Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46401 del 25/10/2013

Penale Sent. Sez. 1 Num. 46401 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: LOCATELLI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
SALERNO
nei confronti di:
A.B.

B.B.
C.C.
D.D.
E.E.
F.F.
G.G.

H.H.
I.I.
L.L.
M.M.

N.N.
P.P.
Q.Q.
R.R.
S.S.
T.T.
U.U.
V.V.

Data Udienza: 25/10/2013

avverso la sentenza n. 1972/2008 CORTE APPELLO di SALERNO, del
30/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 5.0

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30.11.2011 la Corte di appello di Salerno, in
parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Salerno in data 3
settembre-26 ottobre 2007, nonché della sentenza emessa dal Tribunale
di Salerno il 3 ottobre 2008: 1) dichiarava non doversi procedere nei
confronti di

A.B.

perché, concesse circostanze attenuanti

generiche prevalenti sulle aggravanti contestate ed esclusa la recidiva,

( delitto associativo previsto dagli artt.81,110 416 e 416 bis cod.pen. per
avere fatto parte della associazione confederativa mafiosa denominata
“Clan Alfieri Galasso” capeggiato da Alfieri Carmine e Galasso Pasquale,
operante nella regione Campania e nella provincia di Salerno, dal 1980
condotta tuttora perdurante) nonché il reato di cui al capo 20 del decreto
n.559/95 del 12.9.1997 (concorso in tentata estorsione aggravata
perché compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere
Esposito Pasquale, titolare della ditta G.M. Italia aggiudicataria
dell’appalto per la fornitura dei pasti presso l’ospedale di Eboli, alla
dazione di una tangente.In Eboli nell’autunno del 1991); 2) assolveva De
Rosa Antonio dai reati ascrittigli ai capi 2),3),10), e 24) relativi ad
episodi di concorso in estorsione, per non aver commesso il fatto;
dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo
1(concorso esterno in associazione di tipo mafioso capeggiata da N.N.) perché estinto per prescrizione; 3) assolveva B.B.
Antonio dai reati ascrittigli ai capi 2),3) e 10), relativi ad episodi di
estorsione, per non aver commesso il fatto; dichiarava non doversi
procedere in ordine al capo 1 (concorso esterno nell’ associazione di tipo
mafioso capeggiata da N.N.) perché estinto per prescrizione;
4) dichiarava non doversi procedere nei confronti di D.D.
in ordine al reato ascrittogli al capo 45 del decreto 13.3.1997 n.
691/1996 perché estinto per intervenuta prescrizione, e rideterminava in
anni 5 mesi 2 di reclusione ed euro 1350 di multa la pena relativa alle
residue imputazioni descritte nel medesimo decreto ai capi 4 ( estorsione
in danno dell’impresario ing. Brancaccio commessa nell’anno 1989),10
(estorsione continuata aggravata in danno dell’imprenditore Ferraro
Giovanni subappaltatore dei lavori pubblici relativi alla realizzazione della

erano estinti per prescrizione il reato ascrittogli con il decreto n.829/95

diga sul fiume Alento, dagli inizi del 1991 al dicembre 1992),
12(estorsione aggravata in danno del titolare del Camping Nettuno, nel
mese di aprile 1990 e 25 maggio 1990),15 (concorso in estorsione
continuata aggravata in danno di Donato Lucio titolare di agenzia di
onoranze funebri, costretto alla dazione di lire 300.000 per ogni servizio
funebre, dal 1989 al 1992),20 ( concorso nella rapina aggravata ai danni
di De Marco Rosario e degli avventori del locale la Tavernetta, in Eboli il

Echochimica,nell’anno 1988 o 1989),30 (estorsione aggravata in danno
del costruttore edile Ciancio Antonio), 49 ( concorso in estorsione
aggravata continuata commessa ai danni del costruttore edile D’Agosto
Franco costretto alla dazione della somma di 50-60 milioni a titolo di
contribuzione per sostentamento di amici carcerati), 50( concorso in
estorsione continuata ed aggravata in danno del costruttore Violo
Cosimo, in Eboli tra il 1991 ed 1992), 51(concorso in estorsione
continuata aggravata in danno di P.P., dall’agosto 1990
all’agosto settembre 1991); 5)dichiarava non doversi procedere per
intervenuta prescrizione nei confronti di E.E. in ordine al
reato previsto dagli artt.110 e 416 bis cod.pen. di concorso esterno in
associazione mafiosa, così qualificata l’originaria imputazione del reato di
cui agli artt.81, 648 bis cod.pen., e art. 7 legge 203 del 1991 contestato
al capo 45 decreto 12.9.1997 n.559/95 (pag.45- sostituzione continuata
di denaro e titoli di credito proveniente dai delitti di estorsione aggravata
e di usura, ricevuti da N.N. e Del Vecchio Pietro, sui quali
compiva operazioni finanziarie dirette ad ostacolare od impedire la
l’identificazione della provenienza illecita);6) confermava nei confronti di
F.F. la sentenza di condanna alla pena di anni 4 e mesi 1 di
reclusione ed euro 900 di multa per il reato ascritto al capo 21 del
decreto 12.9.1997 n.559/95 (pag.22 concorso in estorsione aggravata in
danno del costruttore edile Ciancio Antonio dal quale ottenevano il
versamento di una tangente in relazione ai lavori di costruzione di una
scuola in località Quadrivio di Campagna, commesso nell’estate del
1991); 7) confermava nei confronti di G.G., al quale era
stata riconosciuta l’attenuante prevista dall’art.8 legge n.203 del 1991,
la condanna alla pena di anni 4 mesi 7 di reclusione ed euro 1000 di

\<9,

2

5.1.1988),28 (estorsione aggravata in danno di A.B. titolare della

multa per i reati descritti nel decreto 12.9.1997 n.559/95 ai capi
(concorso nell’associazione di tipo mafioso capeggiata da N.N.), 22( concorso nella estorsione aggravata in danno
dell’imprenditore Luongo Franco costretto al pagamento di una tangente
in relazione ai lavori di rifacimento dei marciapiedi nel centro abitato di
Campagna,commesso negli anni 88-90), 35 ( concorso, con ruolo di
autore materiale, nella estorsione aggravata commesso ai danni

in relazione ai lavori di costruzione di alcuni capannoni industriali in
località Pizzagrande di Eboli, dall’agosto 1990 al agosto-settembre 1991)
8) confermava nei confronti di

H.H.

la sentenza di

condanna alla pena di anni 6 e mesi 3 per il reato associativo di cui al
capo 1 del decreto 12..9.1997 n.559/95 ( concorso nella associazione di
tipo mafioso capeggiata da N.N.); 9) confermava nei confronti
di

I.I. la condanna alla pena di anni 8 mesi 10 di

reclusione ed euro 1.500 di multa per i reati rubricati nel decreto
13.3.1997 n.691/96 ai capi 6 (concorso in estorsione continuata
aggravata in danno dei titolari dell’impresa Pizzarotti costretti alla
dazione della somma di lire 100 milioni in relazione ai lavori di
ristrutturazione dell’ex Convento S. Antonio di Eboli, negli anni 1990 e
1991), capo 7( concorso in estorsione continuata aggravata nei confronti
dei titolari della impresa I.P.L., costretti alla dazione della somma di lire
50 milioni quale prima rata della maggior somma di lire 200 milioni in
relazione alla costruzione di un tratto della superstrada del Cilento in
agro di Omignano, nel dicembre 1991), 25 ( concorso in estorsione
continuata aggravata in danno della Coop a.r.l. Mucafer costretta alla
dazione della somma di 60 milioni quale acconto del maggiore importo di
200 milioni in relazione alla costruzione del palazzetto dello Sport di
Eboli, negli anni 1991 e 1992), 40 ( concorso in estorsione continuata
aggravata ai danni della impresa Astaldi della somma di 100 milioni di lire
quale acconto della maggior somma di 1 miliardo di lire , richiesta in
relazione all’appalto pubblico per la realizzazione della superstrada
Bussentina, in Eboli e Sanza anni 1991 e 1992),41 (concorso in
estorsione continuata aggravata in danno della impresa Lombardini s.p.a.
costretta alla dazione della somma complessiva di lire 110 milioni in

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3

dell’imprenditore P.P., costretto alla dazione di una tangente

relazione ai lavori di ristrutturazione dei viadotti sulla autostrada SA-RC,
negli anni 1992 e 1993), capo 47( concorso in estorsione continuata
aggravata in danno dell’imprenditore Soglia Giuseppe costretto alla
dazione della somma complessiva di lire 110 milioni in relazione alla
costruzione del campo sportivo di Eboli, dal 1990 al 1992); 10)
confermava nei confronti di

Grego brio Antonio

la condanna,

riconosciuta l’attenuante di cui all’art.8 legge n.203 del 1991, alla pena di

decreto 13.3.1997 n.691/97 ai capi 2(estorsione continuata aggravata in
danno dell’impresa Carriero e Baldi, costretta al versamento della somma
di 100 milioni di lire in relazione all’appalto pubblico per l’opera di
ampliamento dello svincolo autostradale di Battipaglia, negli anni
1991,1992 e 1993), 4(concorso in estorsione continuata aggravata ai
danni dell’impresa Ing.Brancaccio costretta alla dazione della somma di
lire 60 milioni in relazione ai lavori di ristrutturazione del vecchio
municipio di Eboli, nell’anno 1989), capo 6 ( concorso in estorsione
continuata aggravata ai danni dell’impresa Pizzarotti, negli anni 1990 e
1991), capo7( concorso in estorsione continuata aggravata ai danni
dell’impresa I.P.L., nel dicembre del 1991), capo 8 ( concorso in
estorsione continuata aggravata in danno della Società Consortile a.r.l.
Cilento costretta alla dazione della somma di 70-80 milioni in relazione
all’appalto pubblico per la costruzione delle condutture idriche in agro di
Casalvelino , nell’anno 1992), capo 9 (concorso in estorsione continuata
aggravata in danno della impresa Mantovani spa costretta alla dazione
della somma di lire 200 milioni in relazione ai lavori di consolidamento dei
viadotti sulla autostrada SA-RC, dalla primavera del 1991 al mese di
giugno 1992), capo 11(concorso in estorsione aggravata in danno della
società consortile a.r.l. Giudiscola costretta alla dazione della somma di
15-20 milioni in relazione ai lavori di ristrutturazione di edifici scolastici
in Eboli, dall’ottobre del 1989 al settembre del 1993), capo 25( concorso
in estorsione continuata aggravata ai danni della Coop a.r.l. Mucafer,
negli anni 1991 e 1992), capo 32 ( concorso in estorsione aggravata
continuata nei confronti dell’imprenditore Di Maio Francesco costretto alla
dazione della somma di 15-20 milioni di lire, dal 1990 al dicembre 1993),
capo 39 (concorso nella estorsione continuata aggravata ai danni della

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anni 5 mesi 7 di reclusione ed euro 1.500 di multa per i reati indicati nel

impresa Astaldi costretta alla dazione della somma di 50 milioni di lire in
relazione alla realizzazione di una condotta idrica, nel corso del 1991),
capo 40 (concorso nella estorsione continuata aggravata ai danni della
impresa Astaldi costretta alla dazione della somma di 100 milioni di lire
in relazione alla realizzazione della superstrada Bussentina, negli anni
1991 e 1992), capo 41( concorso nella estorsione continuata aggravata ai
danni della impresa Lombardini spa, negli anni 1992 e 1993), capo 42

Sinciem Chiementin s.p.a. costretta alla dazione della somma di lire 100
milioni in relazione ai lavori di consolidamento dei viadotti sulla
autostrada SA-RC, negli anni 1991 e 1992), capo 47 ( concorso nella
estorsione continuata aggravata ai danni dell’imprenditore Soglia
Giuseppe, dal 1990 al 1992), capo 50 ( concorso nella estorsione
continuata aggravata ai danni dell’impresario Vitolo Cosimo, costretto alla
dazione della somma di 50 milioni di lire in relazione alla costruzione di
alcune palazzine per civile abitazione in località Paterno di Eboli,dal 1991
al 1992);11) concedeva a

M.M. circostanze attenuanti

generiche equivalenti alle aggravanti contestate e per l’effetto riduceva
ad anni 3 mesi 1 di reclusione ed euro 900 di multa la pena inflitta per il
reato di cui al decreto 13.3.1997 n.691/96 capo 48 (concorso in
estorsione continuata aggravata in danno di E.E. costretto
alla dazione della somma di 80 milioni di lire ,in Eboli nel 1991);12)
dichiarava non doversi procedere nei confronti di

N.N. Modesto in

ordine al reato ascrittogli al capo 1 del decreto 16.9.1997 n.559/1995
(partecipazione ad associazione di tipo mafioso capeggiata da N.N.) perché estinto per intervenuta prescrizione e rideterminava in
anni 7 mesi 5 di reclusione ed euro 1250 di multa la pena per i restanti
reati di concorso in estorsione continuata aggravata di cui ai capi 6-7-810-11-20-33-34-40 del medesimo decreto;13) dichiarava non doversi
procedere nei confronti di P.P. in ordine al reato ascrittogli
al capo 44 del decreto 12.9.1997 n.559/1995 ( partecipazione ad
associazione di tipo mafioso) perché estinto per intervenuta prescrizione
e rideterminava in anni 4 e mesi 7 di reclusione ed euro 700 di multa la
pena per la residua imputazione di cui al capo 14 ( concorso in estorsione
continuata aggravata in danno del costruttore Verde Emilio, costretto

5

(concorso in estorsione continuata aggravata in danno della impresa

alla dazione della soma di circa 5 milioni mensili in relazione alla
realizzazione del centro commerciale e residenziale “La Vela” in Eboli);
14) dichiarava non doversi procedere nei confronti di Q.Q.
in ordine ai reati ascrittigli ai capi 39 -limitatamente al delitto di usura-,
40) e 41) del decreto 12.9.1997 n.559/95, perché estinti per intervenuta
prescrizione, e rideterminava in anni 5 di reclusione ed euro 900 di multa
la pena per la residua imputazione di cui al citato capo 39 ( concorso

aggravata in danno del commerciante di abbigliamento Senatore
Catello); 15) confermava la sentenza nei confronti di R.R.
(già N.N.) condannato alla pena di anni 5 e mesi 7 di
reclusione per il reato ascrittogli al capo 1 del decreto 16.9.1997
n.559/1995 (partecipazione alla associazione di tipo mafioso capeggiata
da N.N.); 16) rideterminava in anni 5 di reclusione ed euro
600 di multa la pena inflitta a S.S. in relazione al reato di
cui al capo 17 del decreto 12.9.1997 n.559/95 (concorso nella estorsione
aggravata in danno della Coop a.r.l. Mucafer ), previa concessione di
attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva e sulle aggravanti
contestate ed esclusa l’aggravante prevista dall’art.7 legge n.203 del
1991 e la continuazione interna; 16) concesse attenuanti generiche
equivalenti alle aggravanti contestate e alla recidiva, riduceva ad anni 3
di reclusione ed euro 600 di multa la pena inflitta a T.T.
imputato del reato ascrittogli al capo 36 del decreto 12.9.1997 n.559/95
( concorso, con ruolo di promotore e mandante nella estorsione
aggravata in danno di D’Avino Umberto, amministratore delegato di un
condominio, costretto mediante atti intimidatori ad affidare i lavori di
ristrutturazione dell’immobile, beneficiante dei contributi pubblici previsti
dalla legge 219/81, alla ditta edile Aurora Costruzioni di cui era titolare la
moglie di T.T.) ; 17) esclusa l’aggravante di cui all’art.112 n.1
cod.pen.riduceva ad anni 4 e mesi 10 di reclusione ed euro 800 di multa
la pena irrogata a U.U., imputato del reato ascrittogli al capo
26 de decreto 12.9.1997 n.559/95 ( concorso , con ruolo di esecutore
materiale, nella estorsione aggravata commessa ai danni di Del Basso
Giovanni, titolare di una fabbrica di infissi, costretto mediante atti
intimidatori consistiti nell’esplosione di colpi di arma da fuoco contro le

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unitamente a Z.M. nel reato di estorsione continuata

vetrate degli uffici ed in telefonate anonime, alla dazione della somma di
30 milioni circa); 18) assolveva U.U. dal reato di cui al
capo 6 del decreto 559/95 e ritenuto più grave il reato di cui al capo 7
del medesimo decreto (concorso, con ruolo di intermediario, nella
estorsione aggravata in danno della società consortile “Cilento”,costituita
dalle imprese Visconti-Pizzarotti), operata la continuazione con i reati già
giudicati con le sentenze di cui all’ordinanza della Corte di appello di

bis e per altre estorsioni, rideterminava la pena complessiva per il
ritenuto reato continuato in anni 11 dei reclusione ed euro 1900 di multa;
19) confermava la sentenza di condanna alla pena di anni 3 mesi 5 di
reclusione ed euro 900 di multa emessa nei confronti di V.V.
imputato del reato di cui al capo 10 del decreto 12.9.1997 n.559/1995 (
concorso, con ruolo di mandante ed organizzatore, nella tentata
estorsione aggravata in danno di Capo Lucio titolare del “Camping
Nettuno”).
Avverso la sentenza della Corte di appello sono stati proposti i
seguenti ricorsi.
1.11 Procuratore generale della Corte di appello di Salerno propone
ricorso nei confronti di A.B., C.C. e B.B.. Quanto a A.B., deduce violazione di legge per erronea
applicazione dell’art.62 bis cod.pen.,contraddittorietà e mancanza della
motivazione in punto di sussistenza delle attenuanti generiche:la
decisione del giudice di appello di riconoscere circostanze attenuanti
generiche è priva di ogni ragionevolezza poiché vengono valutati elementi
del tutto estranei alla condotta, alcuni dei quali di rilevanza neutra.
Quanto a C.C. e B.B., deduce
contraddittorietà e irragionevolezza della motivazione relativa alla
assoluzione degli imputati in ordine alle fattispecie estorsive loro
addebitate, basata su ritenute incongruenze e sulla asserita inidoneità
delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia appartenenti al clan N.N.
a riscontrarsi tra di loro; ininfluenza, ai fini della ricostruzione dei fatti sul
piano oggettivo, delle imprecisioni evidenziate dal giudice di appello nelle
dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia.

sst,
7

Salernon.197/2010, relative alla condanna per il reato di cui all’art.416

Il difensore di B.B. ha depositato memoria con la
quale chiede di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso del
Procuratore generale
2.11 difensore di D.D. ricorre per i seguenti motivi:
1)inosservanza dell’art.157 cod.pen. perché in riferimento ai reati di
concorso in estorsione contestati ai capi 4-10-12-15-20-28-30-49-50-51
risulta decorso il termine massimo di prescrizione; 2) insufficienza

attenuanti generiche; in particolare la motivazione è completamente
contraddittoria nella parte in cui riconosce al ricorrente la circostanza
attenuante prevista dall’art.8 legge n.203 del 1991 per la sua fattiva
collaborazione e nel contempo afferma che egli non è meritevole delle
attenuanti generiche.
3.11 difensore di E.E. ricorre per i seguenti motivi:
violazione di norma processuale per avere il giudice di appello dichiarato
la contumacia nonostante fosse a conoscenza della impossibilità
dell’imputato di comparire in quanto sottoposto alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel
Comune di residenza (Battipaglia); 2) violazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza in quanto le contestate condotte di
riciclaggio di cui all’art.648 cod.pen. descritte nel capo 45, commesse,
secondo l’imputazione, fuori dei casi di concorso, sono assolutamente non
riconducibili alla ritenuta condotta di concorso esterno nel reato
associativo; 3) violazione degli artt. 129 comma 2 e 530 cod.proc.pen.
per avere la sentenza dichiarato la sussistenza di una causa estintiva del
reato (prescrizione) pur a fronte della prova evidente della inesistenza
dei fatti addebitati e comunque per avere, mediante argomentare
mancante ed illogico, solo apparentemente indicato le ragioni che hanno
indotto il giudice ad affermare la sussistenza degli elementi costitutivi del
fatto contestato, operando una ricostruzione frammentaria e parziale, che
non tiene conto delle considerazioni svolte dalla difesa nell’atto di
appello; richiama la decisione del Tribunale del riesame di Salerno che
aveva ritenuto la insussistenza di riscontri esterni alle dichiarazioni rese
dai collaboratori di giustizia(in particolare N.N. e Del Vecchio
Pietro).

\<9,

8

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul diniego delle

4.11 difensore di F.F. ricorre per i seguenti motivi:1)
violazione di legge e vizio della motivazione per avere la sentenza,
mediante argomentare mancante ed illogico, solo apparentemente
indicato le ragioni che hanno indotto il giudice ad affermare la
responsabilità dell’imputato, e comunque operato una ricostruzione dei
fatti frammentaria e parziale che non tiene conto delle considerazioni
svolte dalla difesa nell’atto di appello; omessa motivazione e

dichiarazioni dei collaboratori di giustizia; assoluta insussistenza di
responsabilità dell’imputato in ordine al reato di estorsione allo stesso
contestato; contraddittorietà tra il ruolo di fiancheggiatore del clan
attribuito nel capo di imputazione e la circostanza che il ricorrente
avrebbe indicato al clan un solo lavoro appaltato; insussistenza di un
contributo causale fornito dal ricorrente nell’attività estorsiva;
contraddittorietà delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia in
ordine al ruolo svolto da F.F., evidenziate nell’atto di appello
ma non esaminate dal giudice di secondo grado; 2) violazione di legge e
vizio della motivazione per avere la sentenza impugnata comminato una
pena eccessiva anche a cagione della ritenuta sussistenza delle
contestate aggravanti, motivando mediante argomentare mancante ed
illogico; insussistenza della aggravante prevista dall’art.7 legge n.203 del
1991 poiché il contributo fornito da F.F. alla consumazione del reato,
concretizzatosi nella indicazione dell’inizio dei lavori e della ubicazione del
cantiere e nell’aver accompagnato il coimputato Z.M. in occasione del
primo accesso sul cantiere, sarebbe avvenuto nel marzo aprile 1991,
prima dell’entrata in vigore del d.I.13.5.1991 n.152 che ha introdotto
l’aggravante in oggetto.
5.11 difensore di G.G. ricorre per i seguenti motivi:1)
erronea applicazione dell’art.106 comma 4 bis cod.proc.pen. nella parte
in cui il giudice di appello ha ritenuto fondata l’ordinanza 26.9.2005 del
Tribunale il quale, considerato che il difensore di fiducia di G.G., collaboratore di giustizia, svolgeva il ruolo di sostituto
processuale di Corrado Agostino, a sua volta collaboratore di giustizia ed
imputato nel medesimo procedimento, aveva rilevato la sussistenza di
una causa di incompatibilità fissando un termine per la rimozione, e a

9

travisamento del fatto con particolare riferimento alla valutazione delle

fronte dell’inerzia dell’imputato aveva provveduto alla sostituzione con un
difensore d’ufficio; 2) erronea applicazione degli artt.133 cod.pen. e 62
bis cod.pen. nella parte in cui il giudice di appello ha confermato il
diniego delle attenuanti generiche, non avendo valutato anche i criteri
soggettivi che giustificano la concessione delle attenuanti stesse; 3)
intervenuta prescrizione dei reati: premesso che la condotta associativa
contestata al capo 1 deve intendersi cessata nel 1994, data di inizio della

intendersi prescritti a seguito della concessione dell’attenuante prevista
dall’art.8 legge n.203 del 1991; carenza di motivazione del giudice di
appello che benché compulsata sul punto, nulla ha motivato. Con il
deposito di motivi aggiunti ribadiva la sussistenza della nullità per la
provocata assenza del difensore di fiducia in mancanza di una effettiva
causa di incompatibilità e la sussistenza della causa di estinzione dei reati
per prescrizione, già dedotta con i motivi di appello. Con memoria
depositata il 26.6.2013 produceva verbale di interrogatorio del
19.5.1994 contenente la manifestazione della volontà di collaborare
espressa dal ricorrente ed attestazione della ammissione al programma
speciale di protezione disposto con deliberazione del 12.12.1994.,
documentazione valevole ai fini della individuazione della data di
consumazione dei reati e del relativo termine di prescrizione.
Anche G.G.

personalmente propone ricorso per i

medesimi motivi formulati dal proprio difensore.
6.11 difensore di H.H. ricorre deducendo: 1) violazione
di legge in relazione agli artt.416 bis cod.pen. e 192 cod.proc.pen. e vizio
della motivazione: la valutazione della Corte di appello presenta una
formidabile disconnessione logica dalle risultanze processuali quando
pretende di sostenere la unanimità quasi plebiscitaria del contenuto delle
chiamate in correità; le risultanze probatorie impongono una migliore e
più adeguata valutazione dei non buoni rapporti del ricorrente con N.N. e della conseguente costrizione di H.H. alla partecipazione
associativa; il Collegio ha svilito la circostanza, risultante dalle
dichiarazioni di Rago, secondo cui il N.N. voleva uccidere H.H.,
indicazione da cui è dato rinvenire la proposizione di elementi fattuali
quantomeno sconnessi tra loro e perciò inidonei a comporre un quadro

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collaborazione di G.G., tutti i reati ascritti al ricorrente devono

unitario e tranquillizzante di supporto all’architettura motivazionale; 2)
violazione dell’art.62 bis cod.pen. e vizio della motivazione sul punto
della reiezione della richiesta di concessione di attenuanti generiche
prevalenti o almeno equivalenti; insormontabile vizio grafico della
motivazione poiché il Collegio si è trincerato dietro il profilo della gravità
della condotta e della personalità dell’imputato.
7.11 difensore di I.I. ricorre per i seguenti motivi:1)

insufficienza, lacunosità e contraddittorietà nella valutazione delle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia; la Corte ha semplicemente
adoperato la tecnica “per relationem” senza indicare le ragioni della
condivisione del ragionamento del giudice di primo grado, e non si è
minimamente soffermata sul fatto che le accuse rivolte a I.I. sono
maturate dopo l’espletamento dell’incidente probatorio in cui lo stesso
svelava il complotto posto in essere dai componenti del clan N.N. circa i
fatti da raccontare e le persone da accusare; 2) ritiene infondato e
contraddittorio il ragionamento con il quale il giudice di secondo grado
ha negato l’applicazione della continuazione tra il reato associativo di cui
alla condanna della Corte di appello del 21.12.1994 ed i reati di
estorsione ascritti nel presente procedimento; 3)inapplicabilità della
aggravante prevista dall’art.7 legge n.203 del 1991 in quanto il ricorrente
è già stato condannato con sentenza passata in giudicato per il reato di
associazione a delinquere di stampo camorristico, con la conseguenza che
l’applicazione dell’aggravante determinerebbe una duplicazione di
sanzione per un unico addebito;inoltre, come rappresentato dai
collaboratori di giustizia, I.I. andava a ritirare la rata delle
tangenti inerenti le estorsioni già consumate dagli altri affiliati e pertanto
assumeva esclusivamente la figura dell’esattore senza porre in essere
alcun atteggiamento positivo o negativo, ma ritirando semplicemente una
busta con all’interno il denaro.
L.L.

personalmente ricorre per i seguenti

motivi:1) la Corte di appello, pur sollecitata ha omesso di dichiarare
estinti per prescrizione tutti i reati di estorsione contestati al ricorrente;
2) il ravvedimento del ricorrente che ha scelto la collaborazione ed il
comportamento post delictum dello stesso, che si è impegnato svolgendo

11

vizio della motivazione e violazione dell’art.192 cod.proc.pen. per

costantemente attività lavorativa e adoperandosi per la propria famiglia
avrebbe dovuto indurre il giudice alla applicazione delle attenuanti
generiche; 3) censura la decisione dei giudici di merito che hanno escluso
l’applicabilità della continuazione tra il delitto associativo per il quale il
ricorrente ha riportato condanna irrevocabile con sentenza della Corte di
appello di Salerno del 21.12.1994 e i reati di estorsione oggetto del
presente procedimento.

Corte di appello, che ha concesso attenuanti generiche equivalenti alle
aggravanti contestate, avrebbe dovuto dichiarare la prescrizione del reato
di estorsione di cui al capo 48 , ricorrendo una ipotesi di estorsione
semplice. Poiché l’art.629 comma 2 cod.pen. richiama le aggravanti
indicate nell’ultimo capoverso dell’art.628 , il quale, a seguito delle
modifiche introdotte dalla legge 15.7.2009 n.94, non contiene più
l’enumerazione di esse aggravanti, retrocesse al penultimo capoverso, ne
consegue, secondo il ricorrente, che “anche la condotta estorsiva posta in
essere nelle forme di cui all’art.628 comma 3 cod.pen. rientra in una
ipotesi di estorsione semplice”.
Il difensore di N.N. ricorre per i seguenti motivi:1)
violazione degli artt.416 bis cod.pen. e 192 cod.proc.pen.:la Corte ha
sottoscritto quasi interamente l’impianto probatorio con motivazione solo
apparente, ed il ritenuto “condivisibile giudizio di attendibilità dei
collaboratori di giustizia” è rimasto privo di copertura nel testo della
motivazione che la Corte ha prodotto, mentre risulta inevasa la
prospettata adozione della regola di giudizio di cui all’art.192 comma 3
cod.proc.pen.; 2) vizio della motivazione in punto di reiezione della
richiesta di concessione di attenuanti generiche prevalenti, poiché la
Corte ha ignorato completamente la segnalata doglianza ed ha omesso
di considerare la giovane età, l’assenza di precedenti penali significativi e
la risalenza nel tempo delle condotte ascritte.
Il difensore di P.P. ricorre per i seguenti motivi:1)
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione considerato che
il ricorrente è stato sicuramente vittima di violenze e di attività estorsiva
da parte del clan che si assume essere stato da lui “aiutato”; violazione
dei canoni di valutazione della prova in riferimento al duplice ruolo

sd.),

12

Il difensore di M.M. ricorre per il seguente motivo: la

attribuito al ricorrente nella vicenda estorsiva, di informatore circa la
esistenza dei lavori in atto e di intermediario e diretto percettore delle
tangenti; la sentenza motiva in maniera contraddittoria se non arbitraria
circa il corredo probatorio con violazione dei canoni di valutazione dettati
dall’art.192 commi 3 e 4 cod.proc.pen.; le dichiarazioni dei collaboratori
sono tutte de relato, ad eccezione di quella di Corrado Agostino, quindi
utilizzabili solo attraverso la procedura prevista dall’art.195

illuminanti come quello reso da M.M. direttore dei lavori del
cantiere “la Vela” in ordine al ruolo svolto dal ricorrente nella vicenda
estorsiva; 2) insussistenza della aggravante di cui all’art.7 legge n.203
del 1991, non essendo riscontrabili nella sentenza del giudice di appello
condotte evocative di forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo
e non dalle mere caratteristiche soggettive di chi agisce.
In data 13.6.2013 deposita produzione documentale che dà contezza
della vicenda societaria facente capo al nucleo familiare dei P.P. (e
non solo del ricorrente) e copia di una memoria difensiva già sottoposta
alla valutazione del giudice di primo grado.
I difensori di Q.Q. ricorrono per i seguenti motivi: 1)
violazione della legge penale in punto di ritenuta sussistenza
dell’aggravante prevista dall’art.7 legge n.203 del 1991 in relazione al
reato di estorsione di cui al capo 39 decreto Alfieri: il ricorrente non è
intraneo al sodalizio e la semplice amicizia con due appartenenti alla
consorteria non è idonea a conferire alla minaccia comune ( ” se non
paghi queste cambiali ti faccio sotterrare”) un significato “mafioso”; i
rapporti di amicizia trovano smentita nella avversione nutrita da uomini
del clan nei confronti di Q.Q.; riporta brani di dichiarazioni rese in
dibattimento dalla persona offesa Senatore Catello da cui il ricorrente
desume che il rapporto di Q.Q.con il clan N.N. era improntato a
timore; afferma l’irrilevanza della precedente condotta minatoria posta in
essere dal coimputato Z.M. in quanto il metodo mafioso non può
essere arguito dalle mere caratteristiche soggettive di Z.M., il cui
intervento non è collegabile alla successiva richiesta effettuata da
Q.Q.; la Corte di merito ha interpretato il contenuto della minaccia
proferita dall’imputato in maniera illogica ed in contrasto con la stessa

5(sL,

13

cod.proc.pen.; obliterazione di apporti testimoniali disinteressati e

previsione di legge, in quanto il carattere della intimidazione mafiosa è
stato escluso dalla stessa persona offesa; 2)violazione di legge in
relazione all’art.192 cod.proc.pen. per avere inferito il giudizio di piena
attendibilità dalla dichiarazione solitaria e non riscontrata del
collaboratore A.A. circa la sussistenza di una concorrente
estorsione perpetrata in danno di Senatore; mancanza assoluta di
motivazione in ordine alle censure specifiche e decisive raccolte nel

dei fatti, ed in ordine a precise domande contenute nell’atto di appello;
3)violazione dell’art.393 cod.pen. per avere la Corte salernitana escluso
la ricorrenza della diversa ipotesi delittuosa dell’esercizio arbitrario delle
proprie ragioni perché l’imputato avrebbe agito per riscuotere il provento
dell’usura, fattispecie in realtà insussistente per mancanza dello stato di
bisogno.
Il difensore di R.R. ricorre per i seguenti motivi:1)
violazione ed erronea applicazione dell’art.192 cod.proc.pen.,
contraddittorietà ed illogicità della motivazione: le dichiarazioni dei
collaboratori secondo cui il ricorrente gestiva le finanze del fratello

N.N.ed i proventi delle estorsioni sono generiche e prive di riscontri,
e sono smentite dalle dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia che
negano l’appartenenza di R.R. al clan camorristico
capeggiato dal di lui fratello; R.R. ha sempre svolto regolare
attività lavorativa che non avrebbe sicuramente svolto se fosse stato un
componente del sodalizio criminoso come i fratelli; nel caso di specie
andava sicuramente applicata la regola “in dubio pro reo”; erronea
applicazione degli artt.416 bis e 378 cod.pen.:la Corte ha erroneamente
ritenuto che la partecipazione di R.R. allo spostamento dei cadaveri di
Montagna, Leno e Monti, vittime di triplice omicidio, possa qualificarsi
come contributo rilevante alla vita dell’associazione, mentre avrebbe
dovuto essere configurato il delitto di favoreggiamento personale,
connotato dalla sola volontà di aiutare il fratello ad eludere le
investigazioni dell’autorità, o al più il concorso esterno nel reato
associativo; 2) violazione degli artt.133 e 62 bis cod.pen. in relazione al
diniego delle circostanze attenuanti generiche.

\zsL\

14

gravame di merito anche in relazione alla corretta qualificazione giuridica

Il difensore di S.S. ricorre per i seguenti motivi:1)
violazione di legge in relazione all’art.192 comma 3 cod.proc.pen. in
riferimento alla necessità di rinvenire elementi di prova che confermano
l’attendibilità delle dichiarazioni dei correi che accusano il ricorrente; tutti
i testi riferiti alla parte lesa,semplicemente considerati omertosi dal
giudice di merito, hanno escluso che la cooperativa Mucafer abbia
soggiaciuto alle richieste estorsive del clan di N.N.; non si può

avrebbe sborsato di tasca propria i ratei dell’estorsione versandoli in più
riprese ai componenti del clan che ne facevano richiesta; 2) errata
applicazione dell’aggravante ad effetto speciale prevista dall’art.7 legge
203 del 1991:posto che S.S.con sentenza del 18.11.2002 ha
definito con il rito di cui all’art.444 cod.proc.pen. l’imputazione del reato
previsto dall’art.416 bis cod.proc.pen., sussiste incompatibilità tra la
contestazione dell’aggravante in oggetto e l’avvenuta condanna del
ricorrente per il reato di cui all’art.416 bis cod.pen.
Il codifensore di S.S. ha proposto ricorso deducendo
analoghe censure di violazione ed erronea applicazione dell’art.192
cod.proc.pen. nella valutazione delle dichiarazioni rese dai collaboratori di
giustizia ed insussistenza della aggravante prevista dall’art.7 legge n.203
del 1991.
Il difensore di

T.T.

ricorre per i seguenti motivi:

1)violazione di legge e vizio della motivazione poiché la Corte territoriale
ha ritenuto di sottoscrivere l’impianto probatorio della sentenza di primo
grado con motivazione solo apparente, omettendo di valutare la enorme
significatività del dato relativo all’avere la persona offesa negato di aver
subito pressioni per la scelta della ditta appaltatrice, ed avendo dato
rilievo a circostanze clamorosamente insignificanti quale l’incendio
dell’automezzo del nipote della persona offesa; la valutazione della Corte
subisce un autentico collasso logico allorché indica diverse fonti di
propalazione senza che mai una riscontri un’altra delle cennate fonti e
senza che di esse si rinvenga un ancoraggio probatorio esterno; 2)
violazione dell’art.62 bis cod.pen. in relazione alla reiezione della
richiesta di declaratoria di prevalenza delle attenuanti generiche,
ricorrendo un insormontabile vizio grafico di motivazione laddove nella

15

bollare di inattendibilità la versione fornita dal ricorrente secondo cui egli

sentenza non viene spiegato quale sia il percorso che conduce alla
concessione delle generiche con il solo giudizio di equivalenza.
Il difensore di U.U. ricorre per i seguenti motivi:1)
violazione di legge e vizio della motivazione per aver ritenuto l’ipotesi di
estorsione consumata in luogo di quella tentata, nonostante le
dichiarazioni rese dalla persona offesa Del Basso Giovanni, che ha
denunciato di aver ricevuto minacce estorsive ma di non aver corrisposto

collaboratore Frunzio Domenico rispetto a quelle rese dal collaboratore
Del Vecchio Pietro e dal teste Duccillo Bruno; la Corte di appello non
motiva in ordine all’effettivo pagamento e risolve la questione ritenendo
in astratto l’avvenuto pagamento, mentre a nulla sono valsi i punti posti
all’attenzione della Corte nei motivi di appello; 2) il giudice di appello ha
pronunciato sentenza di condanna dopo il decorso del termine massimo
di prescrizione per il reato di estorsione previsto dal previgente art.157
cod.proc.pen.
Il difensore di U.U. ricorre per i seguenti motivi:1)
violazione di legge in ordine alla applicazione dell’aggravante prevista
dall’art.7 legge n.203 del 1991, da ritenersi incompatibile con la
contestata e ritenuta aggravante prevista dall’art. 628 comma 3 n.3)
cod.proc.pen., la quale deve ritenersi prevalente ed assorbente, con
conseguente inapplicabilità dell’aggravante di cui all’art.7 legge 203 del
1991 anche per il riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art.8 legge
n.203 del 1991; 2) mancanza e contraddittorietà della motivazione nella
parte in cui afferma la convergenza dichiarativa tra i collaboratori L.L.
brio e Z.M. nella indicazione del ricorrente quale segnalatore
dei lavori di realizzazione delle condutture idriche di cui all’episodio
estorsivo descritto nel capo 7 decreto 12.9.1997, mentre le dichiarazioni
dei collaboratori, diversamente da quanto affermato nella sentenza
impugnata, sono confuse ed imprecise e le chiamate di correità non sono
convergenti, dovendosi tenere conto della difforme dichiarazione resa da
Notargiacomo Carmine.
Il difensore di

V.V.

ricorre per i seguenti motivi:

1)violazione di legge e vizio della motivazione avendo la Corte di appello
confermato la sentenza di prime cure con motivazione solo apparente; in

16

alcuna somma di denaro; palese discordanza delle dichiarazioni rese dal

ognuna delle apodittiche indicazioni della Corte territoriale si rinviene la
proposizione di elementi fattuali sconnessi tra loro, e perciò inidonei a
comporre un quadro unitario e tranquillizzante di supporto all’architettura
motivazionale; la Corte territoriale ha commesso una vistosa violazione
della regola di giudizio di cui all’art.192 comma 3 cod.proc.pen. , non
avendo spiegato su quale aspetto motivazionale si sia raggiunta la prova
attraverso la canonica parametrazione introdotta dalla norma in esame;

della richiesta di concessione delle attenuanti generiche con giudizio di
prevalenza.
I difensori di C.C. ricorrono per il seguente motivo:
violazione di legge in relazione alle imputazioni di cui agli artt.110 e 416
bis ( concorso esterno in associazione mafiosa capo 1) e 513 bis
cod.pen.( illecita concorrenza capo 54) e vizio della motivazione, per
avere la sentenza dichiarato di non doversi procedere per prescrizione
pur a fronte della prova evidente della insussistenza dei fatti addebitati, e
comunque per avere mediante argomentare mancante ed illogico,
operato una ricostruzione dei fatti frammentaria e parziale che non tiene
conto delle considerazioni svolte dalla difensa nell’atto di appello,
incorrendo in travisamento del fatto nel non applicare la formula
assolutoria piena: in particolare evidenzia la contraddittorietà della
sentenza impugnata che, da una parte, valorizza la natura plebiscitaria
delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia al fine di escludere la
sussistenza in termini di evidenza della prova dell’estraneità del
ricorrente al reato scrittogli di concorso esterno in associazione di tipo
camorristico, e, dall’altra parte, rileva gli elementi di contraddittorietà e la
mancanza di riscontri presenti nelle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia che hanno determinato il giudice di appello ad emettere
sentenza di assoluzione per le imputazioni di concorso nei fatti estorsivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1),II ricorso del

Procuratore generale

è inammissibile per

manifesta infondatezza e perché proposto per motivi non ammessi nel
giudizio di legittimità.
1.La censura in ordine al riconoscimento di circostanze attenuanti
generiche in favore di A.B. è manifestamente infondata nella

17

2)violazione di legge e vizio della motivazione sul punto della reiezione

parte in cui deduce la mancanza o la illogicità della motivazione. Dalla
lettura della sentenza impugnata (pagg.710-711) risulta che il giudice di
appello ha svolto una accurata disamina della personalità dell’imputato e
delle peculiari modalità con le quali ha preso parte all’associazione
camorristica, ha considerato la lontananza nel tempo delle precedenti
condanne, valutando infine anche l’età avanzata e le gravi patologie da

risolvono in censure di merito non ammesse nel giudizio di legittimità.
2.Quanto alla pronuncia assolutoria in ordine ai reati di estorsione
addebitati a C.C. e B.B., il giudice di appello ,
con ampia e dettagliata motivazione nella quale non si ravvisano vizi
logici di grado manifesto, ha ritenuto insufficienti le prove raccolte in
considerazione delle divergenze esistenti tra le prove di natura
testimonialg provenienti dalle persone offese e dai dipendenti delle
imprese estorte, e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonché
per contraddittorietà interne alle varie e tra loro divergenti dichiarazioni
rese in proposito dai collaboratori di giustizia. I motivi di ricorso addotti
dal Procuratore generale si traducono nella prospettazione di una diversa
lettura o valutazione delle risultanze processuali, non consentita in questa
sede poiché equivalente ad una surrettizia richiesta al giudice di
legittimità di travalicare il proprio ambito cognitivo, compiendo una
valutazione diretta della rilevanza degli atti probatori il cui
apprezzamento in fatto è invece rimesso al sindacato esclusivo del
giudice di merito, che lo esercita in conformità al principio del libero
convincimento motivato.
2),II ricorso di D.D. deve essere accolto limitatamente
alla eccezione di intervenuta prescrizione, fondata in relazione a taluni
dei capi di imputazione relativi a fatti estorsivi. Ai fini del computo dei
termini per la prescrizione occorre in via generale considerare che:
l’attenuante ad effetto speciale della cosiddetta “dissociazione attuosa”,
prevista dall’art. 8 legge 12 luglio 1991 n. 203, non è soggetta al giudizio
di bilanciamento tra circostanze (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010,
Contaldo, Rv. 245929), con la conseguenza che essa deve essere
computata separatamente anche al fine di determinare il tempo

18

cui è afflitto il ricorrente. Nessuna di tali argomentazioni è viziata da
_
illogicità e le contrarie osservazionq svolte
nei motivi di ricorso si

necessario a prescrivere a norma dell’art.157 cod.pen. previgente. Poiché
i termini di prescrizioni previsti dal vigente art.157 cod.pen., come
modificato dalla legge 5.12.2005 n.251, risultano più lunghi (prevedendo
la irrilevanza di tutte le circostanze attenuanti anche speciali ed il
raddoppio dei termini per i reati cui all’art.51 comma 3 bis
cod.proc.pen.), si deve fare applicazione della più favorevole disciplina
stabilita dall’art.157 cod.pen. nel testo previgente. Le imputazioni di

conto delle circostanze aggravanti contestate e ritenute, quali, per tutte
le imputazioni, la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale
(espressamente menzionata a pag.73 sentenza impugnata)oltre alle
aggravanti di cui agli artt.112 n.1 e 61 n.7 cod.pen. indicate nei singoli
capi di imputazione, comportano l’applicabilità della pena massima di
anni 30 di reclusione, sulla quale deve operarsi la riduzione minima di
un terzo per la riconosciuta attenuante di cui all’art.8 legge n.203 del
1991; ne risulta l’applicabilità di una pena edittale massima pari ad anni
20 di reclusione, alla quale corrisponde, a norma del previgente art.157
comma 1 n2) cod.pen. un termine di prescrizione complessivo di anni
22 e mesi 6 (anni 15 aumentato della metà), cui deve aggiungersi il
periodo di sospensione di mesi 7 maturato nel corso del giudizio di primo
grado (indicato a pag.75 sentenza ). Pertanto, risultano estinti, prima
della pronuncia della sentenza di appello emessa il 30.11.2011, i reati di
cui al capo 20, commesso in Eboli il 5.1.1988, e di cui al capo 28,
commesso in Eboli nell’anno 1988 o 1989 ( dovendosi, nel dubbio,
applicare la data di inizio dell’anno 1988, più favorevole ai fini della
maturazione della prescrizione).
L’ammissibilità del ricorso, determinando la formazione di un valido
rapporto processuale, consente di rilevare ai sensi dell’art.129
cod.proc.pen. anche la causa di estinzione per prescrizione del reato
maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso. (Sez.
U, n. 32 del 22/11/2000 , De Luca, Rv. 217266): deve pertanto essere
ulteriormente dichiarata la prescrizione del reato di cui al capo 4
(commesso in Eboli nel 1989), capo 12 (commesso nel mese di aprile
1990 e il 25 maggio 1990).

Rsk\
19

estorsione aggravata ai sensi dell’art. 629 comma 2 cod.proc.pen. tenuto

Considerato che per ciascuno dei suddetti reati, compresi nel vincolo
della continuazione, il giudice di merito ha applicato un aumento di pena
di mesi 1 di reclusione ed euro 50 di multa, l’eliminazione delle pene
relative ai reati prescritti comporta la riduzione della pena complessiva
irrogata al ricorrente ad anni 4 mesi 10 di reclusione ed euro 1.150 di
multa.
2.11 secondo motivo di ricorso è infondato. La sentenza impugnata

di ragioni che giustificano il riconoscimento dell’attenuante della
collaborazione e nello stesso tempo ostano alla concessione delle
richieste circostanze attenuanti generiche. Deve ritenersi giuridicamente
e logicamente corretta l’affermazione del giudice di appello circa
l’insussistenza di automatismi per cui il riconoscimento della speciale
circostanza attenuante della collaborazione, prevista dall’art.8 legge
n.203 del 1991, debba necessariamente comportare anche il
riconoscimento delle attenuanti generiche previste dall’art.62 bis
cod.pen., attesa la differenza dei relativi presupposti.
3)11 ricorso di E.E. è infondato.
1.0ccorre premettere che la situazione di impossibilità dell’imputato
di comparire nel giudizio di appello perché sottoposto alla misura della
sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza
(Battipaglia), eccepita con il presente ricorso, non risulta essere stata
prospettata alla Corte di appello. In ogni caso si rileva che era onere
dell’imputato richiedere al competente giudice della prevenzione
l’autorizzazione ad allontanarsi dal Comune di residenza al fine di
partecipare al dibattimento nel giudizio avanti la Corte di appello di
Salerno. In mancanza di tale richiesta, l’assenza nel dibattimento in
grado di appello è riconducibile alla libera scelta dell’imputato di non
presenziare al giudizio a suo carico.
2. La violazione del principio di correlazione tra imputazione
contestata e sentenza è ravvisabile soltanto in presenza di un mutamento
radicale dell’imputazione tale da determinare un reale ed effettivo
pregiudizio ai diritti di difesa dell’imputato; viceversa la violazione è del
tutto insussistente quando l’imputato sia venuto a trovarsi nella

20

(pagg.74 e 75) contiene specifica motivazione in ordine alla compresenza

condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.
(Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
Nel caso in esame i fatti materiali che il giudice di appello ha ritenuto
integrativi della fattispecie prevista dagli artt.110 e 416 bis cod.pen.
(concorso esterno in associazione camorristica) corrispondono
esattamente agli episodi di reimpiego di denaro e titoli di credito provento
di estorsione ed usura, commessi al fine di agevolare l’associazione

quali il ricorrente ha potuto dispiegare pienamente il proprio diritto di
difesa. Dal punto di vista processuale, la sussunzione dei fatti,
originariamente contestati quale reato continuato di riciclaggio aggravato
ai sensi dell’art.7 legge n.203 del 1991, nell’ambito della fattispecie di
concorso esterno con ruolo di partecipe fiancheggiatore nel medesimo
sodalizio camorristico, si è tradotto in un vantaggio per il ricorrente ,
avendo comportato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche in regime di equivalenza, la declaratoria di estinzione del reato
associativo (commesso sino al gennaio 1995) e la conseguente revoca
della confisca dei beni adottata ex art.12 sexies legge 7.8.1992 n.356,
effetti che non si sarebbero verificati in caso di mantenimento
dell’originaria qualificazione dei fatti quale reato continuato di cui agli
artt.81, 648 bis e 7 legge n.203, commesso nel medesimo arco
temporale.
3.La decisione della Corte di appello che, nella ritenuta assenza della
prova evidente della innocenza dell’imputato, ha applicato la causa di
estinzione del reato per prescrizione, è conforme alla giurisprudenza di
legittimità secondo cui il principio della prevalenza del proscioglimento nel
merito rispetto alla declaratoria di determinate cause di non punibilità,
stabilito dall’art.129 comma 2 cod.pen., non trova applicazione nel caso
di proscioglimento nel merito per contraddittorietà o insufficienza della
prova (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 – dep. 15/09/2009, Tettamanti,
Rv. 244273). Nonostante l’intitolazione del vizio dedotto quale violazione
di legge e mancanza o illogicità della motivazione, le censure
concretamente svolte nel ricorso prospettano una situazione di
“frammentarietà” e “parzialità” degli elementi probatori assimilabile alla
categoria normativa della contraddittorietà o insufficienza delle prove, il

21

camorristica, descritti nel capo 45 di imputazione, episodi rispetto ai

cui apprezzamento è precluso dalla presenza della causa di prescrizione;
per latro verso i motivi di ricorso si sostanziano in una difforme
considerazione delle risultanze probatorie, con richiesta al giudice di
legittimità di travalicare il proprio ambito cognitivo compiendo una
valutazione diretta della degli atti probatori, asseritamente sintomatici
della situazione di mancanza totale di prova rilevante ai sensi
dell’art.129 comma 2 cod.pen., il cui apprezzamento è invece rimesso al

conformità al principio del libero convincimento logicamente motivato.
La motivazione della sentenza impugnata relativa alla posizione del
ricorrente non è illogica né carente, ma, al contrario, contiene una
esposizione particolarmente dettagliata dei motivi di appello e delle
ragioni per le quali essi sono stati disattesi.
Dal tenore degli artt.309 e 310 cod.proc.pen., come modificati dalla
sentenza della Corte cost.. n.71 del 1996, è desumibile il duplice
principio dell’autonomia del procedimento cautelare incidentale rispetto
al procedimento principale di cognizione, e della prevalenza della
statuizione del giudice di merito in tema di colpevolezza rispetto al
sindacato del giudice cautelare in tema di gravi indizi di colpevolezza,
preclusa dalla intervenuta pronuncia, nel procedimento principale, di
sentenza non definitiva di condanna (in tal senso Sez. 1, n. 29107 del
14/07/2006, Barra, Rv. 235267; Sez. 5, n. 1709 del 09/04/1997, Fazio
G, Rv. 208138). Ne consegue che l’eventuale giudizio di inattendibilità
delle dichiarazioni rese da taluni collaboratori di giustizia, espresso a suo
tempo dal giudice del riesame, non può essere addotto quale indice di
contraddittorietà della difforme valutazione operata dal giudice della
cognizione piena che, con argomentazioni prive di vizi logici, ha reputato
attendibili e sorrette da adeguati riscontri le complessive dichiarazioni
etero accusatorie provenienti dai numerosi coimputati dei medesimi reati
o di reati connessi o collegati.
4) Il ricorso di F.F. è inammissibile per manifesta
infondatezza
1.1 motivi di appello sono stati oggetto di puntuale ed esauriente
disamina da parte della Corte territoriale, che ha ritenuto provata la
compartecipazione del ricorrente nell’episodio estorsivo ascrittogli sulla

\(9L,

22

sindacato esclusivo del giudice di merito, che lo ha esercitato in

base delle convergenti chiamate in correità di imputati collaboranti (Di
Lorenzo Gaetano, C.D. e Notargiacomo Carmine), le cui
dichiarazioni sono state giudicate attendibili e riscontrate sulla base di
argomentazioni immuni da vizi logici ed incensurabili nel merito. I motivi
di ricorso sviluppano apprezzamenti fattuali alternativi ovvero censure
palesemente attinenti al merito, le quali non possono avere ingresso nel
giudizio di legittimità.

inammissibile, poiché la commisurazione della pena entro i limiti edittali
costituisce tipica espressione del potere discrezionale riservato
dall’art.132 cod.pen. al giudice di merito. La censura di mancanza di
motivazione in ordine alla quantificazione della pena irrogata è
manifestamente infondata: il giudice di appello ha espressamente
indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di non poter formulare un
giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, già ritenute
equivalenti alle contestate aggravanti dal giudice di primo grado; ha
ritenuto di non poter mitigare il trattamento sanzionatorio poiché la pena
base era già stata determinata nel minimo edittale ( 3 anni ex art.629
cod.pen. ante modifica disposta con il d.I.31.12.1991 n.419), aumentata
nella misura minima di un terzo per l’aggravante prevista dall’art.7 legge
n.203 del 1991.
E’ manifestamente infondata la censura che deduce l’inapplicabilità
della aggravante prevista dall’art.7 d.l. 13.5.1991 n.152, entrato in
vigore con la pubblicazione nello stesso giorno sulla Gazzetta Ufficiale,
per la ragione che essa è stata introdotta successivamente al periodo in
cui il ricorrente fornì il proprio contributo alla realizzazione della
estorsione. Ai fini della applicazione della circostanza aggravante deve
aversi riguardo al momento della consumazione del reato; il giudice di
appello ha correttamente rigettato l’eccezione osservando ( pag.144
sentenza) che l’estorsione si è concretamente realizzata con la dazione
della somma di 10 milioni di lire consegnata dall’imprenditore nelle mani
degli estorsori nel periodo giugno-luglio 1991, successivamente
all’entrata in vigore della normativa più severa.
5)I1 ricorso di G.G. è parzialmente fondato con riguardo
alla eccezione di intervenuta prescrizione; è infondato nel resto.

23

2.La censura di « eccessività della pena comminata» è in sé stessa

1. Contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata,
l’avvocato Ruggiero Andrea, nominato difensore di fiducia nel corso del
dibattimento di primo grado dall’imputato collaboratore di giustizia
G.G., non è mai stato nominato difensore di fiducia dal coimputato
Corrado Agostino, anch’egli collaboratore di giustizia, difeso
fiduciariamente dall’avvocato De Caro Agostino. Dalla documentazione
allegata dal ricorrente risulta che l’avv.Ruggiero Andrea, oltre tre anni

sostituito occasionalmente in udienza il difensore del collaboratore
Corrado Agostino, senza mai partecipare all’esame dibattimentale di
Corrado ( assistito dall’avv. Agostino Allegro, sostituto dell’avv.De Caro)
né a quello di G.G.( allora difeso da altro legale).
La “ratio” della disposizione introdotta con l’art.106 comma 4 bis
cod.proc.pen., che stabilisce il divieto di assunzione da parte dello stesso
legale della difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni
concernenti la responsabilità di altro imputato nello stesso procedimento
(o in procedimento connesso o collegato), deve essere individuata nella
esigenza di tutela della genuinità ed indipendenza delle dichiarazioni dei
chiamanti in correità, al fine di preservarle da possibili vizi di “circolarità”
delle dichiarazioni ipoteticamente indotte dalla comune posizione
difensiva (conforme Sez. 2, n. 11865 del 03/02/2006, Martucci, Rv.
233804).
Pertanto, non integra la causa di incompatibilità prevista dall’art.106
comma 4 bis cod.proc.pen. la circostanza che il difensore nominato di
fiducia da un imputato collaboratore di giustizia abbia in precedenza
svolto, occasionalmente ed in udienza non deputate all’escussione degli
imputati, la funzione di sostituto processuale del difensore di altro
coimputato collaboratore, difettando il requisito della coesistenza ed
attualità della doppia difesa al momento della dichiarazione di
incompatibilità.
Ne consegue che l’imposizione di un difensore diverso da quello
fiduciariamente scelto dall’imputato, attuata dal giudice mediante il
ricorso al meccanismo della sostituzione d’ufficio prevista dall’art.103
comma 3 cod.proc.pen., in assenza di una effettiva situazione di
incompatibilità, determina una lesione del diritto di assistenza e

24

prima di essere nominato difensore dall’imputato G.G., aveva

rappresentanza dell’imputato, integrante una nullità di ordine generale a
regime intermedio ai sensi degli artt.178 lett.c) e 180 cod.proc.pen.
Tuttavia, il difensore nominato di fiducia dall’imputato G.G., pur
presente allorché il Tribunale fissava un termine per la rimozione della
ritenuta situazione di incompatibilità e, successivamente, disponeva con
ordinanza la sostituzione del difensore di fiducia con altro di ufficio, nulla
ha eccepito; analogamente, il difensore di ufficio subentrato al difensore

derivata sia la preclusione alla deduzione della nullità prevista
dall’art.182 comma 2 cod.proc.pen. non essendo stata eccepita dalla
parte che vi assiste al momento del compimento dell’atto, sia la sanatoria
della nullità prevista dall’art. 183 lett.a) cod.proc.pen. per accettazione
degli effetti dell’atto.
2.La sentenza impugnata contiene congrua motivazione, priva di
vizi logici ed incensurabile nel merito, in ordine alle ragioni per le quali il
giudice di appello ha condiviso il diniego delle attenuanti generiche
espresso dal giudice di primo grado.
3.11 motivo di ricorso relativo alla intervenuta prescrizione è
parzialmente fondato. Il giudice di appello (pag.44 sentenza impugnata),
premesso che il reato associativo è stato contestato e ritenuto dal
giudice di primo grado “con condotta perdurante alla data della sentenza
di primo grado”, afferma, con specifico riferimento agli imputati
collaboratori, che le condotte di partecipazione loro ascritte devono
ritenersi proseguite sino a ” prima di iniziare i rispettivi percorsi
collaborativi”. Anche considerando come data di cessazione della
partecipazione al delitto associativo la prima manifestazione della volontà
di collaborazione contenuta nel verbale di spontanee dichiarazioni rese da
G.G.in data 19.5.1994, il delitto associativo non è prescritto: l’art.416
bis comma 1 e 4 cod.pen. vigente alla data di commissione dei fatti
(prima degli inasprimenti di pena introdotti dalla legge n.251 del 2005)
prevedeva una pena di anni 10 per la partecipazione ad associazione
armata, aumentata ad anni 15 per l’ulteriore aggravante prevista dal
comma 6 ( la sussistenza di entrambe le aggravanti è indicata a pag.46
sentenza appello); applicando la riduzione minima di un terzo per
l’attenuante prevista dall’art.8 legge n.203 del 1991, la pena edittale è

25
\z9,

di fiducia ha accettato gli effetti dell’atto. Da tale condotta processuale è

pari ad anni 10, ed il corrispondente termine di prescrizione è pari ad
anni 22 e mesi 6, (15+metà) oltre a mesi 7 di sospensione, non decorso.
Quanto ai reati di estorsione continuata, considerato il termine di
prescrizione complessivo (15 a. +7a. 6 m.) ed aggiunto il periodo di
sospensione di mesi 7, esso non risulta decorso con riguardo al reato di
cui al capo 35 , commessa dall’agosto 1990 all’agosto- settembre 1991.
Invece il ‘termine di prescrizione risulta essere decorso in riferimento al

“anni 88-90” (inteso “inizio anno 1990” quale termine finale della
condotta, in mancanza di diversa specificazione), considerato peraltro
che dalla lettura della sentenza del giudice di merito, nella parte relativa
alla trattazione del suddetto capo 22, i fatti estorsivi concretamente
addebitati non vanno oltre l’anno 1989. Posto che il giudice di primo
grado ( pag.3114 sentenza) ha applicato un aumento in continuazione di
mesi 2 ed euro 100 per entrambi i reati ( capi 1 e 22) ritenuti in
continuazione con il reato più grave di cui al capo 35, all’estinzione per
prescrizione del capo 22 segue la eliminazione della pena nella misura
della metà dell’aumento per la continuazione pari a mesi 1 e 50 euro, con
rideterminazione della pena finale in anni quattro mesi sei ed euro 950 di
multa.
Il ricorso di H.H. è inammissibile.
1.La concreta formulazione del primo motivo di ricorso non denuncia
alcun vizi di legittimità della sentenza impugnata, ma si limita, a mezzo di
osservazioni generiche o riguardanti il merito del giudizio , ad esprimere
il proprio dissenso rispetto alle conclusioni del giudice di appello che, con
argomentazioni prive di vizi logici, ha ritenuto provata la partecipazione
del ricorrente al sodalizio camorristico capeggiato da N.N. sulla
base delle plurime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ritenute
precise, coerenti, riscontrate tra di loro, e sulla base delle risultanze delle
sentenze irrevocabili acquisite agli atti, con particolare richiamo al narrato
dei consociati Fabbiano e Rago Cosimo che hanno dettagliatamente
illustrato le modalità e le ragioni per cui il gruppo di Rago ( di cui faceva
parte H.H.) si dovette determinare ad entrare nel clan camorristico di
N.N. per non contraddire la volontà espressa dal sodalizio di
Carmine Alfieri ( pagg.176 e 177 sentenza).

26

capo di imputazione 22, recante l’indicazione quale data di commissione

2. Il motivo di ricorso con il quale si censura la mancata concessione
delle circostanze attenuanti svolge apprezzamenti di merito non ammessi
nel giudizio di legittimità, peraltro manifestamente infondati nella parte
in cui si allega “l’assenza di precedenti penali significativi ” mentre il
ricorrente, come evidenziato nella sentenza impugnata, è
pluripregiudicato per reati contro il patrimonio oltre che per i delitti di
omicidio e partecipazione ad associazione di tipo mafioso.
I.I. è inammissibile per manifesta

infondatezza.
1.Premesso che è legittima la motivazione della sentenza di secondo
grado che disattenda le censure dell’appellante sulla base dei medesimi
argomenti addotti dal primo giudice (Sez. U, n. 10929 del 10/10/1981, Di
Carlo, Rv. 151244), nel caso in esame la Corte territoriale, a fronte della
riproposizione, nell’atto di appello, della tesi del “complotto” ( i
collaboratori avrebbero reso false accuse contro I.I. per ritorsione,
avendo egli svelato gli accordi intercorsi tra i soggetti collaboranti) già
adeguatamente esaminata nella sentenza appellata, ha legittimamente
ribadito e fatto proprie le argomentazioni con le quali il giudice di primo
grado aveva ritenuto inattendibile la tesi dell’appellante. Quanto alla
censura in ordine alla discordanze e contraddizioni presenti nelle
dichiarazioni dei collaboratori, la Corte di appello ha correttamente
rilevato la estrema genericità del motivo di appello, in assenza di
riferimenti specifici a fatti e circostanze ed in mancanza di qualsiasi
indicazione in ordine alla individuazione delle parti di dichiarazioni
ritenute non coincidenti su elementi essenziali (pag.311 sentenza), ed ha
compiuto una analitica disamina, immune da vizi logici, delle convergenti
chiamate in correità a carico del ricorrente, di cui ha anche richiamato le
dichiarazioni confessorie acquisite a norma dell’art.513 cod.proc.pen.
2. La Corte di appello ha confermato l’insussistenza del vincolo della
continuazione tra il delitto associativo per il quale era già intervenuta la
condanna 21.12.1994 della Corte di appello, ed i reati di estorsione
oggetto del presente procedimento, osservando che: con il passaggio del
sodalizio di N.N.alla Nuova Famiglia di Carmine Alfieri,
l’originario programma criminoso incentrato su usura, gioco d’azzardo e
sporadiche estorsioni, aveva subito una profonda trasformazione con

27

Il ricorso di

l’assunzione del controllo criminale della gestione degli appalti pubblici e
lo svolgimento di una tipologia di attività estorsiva (imposizione
generalizzata di una tangente del 5% sull’importo complessivo dei lavori
appaltati) del tutto assente nell’iniziale programma criminoso del
sodalizio (pag.320 sentenza impugnata). L’argomentazione del giudice di
merito è priva di vizi logici e le obiezioni svolte nei motivi di ricorso si
sostanziano in censure di merito non ammesse nel giudizio di legittimità.

circostanza aggravante prevista dall’art.7 legge n.203 del 1991 è
inammissibile a norma dell’art.606 comma 3 cod.proc.pen., trattandosi di
denuncia di violazione di legge non dedotta con i motivi di appello.In ogni
caso essa è manifestamente infondata posto che la circostanza
aggravante in oggetto, nelle due differenti forme dell’impiego del metodo
mafioso nella commissione dei singoli reati e della finalità di agevolare,
con il delitto posto in essere, l’attività dell’associazione per delinquere di
stampo mafioso, è configurabile anche con riferimento ai reati-fine
commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso. (Sez. U, n. 10 del
28/03/2001, Cinalli e altri, Rv. 218377; conforme la successiva
giurisprudenza).
Il ricorso di L.L. è inammissibile per manifesta
infondatezza.
1.Dalla sentenza impugnata (pag.397) risulta che i motivi di appello
presentati dal ricorrente attenevano esclusivamente al trattamento
sanzionatorio, con richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche
e di riduzione della pena, né il ricorrente ha dimostrato l’avvenuta
presentazione di un motivo di appello contenente la specifica richiesta di
declaratoria della prescrizione per tutti i reati ascrittigli, essendosi
limitato con il presente ricorso ad una generica affermazione di “aver
sollecitato” in tal senso il giudice di appello.
La ricognizione che questa Corte è tenuta ad effettuare, ai sensi
dell’art.609 comma 2 cod.proc.pen., in ordine alla eventuale sussistenza
della causa di estinzione del reato per prescrizione intervenuta prima
della pronuncia della sentenza di appello, ha esito negativo: in relazione
al reato di estorsione aggravata ai sensi dell’art.629 comma 2 cod.pen.,
112 n1 cod.pen. e 61 n.7 cod.pen. più risalente nel tempo ( capo 4,

28

3.11 motivo dei ricorso relativo all’erronea applicazione della

commesso nel 1989), il periodo complessivo di prescrizione, pari a 22
anni e 6 mesi +7mesi per sospensione ( computato secondo le modalità
già indicate nella posizioneD.D. ) non risulta decorso prima della
pronuncia della sentenza di appello intervenuta il 30.11.2011; a maggior
ragione esso non è decorso per i restanti reati di estorsione aggravata
commessi successivamente.
L’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi

norma dell’art. 129 cod. proc. pen., tra le quali la prescrizione del reato
maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso. (Sez.
U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266).
2.11 motivo con il quale si sostiene che il ricorrente era meritevole
della concessione di circostanze attenuanti generiche integra una censura
di merito non ammessa nel giudizio di legittimità.
3.La Corte di appello ha dettagliatamente illustrato (pagg.400 e ss)
le ragioni del mancato riconoscimento della continuazione tra la
precedente condanna del ricorrente per il delitto associativo ed i reati di
estorsione oggetto del presente procedimento. Le censure sul punto sono
manifestamente infondate per le ragioni già indicate al punto 2) della
trattazione del ricorso di I.I..
Il ricorso di

M.M.

è inammissibile per manifesta

infondatezza.
E’ manifestamente contrastante con i criteri di interpretazione logica
e letterale della legge, la tesi secondo cui la modifica alla disciplina delle
circostanze aggravanti speciali del reato di rapina, introdotta con la
legge 15 luglio 2009 n.94 recante “Disposizioni in materia di sicurezza
pubblica”( finalizzata all’inasprimento del trattamento sanzionatorio di
determinati reati), abbia comportato indirettamente la cancellazione del
reato di estorsione aggravata. Il disposto dell’art.629 comma 2 cod.pen.,
che stabilisce pene sensibilmente più elevate qualora concorra taluna
delle circostanze indicate nel precedente art.628 cod.proc.pen., non può
avere significato diverso da quello della estensione, al reato di
estorsione, delle medesime circostanze aggravanti ad effetto speciale
previste per reato di rapina.

29

preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a

Anche tenendo conto, in applicazione del previgente art.157
cod.proc.pen. , del giudizio di equivalenza tra le circostanze aggravanti
ed attenuanti espresso dal giudice di appello, ( pur dovendosi rilevare, ai
soli fini della determinazione del tempo di prescrizione, il divieto previsto
dall’art.7 comma 2 legge 203 del 1991 di includere nel giudizio di
comparazione la circostanza del “metodo mafioso”) , si osserva che il
reato di estorsione semplice è punito con pena non inferiore ad anni 10

6 (15 anni aumentato della metà), oltre a mesi 7 di sospensione. Ne
deriva che il reato di estorsione di cui al capo 48, commesso nei primi
mesi del 1991 (come indicato a pag.410 sentenza), non era prescritto
alla data della pronuncia della sentenza di appello ( e neppure
successivamente, per quanto la circostanza non sia rilevante).
Il ricorso di

N.N.

è inammissibile per manifesta

infondatezza.
1.11 motivo di ricorso relativo al giudizio di attendibilità espresso dal
giudice di merito in ordine alle molteplici e convergenti chiamate in
correità dei collaboratori di giustizia ( ritenute riscontrate anche dalle
dichiarazioni parzialmente autoaccusatorie rese da N.N.) è
inammissibile per genericità ed astrattezza delle censure, che non
specificano in alcun modo sulla base di quali dati processuali, ed in
riferimento a quali passaggi dichiarativi, sia prospettabile un vizio della
motivazione rilevante ai sensi dell’art.606 comma 1 lett.e) cod.proc.pen.
2.11 giudice di appello menziona espressamente il motivo di gravame
relativo alla richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche, il cui
mancato accoglimento deve intendersi implicitamente motivato con il
riferimento alle complessive valutazione sulla gravità della condotta posta
in essere e sulla “partecipazione a pieno titolo dell’imputato
nell’associazione camorristica” contenute nella sentenza impugnata e
nella decisione, richiamata, del giudice di primo grado.
Il ricorso di

P.P.

è inammissibile per manifesta

infondatezza.
1.Non è ravvisabile vizio logico nell’assunto del giudice di merito che,
previa valutazione congruamente motivata delle convergenti dichiarazioni
degli imputati collaboratori, ha ritenuto che P.P.,

30

cui corrisponde un termine complessivo di prescrizione di anni 22 e mesi

imprenditore nel settore del calcestruzzo e del movimento terra, benché
inizialmente sottoposto ad estorsione dal clan camorristico di N.N. , ebbe successivamente ad instaurare un rapporto di contiguità
e collaborazione con il medesimo sodalizio criminoso di cui divenne
concorrente esterno ( reato dichiarato estinto in grado di appello per
intervenuta prescrizione).
La Corte di appello ha confermato il giudizio di corresponsabilità

impegnato nella realizzazione del centro commerciale e residenziale “La
Vela” ( capo 14), sulla base delle plurime dichiarazioni dei coimputati
collaboranti, non tutte “de relato” (N.N. riferiva per conoscenza
diretta), i quali hanno concordemente riferito non solo del ruolo svolto dal
ricorrente quale “segnalatore” dei lavori, ma anche e soprattutto del
ruolo di intermediatore, svolto attraverso l’attività di agevolazione
prestata nella “chiusura” della estorsione e di riscossione dei ratei.
Contrariamente a quanto affermato nei motivi di ricorso, il giudice di
appello non ha “obliterato” le dichiarazioni del teste ing.M.M.
direttore dei lavori, ma ne ha ritenuto la non rilevanza in ragione del
fatto che l’attività di intermediazione, rilevante ai fini del concorso nel
reato estorsivo, fu attuata dal ricorrente attraverso l’ organizzazione
dell’incontro diretto con il costruttore estorto Verde Emilio . Le
considerazioni svolte dal giudice di merito in ordine alla
compartecipazione del ricorrente nell’episodio estorsivo e alla “non
riconducibilità del contributo fattuale prestato da P.P. all’alveo di
una attività condotta nell’interesse esclusivo della persona offesa”
(pag.448 sentenza impugnata) sono prive di vizi logici ed incensurabili
nel merito.
2.11 motivo di ricorso con il quale si denuncia l’insussistenza della
aggravante di cui all’art.7 legge n.203 del 1991 è inammissibile per una
duplice ragione: non prospetta vizi di legittimità ma svolge una censura
attinente al merito del giudizio, la quale non risulta proposta davanti al
giudice di appello, in violazione della generale natura devolutiva dei
mezzi di impugnazione, comportante la indeducibilità di questioni
(diverse da quelle rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del
procedimento ex art.609 comma 2 cod.proc.pen. ) che non siano state

31

dell’imputato nella estorsione in danno del costruttore Verde Emilio,

previamente sottoposte all’esame del giudice del provvedimento
impugnato ( in tal senso Sez. 2, n. 3418 del 02/07/1999, Moledda, Rv.
214261).
Il ricorso di Q.Q. è inammissibile per manifesta
infondatezza.
1.La Corte di appello ha confermato la sussistenza della circostanza
aggravante prevista dall’art.7 legge n.203 del 1991 sotto il duplice profilo

attività mafiose. Sulla base del materiale probatorio rappresentato dalle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ha ritenuto che: attraverso il
duplice intervento sulla persona offesa da parte dell’affiliato Corsano
prima ( la cui appartenenza al sodalizio camorristico era nota alla vittima)
e di Q.Q.successivamente, “sia stata esercitata sul soggetto passivo
quella particolare forza di coartazione ed intimidazione che è tipica delle
associazioni criminali, ovvero il metodo mafioso”; ha ritenuto che
l’attività di Q.Q., che prestava a usura sia denaro proprio che denaro
proveniente dagli affiliati, agevolasse l’attività del sodalizio camorristico,
il cui programma criminoso contemplava l’impiego nell’usura dei proventi
delle attività illecite. Le argomentazioni svolte dal giudice di appello,
incensurabile nel merito, non mostrano vizi logici e sono conformi
all’orientamento interpretativo secondo cui la circostanza aggravante
della utilizzazione del metodo mafioso, di cui all’art. 7 della legge n. 203
del 1991, può qualificare anche la condotta di chi non sia personalmente
affiliato ad una associazione mafiosa, (Sez. 6, n. 31437 del 12/07/2012,
Messina e altro, Rv. 253218). Le difformi prospettazioni espresse nei
motivi di ricorso si risolvono in apprezzamenti di fatto, divergenti rispetto
alle valutazioni del giudice di merito, i quali non sono suscettibili di
riesame da parte del giudice di legittimità.
2.11 giudice di appello ha ritenuto provata la responsabilità
dell’imputato in ordine al reato di estorsione aggravata di cui al capo 39)
sulla base delle specifiche dichiarazioni testimoniali dell’estorto Senatore
Catello; ha ritenuto attendibili e riscontrate dalla denuncia della vittima di
usura le dichiarazioni confessorie del coimputato Z.M. che ha riferito
di avere prestato denaro ad usura , per il tramite di Q.Q., ad un
“commerciante di Cava dei Tirreni, titolare di un negozio in via Amendola

32

dell’impiego del “metodo mafioso” e delle finalità di agevolazione delle

di Eboli”, e di essersi personalmente recato nel negozio dei fratelli
Senatore per intimare loro di saldare immediatamente il debito
accumulato nei confronti di Q.Q.; ha ulteriormente indicato, a riscontro
delle affermazioni di Z.M., le dichiarazioni dei coimputati
Notargiacomo,Del Vecchio Pietro, Rago Cosimo, D.D. e dello
stesso N.N. in ordine ad interventi del clan camorristico in
favore di Q.Q.per il recupero di crediti nei confronti di persone

presentano vizi logici, sono conformi ai canoni di valutazione della prova
testimoniale ( che non richiede riscontri ma soltanto una valutazione di
attendibilità del dichiarante) ed alla nozione di “elementi di riscontro
esterno” di cui all’art.192 comma 3 cod.proc.pen., la cui valenza
confermativa costituisce oggetto di una valutazione in fatto, che si
sottrae al sindacato di legittimità qualora il giudice di merito dia conto del
proprio apprezzamento con motivazione conforme ai canoni di razionalità
( in tal senso Sez. 5, n. 36451 del 24/06/2004, Vullo ed altri, Rv.
230240).
E’ manifestamente infondata la denuncia del vizio di mancanza di
motivazione per omesso scrutinio delle censure dedotte nell’atto di
appello, considerato che la sentenza impugnata contiene una analitica
esposizione dei motivi di doglianza svolti nell’atto di impugnazione e delle
corrispondenti ragioni per le quali la Corte di appello ha in parte riformato
ed in parte confermato la decisione del giudice di primo grado.
3.11 giudice di appello ha correttamente disatteso la richiesta di
riqualificazione del fatto ai sensi dell’art.393 cod.pen. sul rilievo che, l’uso
della minaccia al fine di ottenere la corresponsione di interessi usurari,
non era finalizzato all’esercizio di un diritto ma all’ottenimento di un
profitto ingiusto e penalmente illecito, che di per sé esclude la possibilità
di ricorrere al giudice, con conseguente configurabilità del delitto di
estorsione e non del meno grave delitto di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni con violenza alle persone (conforme Sez. 6, n. 1626 del
16/10/1995 – dep. 10/02/1996, Pulvirenti ed altri, Rv. 203736).
Il giudizio espresso nella sentenza impugnata in ordine alla
sussistenza di uno stato di bisogno della vittima, necessitata a ricorrere al
prestito ad usura a causa di difficoltà inerenti la propria attività

33

sottoposte ad usura. Le argomentazioni della Corte di appello non

commerciale, costituisce apprezzamento in fatto insindacabile nel giudizio
di legittimità.
Il ricorso di R.R. è infondato.
1.La Corte di appello, previo scrutinio delle dichiarazioni rese da più
imputati collaboratori di giustizia, delle parziali ammissioni del ricorrente,
delle dichiarazioni del teste Petrone Gianvito e dell’imputato Onnembo
Pasquale, e sulla base delle circostanze di fatto accertate con le sentenze

sodalizio criminoso, ha ritenuto provato che il ricorrente abbia partecipato
allo spostamento dei cadaveri di Lano, Monti e Montagna, finalizzato ad
evitarne il ritrovamento a seguito delle prime collaborazioni da parte di
esponenti del sodalizio criminoso; che abbia gestito il denaro del fratello
impiegandolo nell’usura e si sia occupato della riscossione dei proventi
delle estorsioni e dell’usura dopo gli arresti della maggior parte degli
affiliati; che abbia mantenuto i contatti tra N.N. detenuto e gli
affiliati ancora in libertà ai quali portava gli ordini ricevuti dal fratello,
compreso l’ordine, eseguito, di attentare alla vita di Ristallo Cosimo ( ex
cutoliano e nemico acerrimo di N.N.).
Le valutazioni dei giudici di merito, secondo cui il poliedrico ruolo
svolto da R.R. non era esclusivamente diretto a prestare
aiuto al fratello N.N., ma era funzionale alla sopravvivenza
della struttura associativa nel suoi complesso in un momento di estrema
difficoltà del sodalizio, colpito dagli arresti della maggior parte degli
affiliati e dello stesso capo N.N., sono conformi ai canoni logici
di apprezzamento delle risultanze probatorie, nonché al criterio
giurisprudenziale di discriminazione tra il reato di partecipazione ad
associazione mafiosa ed il delitto di favoreggiamento personale,
incentrato sulla distinzione tra aiuto prestato al singolo in quanto tale,
costituente mero favoreggiamento personale, e l’aiuto prestato al singolo
in quanto componente del sodalizio, ridondante a vantaggio della intera
associazione (in tal senso Sez. 5, n. 34597 del 06/05/2008, Lombardo,
Rv. 241929; Sez. 1, n. 1073 del 22/11/2006 – dep. 17/01/2007, Alfano e
altri, Rv. 235855).
2. La denuncia di “violazione di legge” in ordine al diniego delle
attenuanti

generiche,

giustificato

dal

34

giudice

di

appello

con

irrevocabili acquisite agli atti relativi ai fatti di omicidio interessanti il

argomentazione congrua e dettagliata (pag.548 sentenza), introduce una
censura di merito non ammessa nel giudizio di legittimità.
Il ricorso di

S.S.

è inammissibile per manifesta

infondatezza.
1.La Corte di appello ha ritenuto riscontrate reciprocamente le
convergenti dichiarazioni rese dai coimputati collaboratori L.L.
Iorio,N.N.,C.D.,Corrado Agostino,N.N.,

vicenda estorsiva in danno della società Mucafer appaltatrice dei lavori di
costruzione del Palazzetto dello Sport di Eboli, sia con riguardo allo
specifico ruolo di intermediazione svolto da S.S.nella definizione
dell’importo della estorsione e nella consegna del denaro ricevuto
dall’impresa; ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni dei tecnici e
responsabili della società che hanno negato l’esistenza di richieste
estorsive, ed ha ritenuto inverosimile la tesi difensiva di Piacentino di
avere organizzato una “messinscena”, spacciando il proprio fratello
Giuseppe per il responsabile della Mucafer, mentre egli stesso avrebbe
pagato di tasca propria la tangente, pur fingendosi mero tramite
dell’impresa sottoposta ad estorsione.
La motivazione del giudice di merito è giuridicamente corretta nella
parte in cui attribuisce valenza di riscontro individualizzante alla
convergenti, plurime ed autonome chiamate in correità; è conforme ai
canoni della logica nella parte in cui non considera dimostrativa
dell’inesistenza dell’ estorsione la circostanza che il responsabile
dell’impresa sottoposta a taglieggiamento non denunci il reato di cui è
vittima; è incensurabile nel merito nella parte in cui reputa inverosimili le
dichiarazioni dell’imputato di avere organizzato una messinscena
spacciando il proprio fratello per il responsabile della Mucafer, mentre
egli stesso avrebbe pagato di tasca propria la tangente pur fingendosi
tramite della impresa estorta, avendo il giudice di merito opposto la
impossibilità della “messinscena” dal momento che i concorrenti nella
estorsione ben sapevano che S.S., fratello dell’imputato,
non era un responsabile della Mucafer, e che non era plausibile ritenere
che una piccola impresa come quella di S.S. potesse
addossarsi l’onere di pagare una tangente di centinaia di milioni.

35

Del Vecchio Pietro e Notargiacomo Carmine, sia in ordine alla complessiva

2 La tesi secondo cui la circostanza aggravante prevista dall’art. 7
della legge 12 luglio 1991 n. 203 sarebbe applicabile ai soli soggetti
estranei al delitto associativo, è stata respinta dalla giurisprudenza di
legittimità la quale ha ritenuto che la circostanza aggravante speciale in
oggetto è configurabile anche con riferimento ai reati-fine commessi dagli
appartenenti al sodalizio criminoso. (Sez. U, n. 10 del 28/03/2001,
Cinalli e altri, Rv. 218377; conformi le massime successive).
T.T.

è inammissibile per manifesta

infondatezza.
1.La Corte di appello ha ritenuto provata la compartecipazione del
ricorrente nell’episodio estorsivo descritto al capo 36 del decreto
12.9.1997, commesso in danno dell’amministratore di condominio
D’Avino Umberto, sulla base delle convergenti dichiarazioni auto ed etero
accusatorie rese dai coimputati Corrado Agostino, N.N., Del
Vecchio Pietro e Notargiacomo Carmine; ha ritenuto che le dichiarazioni
della persona offesa, che in dibattimento negava di aver subito
intimidazioni, integrassero il reato di falsa testimonianza, rilevando in
ogni caso che l’ammissione da parte della persona offesa della
circostanza relativa all’incendio dell’automezzo del nipote, avvenuto
prima dell’affidamento dei lavori di ristrutturazione del condominio alla
ditta di T.T., costituiva preciso riscontro esterno a quanto
specificamente riferito dai coimputati collaboratori.
Le argomentazioni svolte dal giudice di merito sono conformi ai criteri
logico-giuridici di valutazione della chiamata in correità previsti
dall’art.192 cod.proc.pen.; le censure sul punto contenute nel ricorso
appaiono mancanti del requisito di specificità, oltre che manifestamente
infondate.
2.La statuizione con la quale la Corte di appello ha concesso al
ricorrente le attenuanti generiche, negate dal giudice di primo grado,
reputandole equivalenti alle aggravanti cointestate, è accompagnata da
specifica motivazione priva di vizi logici ed incensurabile nel merito.
Il ricorso di U.U. è fondato con riguardo alla eccezione
di intervenuta prescrizione del reato di estorsione aggravata ai sensi
dell’art.629 comma 3 cod.pen. rubricato al capo 26 decreto 12.9.1997,
commesso in Battipaglia nei mesi di luglio e agosto 1987.

36

Il ricorso di

L’ applicazione della disciplina della prescrizione antecedente la
riforma del 2005, comporta che, a norma del previgente art.157 cod.pen.
si deve tenere conto della recidiva, da qualificarsi semplice in mancanza
di una espressa indicazione di recidiva qualificata da parte del giudice di
merito (che peraltro applica un aumento di pena corrispondente alla
recidiva di tipo semplice -pag.3135 sentenza di primo grado );
considerato che l’aggravante comune di cui all’art.112 n.1 cod.pen.,

(pag.725 sentenza), e che la recidiva semplice comporta un aumento
della pena edittale massima nella misura di un sesto ai sensi dell’ art.99
comma 1 nel testo vigente all’epoca dei fatti , pari complessivamente a
23 anni e 4 mesi, ne deriva che il termine di prescrizione applicabile, di
anni 15 + metà + 7 m. di sospensione, risulta decorso prima della
sentenza della Corte di appello pronunciata in data 30.11.2011.
L’accoglimento del motivo di ricorso relativo alla intervenuta
prescrizione del reato è assorbente dei restanti motivi.
Il ricorso di U.U. è inammissibile per manifesta
infondatezza.
1.Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità vi è
compatibilità tra l’aggravante prevista dall’art. 7 legge 12 luglio 1991 n.
203 (impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati o
finalità di agevolare l’associazione per delinquere di stampo mafioso) e
la circostanza aggravante dell’appartenenza ad associazioni di tipo
mafioso prevista per i delitti di rapina ed estorsione dall’art. 628, comma
3, n. 3 e 629, comma 2, cod. pen., con la conseguenza che esse possono
concorrere. (Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, Cinalli e altri, Rv. 218378;
conformi le successive massime).
2. La Corte di appello ha ritenuto la compartecipazione del ricorrente
nell’episodio estorsivo in danno della società Cilento, appaltatrice dei
lavori pubblici di realizzazione delle condutture idriche nel comune di
Casalvelino ( capo 7 decreto 12.9.1997), sulla base delle dichiarazioni,
reciprocamente riscontrate, dei coimputati A.A. e L.L.
brio, i quali hanno concordemente riferito che furono il ricorrente ed il di
lui padre a segnalare al gruppo camorristico detti lavori, dichiarazioni
ulteriormente corroborate dalle affermazioni di Marotta Cosimo che,

37

ritenuta dal giudice di primo grado, è stata esclusa dal giudice di appello

seppure generiche, confermavano il coinvolgimento di U.U.
nella estorsione in oggetto. Il tema delle presenza di dichiarazioni non
convergenti, segnalato dalla difesa, è stato espressamente affrontato dal
giudice di appello, il quale ha ritenuto che le dichiarazioni del coimputato
Notargiacomo, che ha riferito di una attività di intermediazione svolta da
altro soggetto (il costruttore Ritonnaro), non inficiano il costrutto
probatorio, trattandosi di intervento che si colloca in un momento

ricorrente e con essa non incompatibile (pag.734 sentenza).
Le argomentazioni svolte dal giudice di merito sono conformi ai
canoni legali di valutazione delle chiamate in correità e non presentano
vizi logici.
Il ricorso di V.V. è inammissibile.
1.La Corte di appello ha ritenuto la compartecipazione del ricorrente
nella tentata estorsione aggravata in danno del titolare del Camping
Nettuno(capo 10 decreto 12.9.1997) sulla base delle convergenti e
vicendevolmente riscontrate dichiarazioni dei coimputati collaboratori
(Maiuri Felice, D.D., Marotta Cosimo, A.A. ,N.N., Del Vecchio Pietro e Notargiacomo Carmine) i
quali hanno concordemente riferito che fu V.V. a segnalare al
capo del sodalizio camorristico ( N.N.) il titolare del camping
Nettuno quale possibile obiettivo di estorsione, prestandosi ad
accompagnare sul luogo gli autori materiali, dando indicazioni su come
rintracciare il titolare ed informando il sodalizio dell’esito delle irruzioni
compiute.
La censura in ordine alla natura meramente apparente della
motivazione è manifestamente infondata; il motivo di ricorso relativo alla
violazione della regola di giudizio prevista dall’art.192 comma 3
cod.proc.pen. è inammissibile per mancanza del requisito di specificità,
consistendo in astratte e generiche considerazioni che non indicano in
alcun modo sotto quale concreto profilo il giudizio di riscontro
vicendevole, desunto dal giudice di merito dalle plurime e concordanti
dichiarazioni dei coimputati, violerebbe la regola legale di valutazione
della chiamata in correità prevista dall’art.192 comma 3 cod.proc.pen.

38

successivo a quello della primigenia informazione proveniente dal

2.11 giudice di appello ha dettagliatamente indicato le ragioni per le
quali ha ritenuto il ricorrente immeritevole della concessione di
circostanze attenuanti generiche. Il motivo di ricorso non denuncia vizi di
legittimità ma introduce valutazioni di merito non ammesse nella
presente sede.
Il ricorso di C.C. è inammissibile per manifesta
infondatezza.

di prescrizione per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa
contestato al capo 1), per il quale era intervenuta sentenza di condanna
in primo grado, ha espressamente argomentato circa l’insussistenza
della situazione richiesta dall’art.129 comma 2 cod.proc.pen. per il
proscioglimento nel merito, ritenendo che il ” il contributo dichiarativo
dei collaboranti circa il rapporto di fattiva collaborazione intercorso tra il
clan e l’imputato rappresenta una piattaforma indiziaria significativa di
una contiguità all’associazione camorristica preclusiva di valutazioni in
termini di evidenza dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso
dell’imputato” (pag.385). La motivazione non mostra vizi logici ed è
incensurabile nel merito con riguardo all’apprezzamento della
insussistenza di una situazione di evidenza probatoria tale da giustificare
la prevalenza della formula di proscioglimento nel merito rispetto alla
declaratoria della causa di estinzione.
La denuncia di contraddittorietà della motivazione è manifestamente
infondata. La circostanza che il giudice di appello abbia assolto l’imputato
dai reati di estorsione ascrittigli per contraddittorietà o insufficienza delle
acquisizioni probatorie, mentre non ha adottato la medesima formula di
proscioglimento nel merito con riguardo al reato associativo per cui era
maturato il termine di prescrizione, è conforme alla giurisprudenza di
legittimità secondo cui il principio della prevalenza del proscioglimento nel
merito rispetto alla declaratoria di determinate cause di non punibilità,
stabilito dall’art.129 comma 2 cod.pen., non trova applicazione nelle
ipotesi di contraddittorietà o insufficienza della prova (Sez. U, n. 35490
del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273).
Peraltro la diversità ontologica della condotta di partecipazione a
delitto associativo, rispetto alle condotte di compartecipazione ai reati

39

La Corte di appello, nel rilevare l’intervenuta decorrenza del termine

fine di estorsione,

rende compatibile sul piano logico-giuridico una

valutazione differenziata del medesimo materiale probatorio in relazione
al delitto associativo ed ai reati fine.
A norma dell’art.616 cod.proc.pen. i ricorrenti E.E., F.F.,
H.H., I.I.,C.C., L.L.Iorio, M.M., N.N., P.P.,
Q.Q., R.R., Picentino,T.T.,U.U. e V.V. devono
essere condannati al pagamento delle spese processuali, e F.F.,

Q.Q.,Picentino,T.T.,U.U.e V.V. anche, ciascuno, al
versamento della somma di mille euro alla Cassa delle ammende.
Inoltre D.D. deve essere condannato alla rifusione, in
favore della costituita

parte civile P.P., delle spese

sostenute in questo giudizio

che si liquidano in euro tremila oltre

accessori come per legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di
U.U. relativamente al reato di cui al capo 26 decr.559/95
perché estinto per prescrizione.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di D.D.
relativamente ai reati di cui ai capi 4,12,20 e 28 decr.691/96 e di G.G.
relativamente al capo 22 decr.559/95 per essere detti reati estinti per
prescrizione e per l’effetto ridetermina la pena nei confronti di D.D. in
anni quattro anni e dieci mesi di reclusione ed euro 1150 di multa e nei
confronti di G.G.in quattro anni e sei mesi di reclusione ed 950 euro di
multa.
Rigetta nel resto i ricorsi di D.D.e G.G.e rigetta i ricorsi di
E.E.e R.R..

adh,
Dichiara inammissibili il ricorso del Procuratore generalered i ricorsi di

F.F., H.H., I.I., C.C., L.L. lodo, M.M., N.N.,
P.P., Q.Q.,S.S.,T.T.,U.U. e V.V..
Condanna E.E., F.F., H.H., I.I., L.L.
Iorio, M.M., N.N., P.P., Q.Q., R.R., S.S.,T.T.,
U.U. e V.V.al pagamento delle spese processuali e

40

ssL.\

H.H., I.I.,C.C., L.L. Iorio, M.M., N.N., P.P.,

F.F., H.H., I.I., L.L. Iorio, M.M., N.N.,
P.P., Q.Q.,S.S.,Pirozzi,U.U. e V.V.anche
ciascuno al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle
ammende.
Condanna inoltre D.D.a rifondere le spese sostenute in questo
giudizio dalla parte civile P.P.che liquida in euro tremila oltre
accessori come per legge.

Così deciso in Roma il 25.10.2013

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