Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46393 del 10/09/2013


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Penale Sent. Sez. F Num. 46393 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
MUSCIOLA’ VINCENZO

n. il 14.08.1988

avverso la sentenza n. 1585/12 del Tribunale di Foggia del 12.12.2012.
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita in UDIENZA CAMERALE del 10 settembre 2013 la relazione fatta
dal Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale nella persona del
dott. Antonio Gialanella che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso.

Data Udienza: 10/09/2013

osserva

1. L’imputato MUSCIOLA’ Vincenzo ricorre per cassazione contro la sentenza di
applicazione concordata della pena in epigrafe indicata, deducendo carenza di
motivazione della medesima in ordine all’insussistenza di una delle “cause di non
punibilità” di cui all’articolo 129 c.p.p., e carenza di motivazione in ordine alla
ritenuta congruità della pena.
2. Il ricorso è inammissibile, ex articolo 606, comma 3, c.p.p., perché proposto

c.p.p., perché i motivi sono privi del requisito della specificità, consistendo nella
generica esposizione della doglianza senza alcun contenuto di effettiva critica alla
decisione impugnata.
Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Cass. S.U. 27
settembre 1995, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di
applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della
medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché
succintamente, di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti
(la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del
fatto, l’applicazione di eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la
congruità della pena, la concedibilità della sospensione condizionale della pena
ove la efficacia della richiesta sia ad essa subordinata) e di quelli negativi (che
non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo
129 c.p.p.).
In particolare, il giudizio negativo in ordine alla ricorrenza di una delle ipotesi di
cui all’articolo 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica
motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta
la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per una
pronuncia di proscioglimento ai sensi della disposizione citata.
Nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti, il
giudice decide, invero, sulla base degli atti assunti ed è tenuto, pertanto, a
valutare se sussistano le anzidette cause di proscioglimento soltanto se le stesse
preesistano alla richiesta e siano desumibili dagli atti medesimi.
Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e ratificato accordo,
proporre questioni in ordine alla mancata applicazione dell’articolo 129 c.p.p.,

per motivi manifestamente infondati e, ex articolo 591, comma 1, lettera c),

senza precisare per quali specifiche ragioni detta disposizione avrebbe dovuto
essere applicata nel momento del giudizio.
3. Per quanto riguarda il motivo relativo alla pena si ritiene che esso è privo del
requisito della specificità, consistendo nella generica esposizione della doglianza
senza alcun contenuto di effettiva critica alla decisione impugnata. Per altro non
è consentito all’imputato, dopo l’intervenuto e ratificato accordo, proporre
questioni in ordine alla quantificazione della pena a meno che la stessa non

dedotta per il caso di specie.
La pena – come si è detto – è stata applicata nella misura richiesta e la
valutazione in ordine alla congruità della medesima risulta effettuata, con la
declaratoria della correttezza della qualificazione del fatto.
4.

Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al

pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa
delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro
1500,00 (millecinquecento/00) a titolo di sanzione pecuniaria.
Per questi motivi

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di euro 1500,00
(millecinquecento/00).
Così deciso in Roma alla udienza cameraledel 10 settembre 2013.

risulti essere illegale, cioè non prevista dalla legge, circostanza questa non

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