Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46396 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 46396 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

Data Udienza: 23/04/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SAPIENZA GESUALDO N. IL 01/01/1961
avverso la sentenza n. 25/2011 CORTE ASSISE APPELLO di
CATANIA, del 01/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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RILEVATO IN FATTO
Sapienza Gesualdo è stato imputato dei seguenti delitti:
– 1) art. 575 c.p. perché, dopo aver prelevato un fucile doppietta dalla propria camera,
esplodeva contro Ferraro Carmelo – che aveva fatto ingresso nella sua abitazione brandendo
un bastone – tre colpi di fucile, l’ultimo dei quali diretto alla testa mentre il Ferraro, già attinto
dai primi due, era riverso a terra agonizzante, cagionando la morte del predetto per arresto
cardiorespiratorio da spappolamento dell’encefalo;

in Caltagirone il 10.6.2010;
– 2) detenzione illegale dell’arma di cui sopra; fino al 10.6.2010;
– 3) porto illegale dell’arma di cui sopra; in Caltagirone nei primi giorni del giugno 2010;
-4) furto aggravato dell’arma di cui sopra, commesso nell’abitazione di Amore Gregoria, nella
quale si era introdotto a mezzo delle chiavi asportate alla propria convivente Marsiano
Vincenza; nei primi giorni del giugno 2010.
A seguito di giudizio abbreviato, il GUP del Tribunale di Caltagirone, con sentenza in data
22.4.2011, ha condannato l’imputato, riuniti i suddetti reati dal vincolo della continuazione e
concessa l’attenuante della provocazione ritenuta equivalente alla contestata recidiva, alla
pena di anni 14 e mesi 8 di reclusione.
La Corte di assise d’appello di Catania, con sentenza in data 1.3.2012, riduceva la pena ad
anni 14, mesi 4 e giorni 20 di reclusione.
I giudici di merito ricostruivano la vicenda e la dinamica dell’omicidio nei seguenti termini.
Tra il Sapienza e il Ferraro, entrambi pregiudicati, intercorrevano vari rapporti di affari; il
Ferraro, poco tempo prima dei fatti di causa, aveva coinvolto il Sapienza anche in affari illeciti
e quest’ultimo, non volendo collaborare in questo genere d’affari, aveva denunciato il
Sapienza, il quale aveva non solo minacciato ritorsioni, ma aveva anche aggredito la
convivente del Sapienza.
Questi, temendo di essere aggredito dal Ferraro, aveva rubato nei primi giorni del giugno 2010
un fucile da caccia e lo teneva carico nella sua camera da letto; la mattina del 10.6.2010 il
Ferraro, alla guida di una Land Rover, aveva sfondato il cancello del cortile davanti
all’abitazione del Sapienza; era subito dopo sceso dall’auto con un bastone in mano (mentre gli
altri tre occupanti erano rimasti in macchina) e con un pugno o con un calcio aveva aperto la
porta d’ingresso dell’abitazione del Sapienza; questi, già quando aveva sentito sfondare il
cancello del suo giardino, aveva prelevato il fucile e, stando in corrispondenza della porta della
camera da letto, aveva esploso un primo colpo di fucile contro il Ferraro, che era stato colpito
alla mano sinistra (con la quale aveva cercato di ripararsi), all’emivolto destro, al braccio
destro e alla regione toracica destra; il Ferraro, accusando il colpo, si era ripiegato su se stesso
con movimento di torsione, dando parzialmente le spalle al Sapienza, che, subito dopo il
primo, aveva esploso un secondo colpo da una distanza non superiore a un metro; questo
colpo aveva attinto la vittima nella zona toracico posteriore destra, raggiungendo anche il
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con la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale;

cuore; l’imputato aveva quindi ricaricato il fucile ed era uscito di casa, poiché aveva sentito il
motore acceso dell’auto con la quale il Ferraro aveva sfondato il cancello del cortile; alla vista
dell’imputato che imbracciava il fucile, le persone che erano rimaste nell’auto si erano date alla
fuga; rientrato in casa, aveva esploso da meno di un metro di distanza un colpo che aveva
fracassato la testa del Ferraro.
Sia il secondo colpo che il terzo, entrambi mortali, impedivano – secondo la Corte di merito di configurare qualsivoglia ipotesi di legittima difesa, perché il secondo colpo era stato sparato

era stato sparato mentre il Ferraro era agonizzante.
La Corte territoriale non concedeva le attenuanti generiche, sia perché la richiesta si basava
sugli stessi elementi della già concessa attenuante della provocazione, sia perché le suddette
attenuanti non avrebbero potuto avere alcun effetto sulla determinazione della pena, essendo
stata ritenuta sussistente la recidiva qualificata.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, chiedendone
l’annullamento per i seguenti motivi.
In primo luogo la Corte di assise d’appello, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto applicare il
secondo comma dell’art. 52 c.p., il quale, in caso di violazione di domicilio, prevede una
presunzione assoluta di proporzione tra difesa e offesa.
Il Ferrero si era introdotto con violenza nell’abitazione dell’imputato con palesi intenzioni
aggressive, in quanto brandiva un bastone, ed aveva anche una notevole prestanza fisica,
rispetto all’imputato, il quale come unico mezzo per difendersi aveva il fucile, che si era
procurato nei giorni precedenti proprio perché temeva un’aggressione da parte del Ferraro.
Il fatto che il fucile fosse detenuto illegittimamente non poteva impedire all’imputato di
avvalersi dell’esimente, perché anche le persone con precedenti penali hanno diritto di tutelare
la propria incolumità personale.
Nel caso di specie l’imputato si era trovato davanti una persona più prestante di lui che era
entrata di forza in casa e lo voleva aggredire con un bastone; essendo il pericolo che correva
grave e non altrimenti evitabile, legittimamente aveva sparato contro l’aggressore con l’unico
mezzo che aveva per difendersi.
I giudici di merito non avevano considerato le intenzioni chiaramente aggressive del Ferraro,
né avevano considerato la personalità del medesimo, pregiudicato per fatti molto gravi e
appartenente ad un importante gruppo malavitoso di Palagonia.
Al più si sarebbe potuto ritenere che l’imputato, per colpa determinata dalla paura che gli
aveva incusso la presenza del Ferraro in casa sua, aveva avuto una reazione eccessiva.
Con un secondo motivo il ricorrente ha lamentato il mancato riconoscimento da parte della
Corte di assise d’appello dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., peraltro menzionata nel
dispositivo della sentenza di primo grado, in quanto l’imputato si era adoperato
spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze del reato, in
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mentre la vittima dava le spalle all’imputato, verosimilmente per raggiungere l’uscita, e il terzo

particolare aveva chiamato le forze dell’ordine subito dopo aver commesso il fatto; aveva reso
immediatamente piena confessione; aveva consegnato il fucile con il quale aveva sparato e si
era anche autodenunciato del furto dell’arma.
Con un terzo motivo ha chiesto che l’imputato fosse assolto dal delitto di porto abusivo d’arma,
poiché non costituiva un luogo pubblico lo spiazzo davanti alla sua abitazione nel quale aveva
portato l’arma, per intimorire le persone che avevano accompagnato il Ferraro.

Il ricorso è infondato.
La ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito non è sostanzialmente contestata dal
ricorrente.
L’imputato temeva un’aggressione da parte di Ferraro Carmelo e, nell’eventualità che si
verificasse, aveva sottratto un fucile da caccia dall’abitazione di Amore Gregoria e lo aveva
tenuto nella camera da letto della propria abitazione a portata di mano.
Deve subito osservarsi sul punto che, in tema di detenzione abusiva di armi, così come
prevista e punita dagli artt. 10 e 14 L. n. 497 del 1974, non sono applicabili, nè come reali nè
come putative, le cause di giustificazione della legittima difesa e dello stato di necessità (V.
Sez. 2 sentenza n. 17329 del 29.2.2008, Rv. 239770).
La temuta aggressione effettivamente si era verificata e, secondo la ricostruzione dei giudici di
merito, l’imputato, appena aveva sentito sfondare il cancello del cortile sito davanti alla sua
abitazione, si era appostato di fronte alla porta d’ingresso imbracciando il fucile; il Ferraro
aveva sfondato la porta d’ingresso e l’imputato aveva esploso un colpo di fucile che aveva
ferito il predetto in modo grave (essendo stato il Ferraro colpito all’emivolto destro, al braccio
destro e alla regione toracica destra nonché alla mano sinistra con la quale istintivamente
aveva cercato di ripararsi).
Se l’azione lesiva dell’imputato si fosse fermata dopo il primo colpo di fucile, risulterebbero in
gran parte fondate le osservazioni della difesa contenute nei motivi di ricorso.
Ma i giudici di merito non hanno riconosciuto l’invocata esimente della legittima difesa per la
predetta condotta tenuta dall’imputato, ma in ragione di quella tenuta successivamente,
quando l’imputato ha esploso un secondo e poi un terzo colpo di fucile contro il Ferraro, con i
quali ne ha cagionato la morte, senza che ricorressero nel modo più assoluto i presupposti
della suddetta esimente.
Il secondo colpo, infatti, è stato esploso quando il Ferraro dava le spalle all’imputato, che
evidentemente stava dirigendosi verso la porta d’ingresso per fuggire.
Il terzo colpo è stato un vero e proprio colpo di grazia, dato a una persona agonizzante e
impossibilitata ad agire.
Il secondo comma dell’art. 52 c.p. riconosce la legittima difesa, in caso di violazione di
domicilio, solo se l’arma (che peraltro deve essere legittimamente detenuta) viene usata
quando non vi è desistenza da parte dell’intruso e vi è pericolo d’aggressione.
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CONSIDERATO IN DIRITTO

La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente interpretato il secondo comma dell’art. 52
c.p. nel senso che le modifiche apportate dalla legge 13 febbraio 2006, n. 59 all’art. 52 cod.
pen. hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, al dichiarato scopo di rafforzare il
diritto di autotutela in un privato domicilio o in un luogo ad esso equiparato, fermi restando i
presupposti dell’attualità dell’offesa e della inevitabilità dell’uso dell’arma come mezzo di difesa
della propria o dell’altrui incolumità (V. fra le altre Sez. 1 sentenza n.23221 del 27.5.2010,
Rv.24757).

esploso il secondo e il terzo colpo di fucile, con i quali ha ucciso il Ferraro, quando non vi era
alcun pericolo di aggressione da parte del predetto.
In proposito si deve anche osservare che per la sussistenza della esimente della legittima
difesa, l’attualità del pericolo di una offesa ingiusta contro cui l’agente si trovi nella necessita di
difendersi si identifica non soltanto con la minaccia di una offesa imminente, ma altresì con la
esistenza di una situazione pericolosa tuttora in corso al momento della reazione, e si protrae
fino a quando l’azione lesiva del bene che si vuole difendere non si esaurisca (V. Sez. 1
sentenza n. 1322 del 15.10.1968, Rv. 109698).
La mancanza dei presupposti essenziali della legittima difesa, anche con riferimento al secondo
comma dell’art. 52 c.p., non consentono di configurare l’ipotesi dell’eccesso colposo, che
sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti a quest’ultima
collegati, sicché, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa
legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l’eccesso
nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con
valutazione ex ante, e occorre poi procedere ad un’ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto
ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra
nello schema dell’eccesso colposo delineato dall’art. 55 cod. pen., mentre il secondo consiste in
una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante
(V. Sez. 1 sentenza n.45425 del 25.10.2005, Rv. 233352).
Inammissibile è la richiesta di riconoscere all’imputato l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p.,
perché detta richiesta non risulta che fosse stata avanzata con i motivi d’appello, e comunque
la stessa risulta infondata, in quanto L’attenuante del ravvedimento attivo non può essere
applicata in riferimento al delitto di omicidio, perché essa implica che le condotte riparatorie
siano efficaci, e quindi concretamente elidano o attenuino le conseguenze dannose o pericolose
del reato, ed invece la commissione dell’indicato delitto determina l’irreversibile distruzione del
bene giuridico protetto.
Infondato è anche l’ultimo motivo di ricorso, poiché il porto abusivo di arma non è stato
contestato per essere l’imputato uscito con il fucile nel cortile della propria abitazione, ma per
aver portato l’arma dal luogo in cui è stata sottratta fino alla propria abitazione.

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Appare evidente, alla stregua della non contestata ricostruzione del fatto, che l’imputato ha

Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dell’imputato al
pagamento delle spese processuali nonché a rimborsare alle costituite parti civili le spese del
presente giudizio che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’imputato al pagamento delle spese processuali nonché alla
rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili che si liquidano in complessive euro
4.500,00, oltre ad accessori come per legge.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma in data 23 aprile 2013

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