Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46393 del 04/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 46393 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RUSSO SALVATORE AGATINO N. IL 05/07/1965
avverso la sentenza n. 1633/2014 CORTE APPELLO di CATANIA, del
27/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D -ito bl’%/ntlitinLO
che ha concluso per
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Data Udienza: 04/11/2015

RITENUTO IN FATTO

L La Corte di Appello di Catania, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, RUSSO SALVATORE AGATINO, con sentenza del 27.11.2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Catania, emessa in data 4.7.2014, rideterminava la pena inflitta in anni 3, mesi 6 e giorni 20 di reclusione ed C
12.000,00 di multa.
Il Tribunale di Catania, giudicava l’imputato responsabile del reato p. e p.
dall’art. 73 co.1 D.P.R. 309/90, perché senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 del

cocaina del peso di gr. 41,53 netti (pari a 31.684,4 mg di principio attivo, corrispondenti a 211 dosi medie singole), contenuta in un involucro di cellophane,
che per la quantità e la modalità dell’azione non appariva destinata ad uso esclusivamente personale, con la recidiva, in Catania il 4.6.2014, condannandolo, alla
pena di anni 4 di reclusione ed euro 12.000 di multa, oltre al pagamento delle
spese processuali e di custodia cautelare, con l’interdizione dai pp.uu. per la durata di anni cinque.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
del proprio difensore di fiducia, Russo Salvatore Agatino, deducendo l’unico motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione,
come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• Violazione dell’art. 606 n. 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.: inosservanza
dell’art. 73 comma V DPR 309/90 e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
La sentenza impugnata avrebbe rigettato la richiesta di applicazione del
quinto comma dell’art. 73, con una motivazione scarna e poco logica, sul presupposto che la sostanza era destinata in parte all’uso personale ed in parte allo
spaccio, dando prova di un’attività stabile, pianificata e non occasionale.
Sarebbe stata accertata, nel corso del procedimento, la tossicodipendenza
dell’imputato, che, pertanto, avrebbe determinato la necessità di rifornirsi con
frequenza di droga e venderla per averne a disposizione per il proprio vizio.
Il ricorrente ritiene che il dato quantitativo non avrebbe importanza primaria
e che, ai fini della concedibilità dell’attenuante, occorrerebbe fare riferimento non
solo al numero di dosi ricavabili ma anche ad altri elementi.
Nel caso di specie, superato il dato delle 211 dosi, la condotta complessiva
rientrerebbe nell’ambito della fattispecie autonoma di reato ex art. 73 DPR
309/90.

2

citato DPR, deteneva ai fini della cessione a terzi sostanza stupefacente del tipo

Non vi sarebbe prova di una reiterazione del reato, del resto la stessa corte
di appello riconoscerebbe la risalenza nel tempo dei precedenti dell’imputato, dato inconciliabile con un’attività di spaccio organizzata e duratura.
La corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto rilevante la cessione
della droga non come mezzo per potersela ricomprare ma come organizzata attività di spaccio.
Chiede, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata, con applicazione
di una pena inferiore a quella irrogata in concreto ai sensi dell’art. 73 comma 5

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il motivo sopra illustrato è manifestamente infondato e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Il ricorso è manifestamente inammissibile, in quanto il ricorrente, non
senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si
è nella sostanza limitato a riprodurre la stessa questione già devoluta in appello
e da quei giudici puntualmente esaminata e disattesa con motivazione del tutto
coerente e adeguata che il ricorrente non ha in alcun modo sottoposto ad autonoma e argomentata confutazione.
E’ ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte
come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su
motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal
giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza
di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione
tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a
norma dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della
impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolo non
mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, rv. 255568; sez. 4, n.
18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, rv. 236945; sez.
1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, rv. 230634; sez. 4, n. 15497 del
22.2.2002, Palma, rv. 221693).

DPR 309/90. In subordine, la cassazione con rinvio.

Ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e
motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle
doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, Cariolo e altri, rv.
260608).

di lieve entità.
Il giudizio è stato fondato non solo sul dato rilevante del quantitativo di ben

211 dosi di cocaina, che pure evidentemente ha un suo pregnante rilievo, ma
anche sugli altri elementi che hanno connotato la vicenda: le modalità di occultamento, l’ammissione della destinazione di parte della sostanza allo spaccio e
l’inserimento dell’imputato nel settore del traffico organizzato.
Correttamente è stata valutata anche la risalenza nel tempo dei precedenti,
che peraltro ha determinano una rimodulazione della pena in senso maggiormente favorevole all’imputato.
Ebbene, la sentenza impugnata appare fare buon governo della costante
giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui, ai fini del riconoscimento dell’ipotesi attenuata richiesta, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto
della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del
bene giuridico protetto sia di lieve entità (vengono richiamate sul punto le sentenze di questa Corte sez. 4 n. 6732 del 22.12.2011 dep. il 20.2.2012, Sabatino,
rv. 251942; sez. 4 n. 38879 del 29.9.2005, Frank, rv. 232428; sez. 4, n. 43399
del 12.11.2010, Serrapede, rv. 248947; nello stesso senso anche la più recente
sez. 6, n. 39977 del 19.9.2013, Tayb, rv. 256610).
Questa Corte ha anche precisato che la fattispecie del fatto di lieve entità
di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, anche all’esito della
formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in
legge n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima of-

fensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi,
modalità e circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici
previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione
4

3. La Corte territoriale ha motivato correttamente sull’insussistenza del fatto

resta priva di incidenza sul giudizio (così questa sez. 3, n. 27064 del 19.3.2014,
Fontana, rv. 259664, fattispecie in cui è stato ritenuto illegittimo il riconoscimento del fatto di lieve entità per avere il giudice attribuito rilievo decisivo soltanto
alla condizione di tossicodipendente dell’imputato, senza considerare i precedenti
penali specifici e il quantitativo non modesto di sostanza stupefacente detenuta).

4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di

ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della cassa delle
ammende
Così deciso in Roma il 4 novembre 2015
Il

nsigliere

tensore

Il Pre dente

inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del

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