Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46395 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 46395 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI BITETTO GIUSEPPE N. IL 02/07/1978
avverso la sentenza n. 12/2011 CORTE ASSISE APPELLO di BARI,
del 10/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ,e’ frrer„..‹.n. o,* ittile

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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 23/04/2013

RILEVATO IN FATTO
Di Bitetto Giuseppe è stato imputato dei seguenti delitti:
a) art. 575 c.p. per avere, esplodendo diversi colpi di arma da fuoco con una pistola cal.
7,65 all’indirizzo di Catano Massimo e attingendolo in diverse parti del corpo anche
vitali, cagionato il decesso del predetto verificatosi nell’ospedale di Andria il 19.6.2009;
in particolare esplodeva il giorno 25.5.2009 sette colpi dei quali sei andavano a
conficcarsi in diverse parti del corpo della vittima, alcuni mentre la stessa era in

rivolgeva le regioni antero laterali della testa e del tronco al suo aggressore;
b) artt. 61 n. 2 c.p., 10, 12 e 14 legge 497/1974 per avere detenuto e portato in luogo
pubblico una pistola cal. 7,65 sia prima dell’omicidio, al fine di commetterlo, sia dopo
l’omicidio, al fine di occultarlo.
A seguito di giudizio abbreviato davanti al GUP del Tribunale di Trani, l’imputato, con sentenza
in data 23.12.2010, è stato condannato, unificati i reati dal vincolo della continuazione e
concesse le attenuanti generiche, alla pena di anni 16 di reclusione.
Ha proposto appello l’imputato e la Corte di assise d’appello di Bari, con sentenza in data
10.1.2012, riconosciuta anche l’attenuante della provocazione, rideterminava la pena in anni 8
e mesi 8 di reclusione (pena base per l’omicidio anni 21, ridotta ad anni 16 per le attenuanti
generiche, ulteriormente ridotta ad anni 12 per l’attenuante della provocazione, aumentata ad
anni 13 per la continuazione con il delitto di cui al capo b), pena infine ridotta all’inflitto per la
scelta del rito abbreviato).
Secondo la ricostruzione del fatto da parte dei giudici di merito, Catano Massimo era una
persona violenta, esperta in arti marziali, pregiudicata, che abitualmente andava in giro
armata; la mattina del 25.5.2009 il predetto aveva aggredito l’imputato nei confronti del quale
aveva motivi di risentimento, colpendolo con due pugni in faccia, mentre lo stesso si trovava
seduto insieme a suo suocero – Catano Nunzio, che era anche fratello di Massimo – davanti al
Bar Lamanna; in difesa dell’imputato era intervenuto il suocero, ma Catano Massimo aveva
aggredito anche suo fratello Nunzio; nel corso di questa aggressione era accidentalmente

ortostasi e altri durante la fase di caduta al suolo, comunque mentre la vittima

caduta per terra la pistola che Catano Massimo portava con sé, ma che nell’occasione il
predetto non aveva impugnato né aveva minacciato di usarla; l’imputato si era impossessato
dell’arma e aveva sparato contro Catano Massimo fino a scaricare l’intero caricatore,
continuando a colpirlo anche quando lo stesso, ormai inoffensivo perché già colpito da
proiettili, stava cadendo al suolo.
La Corte di merito non riconosceva all’imputato l’esimente della legittima difesa, ritenendo che
in quella situazione lo stesso non avesse alcuna necessità di esplodere sette colpi contro
Catano Massimo.
Questi era intenzionato solo a dare una lezione all’imputato, poiché non aveva versato il prezzo
richiestogli da due suoi amici per una dose di cocaina.

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Nei confronti del fratello Nunzio, intervenuto in difesa del Bitetto, non era stato
particolarmente violento – come invece aveva sostenuto la difesa dell’imputato – avendogli
sferrato solo un pugno al mento che aveva provocato lesioni lievissime, giudicate guaribili in
cinque giorni.
Il Di Bitetto, una volta impossessatosi della pistola, per sua stessa ammissione aveva subito
iniziato a sparare, mentre avrebbe potuto arrestare l’aggressione di Catano Massimo nei
confronti del fratello puntandogli l’arma a scopo intimidatorio o anche esplodendo dei colpi in

l’intenzione di recuperare la sua pistola.
Secondo la Corte di assise d’appello l’imputato non aveva sparato per fini difensivi, ma solo per
dare sfogo alla rabbia in lui accumulatasi in ragione dei ripetuti atti vessatori subiti ad opera di
Catano Massimo.
Neppure poteva ravvisarsi l’eccesso colposo in legittima difesa, poiché mancavano i
presupposti della legittima difesa, difettando in particolare il requisito della necessità di
difendersi.
Doveva, invece, essere riconosciuta l’attenuante della provocazione, avendo l’imputato reagito
in stato d’ira a un fatto ingiusto. Tra l’altro, il pomeriggio del giorno prima, Catano Massimo
era andato presso l’abitazione dell’imputato, che prudentemente non aveva aperto la porta;
aveva inveito contro di lui, sempre per come si era comportato con i suoi amici dai quali aveva
acquistato una dose di cocaina, e ingiungendo di aprire la porta aveva minacciato di ficcargli
un chiodo in testa e di ammazzargli il figlioletto.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, chiedendone
l’annullamento, con un primo motivo, per il mancato riconoscimento della legittima difesa.
Secondo il ricorrente, l’imputato non era stato in grado di controllare l’adeguatezza dello
strumento reattivo casualmente giunto a sua disposizione ed aveva superato colposamente i
limiti della legittima difesa forse, a tutto concedere, sopravvalutando colposamente l’entità del
pericolo.
Sussisteva l’esigenza di reagire adeguatamente al livello di pericolosità dell’aggressione, e
l’imputato aveva reagito istintivamente con il mezzo di cui del tutto casualmente si era
impossessato.
La pericolosità e la prestanza fisica di Catano Massimo non consentivano all’imputato di agire
diversamente, dovendosi considerare anche il terrore che il predetto era in grado di incutere
nelle persone che prendeva di mira.
L’imputato aveva la necessità di reagire all’aggressione ed aveva avuto, come unica e
irripetibile possibilità a disposizione per difendere la propria e l’altrui incolumità, l’uso della
pistola casualmente rinvenuta nell’occasione.

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aria, avendo escluso lo stesso Di Bitetto che Catano Massimo si fosse rivolto contro di lui con

Con un secondo motivo il ricorrente ha contestato la mancata esclusione dell’aggravante di cui
all’art. 61 n.2 c.p., con riguardo al delitto di porto abusivo dell’arma, in quanto la pistola era
stata portata sul posto dalla vittima e non dall’imputato.
Con un terzo motivo si è lamentato per l’assenza di motivazione della riduzione delle
attenuanti in misura inferiore a un terzo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Secondo la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito, mentre l’imputato era seduto,
davanti a un tavolino all’esterno del Bar Lamanna, insieme al suocero Catano Nunzio, era
sopraggiunto Catano Massimo il quale – avendo motivi di risentimento contro l’imputato l’aveva subito aggredito; era intervenuto Catano Nunzio, bloccando l’azione del fratello, ma
anche lui era stato colpito con un pugno; in questo frangente Catano Massimo aveva perso la
pistola che era caduta per terra, anche se nell’occasione il predetto non l’aveva estratta né
aveva minacciato di usarla; l’imputato aveva raccolto la pistola e aveva indirizzato tutti i colpi
del caricatore contro Catano Massimo.
La Corte di assise d’appello correttamente non ha riconosciuto all’imputato l’esimente della
legittima difesa, che deve essere riconosciuta solo quando l’imputato ha commesso il fatto per
esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo
attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.
Il Tribunale ha ritenuto che l’imputato non avesse sparato né per difendere se stesso – in
quanto Catano Massimo aveva cessato di aggredirlo – né per difendere suo suocero – che non
era stato colpito in modo particolarmente violento – ma solo per dare sfogo alla rabbia che
aveva accumulato per tutte le vessazioni che aveva dovuto subire ad opera di Catano
Massimo.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento della scriminante della
legittima difesa, la necessità di difendersi e la proporzione tra la difesa e l’offesa vanno intese
nel senso che la reazione deve essere, nelle circostanze della vicenda (apprezzate “ex ante”),

Il ricorso è infondato.

l’unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa egualmente idonea alla tutela del
diritto (V. Sez. 4 sentenza n. 32282 del 4.7.2006, Rv. 235181).
La Corte di merito ha messo in evidenza che l’imputato non solo non aveva motivo di sparare,
perché non era in atto un’aggressione nei suoi confronti né era connotata da possibili sviluppi
pericolosi quella nei confronti di Catano Nunzio, ma avrebbe potuto comunque bloccare
qualsiasi azione aggressiva puntando l’arma contro Catano Massimo e, al più, esplodendo
qualche colpo in aria.
È stato anche precisato da questa Corte che l’attualità del pericolo richiesta per la
configurabilità della scriminante della legittima difesa implica un effettivo, preciso contegno del
soggetto antagonista, prodromico di una determinata offesa ingiusta, la quale si prospetti
come concreta e imminente, così da rendere necessaria l’immediata reazione difensiva, sicché M
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resta estranea all’area di applicazione della scriminante ogni ipotesi di difesa preventiva o
anticipata (V. Sez. 1 sentenza n. 6591 del 27.1.2010, Rv. 246566).
Correttamente la Corte distrettuale ha anche ritenuto che neppure potesse ravvisarsi l’eccesso
colposo in legittima difesa, mancando i presupposti della predetta scriminante, e in particolare
la necessità di difendersi.
L’eccesso colposo, infatti, sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei
limiti a quest’ultima collegati, sicché, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i

per l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio
temporale e con valutazione ex ante, e occorre poi procedere ad un’ulteriore differenziazione
tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo
il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo delineato dall’art. 55 cod. pen., mentre il
secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli
schemi della scriminante (V. Sez. 1 sentenza n.45425 del 25.10.2005, Rv. 233352).
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, invece, l’imputato aveva sparato contro Catano
Massimo non per necessità di difendere se stesso o suo suocero, ma per sfogare la propria
rabbia accumulata contro il predetto e in preda all’ira per l’ultima azione ingiusta e violenta che
aveva subito da parte dello stesso.
L’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 c.p. non è stata esclusa, poiché **l’imputato è stato
condannato anche perché, dopo il fatto, ha portato con sé la pistola al fine di nasconderla, e
questa condotta non è stata contestata dal ricorrente. Comunque la Corte d’appello ha ritenuto
di ridurre l’aumento di pena a titolo di continuazione inflitto dal giudice di primo grado per il
delitto in questione.
Contrariamente a quanto sostenuto nel terzo motivo di ricorso, la Corte territoriale ha indicato
con motivazione adeguata – richiamando le modalità del fatto e i motivi che avevano spinto a
commettere il delitto – le ragioni per le quali non ha ridotto nella misura massima la
riconosciuta attenuante della provocazione e le attenuanti generiche.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 23 aprile 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva,

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