Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46399 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 46399 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FAINO MICHELE N. IL 23/11/1971
avverso la sentenza n. 409/2012 CORTE APPELLO di SALERNO, del
26/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
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Udito il Procuratore Qeneral in ersona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per parte civile, l’Avv
Uditi difensor,Avv.t. Retl-,2,31k/tp ik-tRA POho tu(
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Data Udienza: 24/10/2013

1,11.,111111.41,/ III

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza resa il 12 settembre 2012 la Corte di Appello di Salerno
confermava la sentenza del Tribunale di Salerno che il 16 dicembre 2010, all’esito del
giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva dichiarato Michele Faino
colpevole dei reati di porto e detenzione illegali, nonché di ricettazione di un fucile da
caccia, di porto e detenzione illegali delle relative munizioni e di esercizio abusivo della
caccia, fatti commessi in Giffoni Valle Piana 11 dicembre 2011 e unificati detti erati nel
vincolo della continuazione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ritenute

mesi, dieci giorni di reclusione e 600,00 euro di multa.
2. Entrambe le sentenze di merito avevano ricostruito le condotte tenute
dall’imputato mediante quanto emerso dall’attività di p.g. compiuta; ne era emerso che
il Faino era stato sorpreso dalle forze dell’ordine mentre lungo una strada del parco dei
Monti Picentini, stava trasportando a bordo della sua autovettura un cinghiale
abbattuto, un fucile da caccia semiautomatico, risultato provento di furto denunciato il
27 ottobre 2010 e cinque cartucce a palla cal. 12.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo
del suo difensore, il quale ha dedotto:
a) mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonché violazione di legge per
non avere la Corte di Appello esaminato i motivi di gravame, essendosi limitata a
richiamare per “relationem” la motivazione della sentenza impugnata;
b)nullità della sentenza per indeterminatezza e genericità dell’accusa con conseguente
violazione del diritto di difesa;
c) violazione di legge e carenza di motivazione, mancanza degli elementi costitutivi
delle fattispecie di reato contestate e di prova per non avere considerato la Corte di
Appello gli elementi a discarico offerti nell’interrogatorio reso all’udienza di convalida in
ordine al rinvenimento casuale del cinghiale già ucciso da due persone che, alla sua
vista, si erano date alla fuga, abbandonando l’animale, il fucile e le munizioni, che egli
aveva prelevato soltanto per consegnarle alle forze dell’ordine.
d) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle fonti di
prova, incerte e contraddittorie.
e) Erronea valutazione delle fonti di prova: quanto riferito dai militari che avevano
proceduto al controllo contrastava con i fatti narrati da esso ricorrente e rendeva
inverosimile che in soli quarantacinque minuti dall’arrivo della segnalazione di un
confidente egli avesse potuto sparare ad un cinghiale, abbatterlo, pulirlo e caricarlo
sulla propria vettura e percorrere la strada per abbandonare il luogo, per cui doveva
ritenersi inattendibile la fonte confidenziale.
f) Vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione
dei reati nelle relative ipotesi attenuate e quale tentativo, stante l’intenzione
dell’imputato di recarsi in caserma dai Carabinieri a consegnare quanto ritrovato, il che
ha impedito la consumazione delle fattispecie ascrittegli.

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equivalenti alla contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena di due anni, quattro

g) Vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla commisurazione della
pena ed al mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla
contestata recidiva: il trattamento sanzionatorio era eccessivo ed iniquo rispetto
all’ampia descrizione dei fatti fornita nel corso del proprio interrogatorio, sintomatica di
resipiscenza, di collaborazione e di mancata reiterazione futura di altri illeciti ed ai
precedenti per fatti ormai remoti.

Considerato in diritto

1.In primo luogo va escluso che la sentenza impugnata sia affetta da nullità per
totale carenza di motivazione o per motivazione apparente.
1.1 Premesso che il vizio denunciato dal ricorrente, per pacifico arresto
giurisprudenziale di legittimità, è riscontrabile nelle sole situazioni di totale assenza, in
senso grafico, di motivazione, ossia quando il provvedimento giudiziale sia limitato al
solo dispositivo, oppure allorchè quanto esposto non renda comprensibile il percorso
argomentativo del giudice, ovvero si risolva in affermazioni di puro genere o
apodittiche, avulse alle risultanze processuali e dalle deduzioni delle parti, prive di
efficacia esplicativa e giustificativa delle ragioni della decisione.
1.2 Tali manchevolezze non sono, invece, riscontrabili quando il giudice
dell’impugnazione abbia assolto all’onere motivazionale mediante rinvio “per
relationem” alle argomentazioni contenute nella pronuncia di primo grado, richiamate
quale parte integrante della propria motivazione. La sentenza appellata e quella di
appello, se siano pervenute a conclusioni conformi, si integrano vicendevolmente,
formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, da valutarsi
nel suo insieme per verificare la congruità della motivazione, sicchè il giudice di
appello, in caso di pronuncia conforme a quella di primo grado, può anche limitarsi a
rinviare per “relationem” a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto, sia nelle
argomentazioni in diritto, quando essa non siano oggetto di specifiche censure, oppure
siano investite da doglianze superflue o inconsistenti e già disattese con argomenti
logici e condivisi (Cass. sez. 1, n. 4827 del 18/3/1994, Lo Parco, rv. 198613; sez. 6, n.
11421 del 29/9/1995, Baldini, rv. 203073, Baldini; sez. 4, n. 38824 del 17/09/2008,
Raso e altri, Rv. 241062; sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià e altri, rv. 254107;
sez. 6, n. 17912 del 07/03/2013, Adduci e altri, rv. 255392).
1.3 E’ quanto verificatosi nel caso in esame sul presupposto fondato che l’appello
non aveva devoluto alla cognizione del giudice di grado superiore questioni nuove, non
previamente esaminate dal Tribunale, né nuovi elementi di valutazione in precedenza
non dedotti. Inoltre, la sentenza in verifica ha comunque affrontato per sintesi le
principali censure mosse con l’appello, offrendovi soluzione congrua, giustificata e
logica.
2. In primo luogo va escluso che i giudici di merito non abbiano preso

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

considerazione quanto riferito dall’imputato nel corso dell’esame reso all’udienza di
convalida dell’arresto, laddove aveva descritto l’antefatto del controllo, ossia di avere
avvistato, mentre si era trovato all’interno del parco dei Monti Picentini, intento a
cercare funghi, due individui che avevano abbattuto un cinghiale e che, alla sua vista,
si erano dati alla fuga, lasciando a terra fucile, munizioni e l’animale cacciato, da lui
recuperati e caricati a bordo della propria autovettura per farne consegna ai
Carabinieri.
2.1 Al contrario, hanno ritenuto del tutto inverosimile e contrastante col senso

arma, cartucce e cinghiale casualmente, avrebbe dovuto limitarsi ad avvertire le forze
dell’ordine o il personale di sorveglianza del parco, al più rimanendo sul posto, ma
senza impossessarsene, caricarli a bordo della sua vettura e circolare all’esterno
dell’area protetta, col rischio di essere scoperto ed incriminato. Del resto non si vede
per quale ragione e risulta comunque illogico che gli ignoti bracconieri abbiano potuto
abbandonare a terra arma e cartucce, beni certamente di valore, prima di darsi alla
fuga, senza portarseli appresso.
2.2 Va soltanto aggiunto al riguardo che la sentenza di primo grado ha anche
aggiunto un particolare di rilievo, ossia che nell’immediatezza del controllo, operato dai
Carabinieri sulla base di segnalazione da parte di fonte confidenziale, il Faino non
aveva rivelato alcunché ai militari operanti e che soltanto dopo la perquisizione aveva
prospettato le giustificazioni sopra riportate. Ciò prova che egli non aveva affatto
inteso consegnare quanto rinvenuto, ma aveva tentato di superare indenne il posto di
blocco, salvo poi inventarsi una giustificazione, in sé tardiva ed incredibile, circa
l’impossibilità di spiegare l’accaduto per non avergliene i militari dato il tempo.
2.3 Per contro, non ha alcuna idoneità a confutare i rilievi dei giudici di merito
l’obiezione difensiva, secondo la quale nel lasso temporale di quarantacinque minuti,
intercorso tra l’arrivo della segnalazione alla caserma dei Carabinieri ed il successivo
controllo, egli non avrebbe avuto il tempo materiale di compiere tutte le necessarie
operazioni di bracconaggio, compresa la pulizia dell’animale abbattuto: è agevole
replicare che, così formulata, la censura è generica e non ha alcun fondamento, atteso
che non è dato conoscere i tempi necessari all’abbattimento ed all’asportazione del
cinghiale dall’area protetta del parco naturale sino al punto ove era avvenuta la
perquisizione, la distanza tra tale punto ed il parco, né è dato sapere, perché non
riportato dal ricorrente con la citazione integrale della testimonianza del verbalizzante
escusso, il contenuto preciso della segnalazione, incorrendo con ciò il ricorso nel difetto
di autosufficienza. Inoltre, tutti gli altri interrogativi che il ricorso pone circa la
possibilità che proprio la fonte confidenziale avesse disseminato arma, munizioni e
cinghiale per tendere una trappola al Faino allo scopo di danneggiarlo ed in ordine all
sua inattendibilità costituiscono mere congetture, prive di qualsiasi oggettività e
riscontro fattuale, dirette a sollecitare una diversa valutazione dei fatti, interdetta
2

logico la versione dei fatti fornita dall’imputato, il quale, anche se avesse rinvenuto

questa Corte e formulate nell’omessa considerazione di dati oggettivi di particolare
evidenza dimostrativa, ossia dell’autonoma detenzione del fucile da caccia, delle
munizioni idonee proprio alla caccia ad animali di grossa taglia e del cinghiale già
ucciso, nonché del loro occultamento all’interno del veicolo a bordo del quale l’imputato
stava lasciando la zona del parco ove l’uccisione era avvenuta, dati che offrono
puntuale riscontro alle informazioni fornite alle forze dell’ordine e ne escludono la
natura calunniatoria.
3. E’ del tutto destituita di fondamento l’eccezione di nullità del decreto di

dell’accusa, di cui si lamenta l’omessa precisazione del contributo causale dato
dall’imputato: al contrario, come già rilevato dai giudici di appello, le imputazioni
descrivono in modo sufficientemente dettagliato le condotte materiali contestate, il loro
oggetto e le coordinate di commissione spaziali e temporali, il che ha consentito senza
alcuna difficoltà all’imputato di apprestare le opportune difese.
4. Non trova riscontro nemmeno la doglianza che assume essere stato fondato il
giudizio di colpevolezza su congetture e non su certi elementi di prova: al contrario,
egli è stato sorpreso nella detenzione e nel porto delle munizioni e di un’arma da
caccia, provento di furto, perché sottratta al legittimo proprietario che ne aveva
denunciato l’asportazione, con l’animale che aveva poco prima abbattuto, provenendo
da area ove l’attività venatoria era del tutto interdetta, per cui è privo di qualsiasi
fondamento sostenere l’assenza dell’elemento psicologico dei reati ascrittigli. Gli unici
elementi a confutazione di tali risultanze sono desumibili dalla narrazione dell’imputato,
non confermata da altra fonte e che si è già detto essere priva di oggettività, di
coerenza logica e di plausibilità.
5. E’ stata compiutamente già esaminata e risolta anche la doglianza che
pretende qualificarsi le condotte come reati tentati e non consumati: al riguardo è
sufficiente rilevare che il delitto di ricettazione si perfeziona non appena avvenga
l’acquisizione a qualsiasi titolo della materiale disponibilità del bene, oggetto di un
reato presupposto, nella consapevolezza da parte dell’agente della sua origine illecita,
così come avviene per quello di detenzione illegale di arma e munizioni, mentre il porto
richiede la materiale conduzione di quegli oggetti in luogo pubblico o aperto al
pubblico; la condotta di caccia abusiva si consuma con l’abbattimento in assenza di
necessità di fauna selvatica in periodi o in aree ove tale attività sia vietata. Tali
situazioni risultano perfezionate nel caso in esame, dal momento che il Faino, secondo
quanto riportato nelle sentenze di merito, aveva con sé arma ricettata e munizioni in
luogo pubblico ed aveva già abbattuto il cinghiale che stava trasportando verso la sua
destinazione finale.
5.1 Né, sulla base di tali presupposti può fondatamente sostenersi la
rintracciabilità nel fatto delle ipotesi di desistenza o di recesso volontario: le azioni
materiali integranti le fattispecie contestate erano già tutte consumate e non erano
ormai suscettibili di essere interrotte, mentre il relativo evento si era parimenti già

4

citazione e degli atti conseguenti per generica ed indeterminata formulazione

verificato, come affermato dai giudici di merito in perfetta osservanza delle norme di
cui all’art. 56 cod. pen.. Per contro il ricorso, oltre ad una ricostruzione in punto di
diritto degli istituti, richiama ancora una volta l’intento dell’imputato di consegnare i
beni rinvenuti, tesi della cui palese infondatezza si è già trattato.
6. In punto di determinazione della pena, la sentenza impugnata ha escluso che
l’imputato sia meritevole dell’invocato giudizio di prevalenza delle circostanze

stesso riportati e risultanti dal certificato del casellario giudiziale-, per l’esistenza di tali
condanne, ancorchè remote nel tempo, nonché per l’ostinata negazione degli addebiti
oltre ogni ragionevolezza. Ha, inoltre, ritenuto congrua la pena comminata dal
Tribunale.
6.1 Inoltre, per quanto già esposto, non sussiste alcuna forma di leale
collaborazione da parte dell’imputato, né un suo atteggiamento resipiscente, avendo
sempre tenacemente negato ogni responsabilità, mentre le condanne riportate
costituiscono precedenti penali la cui considerazione è avvenuta correttamente e nel
rispetto dei criteri dettati dall’art. 133 cod. pen. e la sua personalità è stata ritenuta
affatto positiva, il tutto nell’esercizio dei poteri discrezionali, propri del giudice di
merito, giustificati con argomenti logici e rispettosi dei dati acquisiti.
Per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile con la
conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in
ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della
somma che si stima equa di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il

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2013.

attenuanti generiche sulla recidiva, -contestata in ragione dei precedenti penali dallo

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