Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46435 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 46435 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
El Harchaoui Dine, nato a Città di Castello, il 25/4/1989;

avverso la sentenza dell’11/4/2012 della Corte d’appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Eduardo
Vittorio Scardaccione, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza dell’il aprile 2012 la Corte d’appello di Bologna confermava la
condanna alla pena di giustizia di El Harchaoui Dine per il reato di furto pluriaggravato

Data Udienza: 15/10/2013

commesso in concorso con Giannone Gianpaolo sottraendo nottetempo i cerchioni ed i
pneumatici ad una bicicletta parcheggiata all’esterno della stazione di Cesena.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando tre
motivi. Con il primo deduce l’errata applicazione dell’art. 61 n. 5 c.p. e correlativi vizi
motivazionali del provvedimento impugnato, contestando ricorrano nel caso di specie i
presupposti della minorata difesa ritenuta in sentenza, giacchè il piazzale della stazione
ferroviaria teatro della vicenda sarebbe, anche di notte, luogo ben illuminato e

dell’ulteriore aggravante di cui all’art. 625 n. 2 c.p., evidenziando come la sottrazione
delle ruote della bicicletta non ha comportato alcuna manomissione della medesima,
tant’è che la Corte territoriale, per giustificare la propria decisione, ha dovuto
illogicamente fare riferimento al possesso da parte dell’imputato e del suo complice di
arnesi da scasso senza poter dimostrare come questi sarebbero stati impiegati nella
consumazione del reato. Con lo stesso motivo si censura la sentenza anche con
riguardo al riconoscimento della residua aggravante di cui al n. 7 del citato art. 625
c.p., rilevando come la bicicletta non poteva ritenersi esposta alla pubblica fede in
quanto il suo proprietario aveva provveduto ad assicurarla con una catena, circostanza
che impedirebbe per l’appunto la configurabilità dell’aggravante in questione. Con il
terzo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta, infine, ulteriori carenze motivazionali in
merito al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche, illogicamente e
contraddittoriamente argomentato dalla Corte territoriale negando, tra l’altro, l’utilità
della collaborazione prestata dall’imputato e dal suo complice al momento dell’arresto
per consentire agli operanti di individuare la bicicletta da cui era state sottratte le ruote
e ciò nonostante gli stessi giudici d’appello avessero invece in precedenza riconosciuto
l’essenzialità delle indicazioni fornite dai due. Non di meno i giudici di merito avrebbero
sostanzialmente omesso qualsiasi motivazione in merito al rigetto della richiesta di
sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato al limite dell’inammissibilità.
1.1 La Corte territoriale ha infatti affermato la sussistenza dell’aggravante della
minorata difesa rilevando che il furto venne commesso a tarda ora di notte e quindi in
circostanze di tempo che lasciavano legittimamente presumere una maggiore difficoltà
di prevenirlo, stante la minore visibilità e la scarsa presenza di persone nel luogo in cui
il reato è stato perpetrato (il piazzale antistante la stazione ferroviaria di una piccola
città di provincia). Inoltre i giudici dell’appello hanno evidenziato come solo grazie alle
specifiche indicazione dell’imputato e del suo complice, gli operanti poterono

frequentato. Il secondo motivo avanza analoghe doglianze in merito al riconoscimento

individuare la bicicletta •da cui erano state sottratte le ruote, deducendo da tale
circostanza che la stessa fosse collocata in un luogo non agevolmente visibile.
1.2 La linea argomentativa così sviluppata appare immune da qualsiasi caduta di
consequenzialità logica, evidenziabile dal testo del provvedimento, mentre il tentativo
del ricorrente di prospettare una diversa ricostruzione del fatto si risolve, per l’appunto,
nella prospettazione di una lettura soggettivamente orientata del materiale probatorio
alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito nel tentativo di

fondamento della decisione o all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei medesimi, che invece gli sono precluse ai sensi della
lett. e) del citato art. 606.
1.3 In particolare il fulcro delle critiche avanzate nel ricorso poggia sull’affermazione
per cui il teatro del furto fosse luogo ben illuminato e frequentato anche in ore
notturne. Peraltro la sentenza ha escluso che vi sia evidenza di tali circostanze, mentre
il ricorrente si è limitato in maniera assertiva a rivendicarne l’effettività, senza però
indicare quale fonte probatoria acquisita al processo sarebbe in grado di dimostrarlo.

2. Infondate e per certi versi inammissibili sono altresì le censure avanzate con il
secondo motivo di ricorso.
2.1 Con riguardo alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 n.2 c.p. deve
rammentarsi che per il secondo comma dell’art. 392 dello stesso codice si ha “violenza
sulle cose” allorchè la cosa venga danneggiata, trasformata ovvero ne venga mutata la
destinazione. Ed, infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, sussiste
l’aggravante speciale di cui si tratta tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il
fatto, faccia uso di energia fisica, provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento,
la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento della destinazione
(Sez. 5, n. 24029 del 14 maggio 2010, Vigo, Rv. 247302). Correttamente, dunque, la
Corte territoriale ha ritenuto che nel caso di specie ricorra l’aggravante in questione,
atteso che l’imputato ed il suo complice hanno inevitabilmente impiegato dell’energia
fisica per asportare le ruote della bicicletta, atteso che tale azione presuppone
logicamente la loro separazione dal telaio mediante lo svitamento dei perni e dei fermi
cui sono assicurate. Azione, dunque, che richiede un quid pluris rispetto alla mera
amotio del bene oggetto della sottrazione e che, alterando l’integrità funzionale del

bene cui le cose sottratte appartenevano, ne ha mutato la destinazione, senza che in
proposito rilevi la non irreversibilità di tale mutamento (nello stesso senso questa Corte
si è del resto già espressa con riguardo alla fattispecie analoga della sottrazione della
ruota di un autoveicolo: Sez. 2, n. 2230/85 del 12 novembre 1984, Cammarano, Rv.
168164).

sollecitare quello di legittimità ad una rivisitazione degli elementi di fatto posti a

2.2 Di conseguenza risultano manifestamente infondate anche le censure rivolte dal
ricorrente alla motivazione della sentenza sul punto, atteso che il mancato
accertamento delle specifiche modalità con cui sia avvenuto l’inevitabile sbullonamento
delle ruote – e cioè se sia stato o meno necessario utilizzare all’uopo gli arnesi da
scasso trovati in possesso dell’imputato e del suo complice al momento dell’arresto non è circostanza rilevante ai fini della qualificazione giuridica del fatto, mentre il
possesso dei menzionati arnesi non è stato in alcun modo evocato dalla Corte

2.3 Quanto all’aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 c.p., deve ricordarsi come la ratio
della sua previsione – con riguardo alla fattispecie dell’esposizione della cosa alla
pubblica fede – vada ricercata nella volontà del legislatore di apprestare una più
energica tutela a quelle cose mobili che sono lasciate dal possessore, in modo
permanente o temporaneo, senza custodia continua e quindi affidate all’altrui senso di
onestà e di rispetto (ex multis Sez. 2, n. 561/09 del 9 dicembre 2008, Bacconi e altri,
Rv. 242716). La predisposizione di strumenti finalizzati ad impedire la sottrazione della
cosa non è dunque elemento sufficiente ad escludere che la stessa sia stata esposta
alla pubblica fede, a meno che non si tratti di un congegno o di un dispositivo che
garantisca al legittimo possessore – o a chi per esso – la diretta e continuativa
vigilanza sul bene ovvero costituisca un ostacolo all’azione furtiva difficilmente
superabile (Sez. 5, n. 15583 del 5 febbraio 2004, Di Napoli, Rv. 228757). In tal senso,
pertanto, il fatto che la bicicletta fosse stata assicurata, come peraltro è consuetudine,
con una catena non rappresenta di per sé ragione sufficiente ad escludere la
configurabilità dell’aggravante, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale. Va
peraltro evidenziato come in realtà oggetto del furto non sia stata la bicicletta, bensì
solo quelle sue parti (le ruote, per l’appunto) che non erano state “protette” dal
proprietario, talchè l’obiezione del ricorrente risulta in definitiva manifestamente
infondata.

3. Infondate devono ritenersi, infine, anche le residue doglianze del ricorrente relativ
alla denegata concessione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale
della pena.
3.1 Quanto al primo punto, non sussiste alcuna contraddizione interna nella
motivazione della sentenza in merito alla negata rilevanza del comportamento post
delictum dell’imputato, atteso che il già menzionato contributo prestato agli operanti
per individuare il relitto della bicicletta non necessariamente doveva essere considerato
essenziale per l’accertamento del reato, atteso che l’El Harchaoui e il suo complice
vennero sorpresi nel flagrante possesso delle ruote. Ed in ogni caso va ricordato che la
concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto
rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli

territoriale per affermare la sussistenza dell’aggravante.

limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento
della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6 n. 41365
del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737), così come ha fatto la Corte territoriale nel
caso di specie.
3.2 Con riguardo invece all’altro profilo evocato con il motivo di ricorso, deve innanzi
tutto rammentarsi come, per il consolidato insegnamento di questa Corte, il giudice di
merito, nel valutare la concedibilità della sospensione condizionale della pena, non ha

limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (Sez. 3, n. 6641/10 del 17
novembre 2009, Miranda, Rv. 246184). Ed in tal senso va osservato che dal complesso
della motivazione dedicata dalla Corte territoriale alla determinazione del trattamento
sanzionatorio, si evince che il rifiuto della concessione del beneficio sia stata giustificata
non solo in ragione dei precedenti di polizia dell’imputato, ma soprattutto – e del tutto
legittimamente ai fini del presente giudizio – del precedente penale specifico da cui egli
risulta gravato e ciò a tacere del fatto che la prognosi non favorevole alla concessione
della sospensione condizionale della pena può – contrariamente a quanto affermato dal
ricorrente – fondarsi sui precedenti di polizia, poiché nessuna disposizione ne prevede
l’inutilizzabilità, ed anzi l’art. 9 della legge n. 121 del 1981 prevede espressamente la
possibilità di accesso dell’Autorità Giudiziaria ad essi, “ai fini degli accertamenti
necessari per i procedimenti in corso e nei limiti stabiliti dal codice di procedura penale”
(Sez. 2, n. 18189 del 5 maggio 2010, Vaglietti e altri, Rv. 247469).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/10/20 3

l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell’art. 133 c.p., ma può

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