riconosciuti, come
detto, in termini di certezza non fossero tali da inficiare il valore dei suddetti

particolare i ricorrenti eccepiscono l’astrattezza delle affermazioni svolte dalla sentenza

riconoscimenti. Motivazione che appare consonante alle risultanze processuali e non
manifestamente illogica e con la quale invece i ricorrenti non si sono compiutamente
confrontati. Infatti, i giudici d’appello non solo hanno spiegato le ragioni per cui le
menzionate discrasie riguardassero profili di scarso rilievo o fossero imputabili alle
particolari condizioni in cui era avvenuto il primigenio incontro con gli imputati o
ancora concernessero caratteri fisici inevitabilmente suscettibili di apprezzamento
soggettivo ed approssimativo, ma altresì hanno ancorato le proprie conclusioni alla

persone offese avessero sottolineato come al momento della ricognizione il Dubois
Giovannino apparisse dimagrito rispetto al momento in cui lo avevano incontrato
all’epoca della consumazione dei furti, circostanza ritenuta coerentemente significativa
dell’inverosimiglianza di un errore “collettivo” in quanto sintomatica di come le fattezze
fisiche dell’imputato fossero effettivamente rimaste impresse nella memoria dei testi,
al di là della loro capacità di fornirne una descrizione assolutamente precisa. Non di
meno la sentenza impugnata ha motivato le proprie conclusioni anche in ragione di
ulteriori elementi ritenuti idonei ad avvalorare l’attendibilità dei riconoscimenti (la
concentrazione spazio-temporale dei furti, il fatto che i due imputati siano zio e nipote,
il contestuale riconoscimento anche del terzo autore di alcuni dei reati nel genero del
Dubois) e tali dunque da far ritenere l’irrilevanza delle discrasie evidenziate dalla
difesa, ma anche con riguardo a tali argomentazioni il ricorso ha omesso il doveroso
confronto, rivelando la sua genericità. In realtà le doglianze dei ricorrenti finiscono per
costituire la mera riproposizione di quelle sollevate con il gravame di merito e
motivatamente confutate dalla sentenza impugnata o nel risolversi nella denunzia
dell’illogicità delle valutazioni espresse dalla Corte territoriale fondata su affermazioni
del tutto assertive e che, in definitiva, si traducono nella sollecitazione di un riesame
del merito – non consentita in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione
degli elementi probatori acquisiti.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna dei ricorrenti al pagamento ciascuno delle spese processuali e al versamento
della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 15/10/2013

convergenza e certezza dei riconoscimenti, nonché al fatto che indistintamente tutti le

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