Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46437 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 46437 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Rodolao Guglielmo, nato a Imperia, 1’8/11/1965;

avverso la sentenza del 10/10/2012 della Corte d’appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Eduardo
Vittorio Scardaccione, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Luigi Favino, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 10 ottobre 2012 la Corte d’appello di Genova confermava la
condanna alla pena di giustizia di Rodoalo Guglielmo per il reato di furto con destrezza

Data Udienza: 15/10/2013

di un telefono cellulare sottratto al legittimo proprietario Leone Pier Giorgio nell’officina
gestita da quest’ultimo approfittando della sua momentanea distrazione.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando tre
motivi.
2.1 Con il primo deduce formalmente l’errata applicazione della legge penale, ma
evoca in realtà la violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio,
evidenziando come la Corte territoriale abbia fondato il giudizio di responsabilità

provvedere ad approfondimenti istruttori della loro attendibilità, senza tenere conto del
fatto che il medesimo imputato non è stato trovato in possesso del bene sottratto e
senza confrontarsi con le possibili alternative spiegazioni del furto ipotizzate dalla
difesa.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizi motivazionali della sentenza in
merito all’affermazione di responsabilità dell’imputato sostanzialmente riproponendo in
tale ottica le doglianze svolte con il primo motivo e censurando altresì il fatto che i
giudici d’appello abbiano argomentato la loro decisione anche dai precedenti penali del
Rodoalo per classificare arbitrariamente come remota la possibilità che egli si fosse
effettivamente recato presso l’officina del Leone per cercare un lavoro.
2.3 Con il terzo motivo infine si eccepisce l’erronea applicazione dell’art. 133 c.p., per
aver la Corte territoriale valorizzato ai fini della conferma del trattamento
sanzionatorio esclusivamente le risultanze sfavorevoli all’imputato e senza procedere
ad una compiuta valutazione di tutti i parametri indicati nella suindicata disposizione,
nonché ulteriori carenze motivazionali della sentenza impugnata in merito al diniego
delle invocate attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile.
I primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, esulano dal novero di
quelli consentiti dall’art. 606 c.p.p. Infatti le censure in essi elevate, anche dietro
l’apparente denuncia di violazione di legge, si traducono invero nella sollecitazione di
un riesame del merito – non consentita in sede di legittimità – attraverso la rinnovata
valutazione degli elementi probatori acquisiti.
La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotta ad
accreditare l’ipotesi accusatoria ed in tal senso hanno in maniera non manifestamente
illogica fondato l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sulle
dichiarazioni della persona offesa, la cui descrizione della dinamica dei fatti portava ad
escludere che terzi estranei, a parte l’imputato, si fossero introdotti nel luogo in cui si
trovavano il telefono sottratto e la stessa persona offesa.

dell’imputato esclusivamente sulla base delle dichiarazioni della persona offesa senza

I

La linea argomentativa così sviluppata risulta per l’appunto immune da qualsiasi
caduta di consequenzialità logica, evidenziabile dal testo del provvedimento, mentre
del tutto eccentrica appare il riferimento operato dal ricorrente ad una presunta
violazione della regola di giudizio di cui al primo comma dell’art. 533 c.p.p., atteso che
i giudici d’appello si sono rigorosamente attenuti proprio ai principi sanciti dalla
giurisprudenza citata nel ricorso, dando conto dei motivi per cui le ipotesi alternative
formulate dalla difesa dovevano considerarsi remote e comunque prive di ancoraggio

distanza di tempo dai fatti l’imputato non fosse stato trovato in possesso della
refurtiva. Motivazione questa con la quale peraltro il ricorrente non si è confrontato
come invece doveroso, limitandosi alla generica ed apodittica riprospettazione della
sua lettura soggettivamente orientata del materiale probatorio alternativa a quella
fatta motivatamente propria dal giudice di merito.
Ulteriormente generica appare poi la doglianza ad oggetto la valorizzazione dei
precedenti penali dell’imputato al fine di confutare l’ipotesi per cui egli si fosse recato
presso l’officina per cercare lavoro, atteso che il ricorrente non ha saputo indicare
l’eventuale decisività della circostanza ai fini della tenuta del percorso argomentativo
seguito dalla Corte.

2.Inammissibile si rivela infine anche il terzo motivo. Quanto alla valutazione della
congruità del trattamento sanzionatorio va evidenziato che lo stesso era stato
determinato dal giudice di prime cure nel minimo edittale, il che sollevava quello
d’appello dall’onere di qualsiasi ulteriore applicazione della disposizione che il
ricorrente presume violata, risultando dunque la sua doglianza manifestamente
infondata. Con riguardo invece al diniego delle attenuanti generiche il ricorso si rivela
clamorosamente aspecifico, essendo in proposito riferito alla posizione di altr
soggetto (tale Del Dotto), presumibilmente assistito dal medesimo difensore in altro
procedimento, ed incentrato infatti sulla mancata considerazione del fatto che questi
aveva confessato, confessione che invece l’odierno imputato non ha mai reso.

3.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, dunque, ai sensi dell’art.
616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

nell’evidenza disponibile, così come doveva considerarsi irrilevante la circostanza che a

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 15/10/2013

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