Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46390 del 12/09/2013


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Penale Sent. Sez. F Num. 46390 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Gatti Deanna, nata a Modena il 07/09/1946

avverso la sentenza emessa il 20/02/2013 dalla Corte di appello di Bologna

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Aldo Policastro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Deanna Gatti ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe,
in forza della quale risulta essere stata confermata la sentenza emessa dal
Tribunale di Modena il 09/03/2010, recante la condanna dell’imputata alla pena
di mesi 6 di reclusione (nonché alle pene accessorie di legge, oltre al
risarcimento dei danni subiti dalla parte civile costituita) per addebiti di cui agli

Data Udienza: 12/09/2013

artt. 81, 110 e 473 cod. pen.: l’accusa riguarda la contraffazione di marchi e
segni distintivi di varie aziende di rilevante importanza nel mondo della moda,
realizzata apponendo detti marchi e segni non autentici su articoli di pelletteria
confezionati in proprio, facendoli apparire come provenienti dalle suddette
griffes.

L’imputata risultava avere avuto la disponibilità di un piccolo laboratorio

artigianale dove i manufatti in questione venivano concretamente prodotti, ed
era stata osservata da ufficiali di polizia giudiziaria nell’atto di consegnare borse
di tal fatta ad uno dei coimputati (figlio di tale Edda Leonardi, titolare di una

commissionato l’incarico di realizzare i beni de quibus).
La difesa deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata.
Rappresenta in particolare la incongruità delle argomentazioni con cui i
giudici di appello avrebbero disatteso la tesi della ricorrente, che aveva spiegato
come si fosse approcciata alla fabbricazione dei manufatti sopra ricordati in
perfetta buona fede, ritenendo – visto che l’attività della Leonardi risultava
essere esercitata in locali bene attrezzati, con apparente significatività del
movimento di affari ed alla luce del sole – che la persona da cui aveva ricevuto
l’incarico disponesse delle necessarie licenze, così ragionevolmente astenendosi
dal compiere eventuali verifiche, esigibili al contrario qualora la committente si
fosse a lei presentata con credenziali mistificatorie.
Con memoria pervenuta il 30/08/2013, lo stesso difensore fa rilevare un
vizio nella instaurazione del contraddittorio per l’odierna udienza, segnalando che
non risulterebbe in atti l’impulso di parte necessario per rendere legittimo il
provvedimento con cui il Presidente di questa Sezione feriale ha inteso disporre
la riduzione, nella misura di un terzo, dei termini per l’avviso di fissazione
dell’udienza, ai sensi dell’art. 169 disp. att. cod. proc. pen.; considerando che
l’avviso in parola è stato effettuato il 16 agosto in vista di un’udienza da tenersi il
12 settembre, e che dall’avviso medesimo non si evince alcuna richiesta del
Procuratore generale o del difensore di parte civile per la riduzione del termine
ordinario (di trenta giorni), se ne deve ricavare il mancato rispetto di detto
termine, con conseguente vizio di nullità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere considerato inammissibile.

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azienda del settore e dalla quale la stessa Gatti aveva dichiarato esserle stato

1.1 Va innanzi tutto disattesa l’eccezione di nullità prospettata in relazione al
disposto dell’art. 169 disp. att. del codice di rito, che si rivela manifestamente
infondata.
Dall’esame degli atti emerge che il Procuratore generale presso questa Corte
risulta avere formalmente richiesto la riduzione dei termini stabiliti per il giudizio
di legittimità, con atto del 14 agosto scorso; in pari data appare siglato il
conseguente decreto del Presidente di questa sezione feriale.
Della riduzione dei termini viene data contezza nel successivo avviso inviato

della trattazione del processo durante il periodo feriale,

ex art. 240-bis delle

ricordate disposizioni di attuazione (nell’avviso si legge infatti che “ai sensi
dell’art. 169 disp. att. cod. proc. pen. i termini relativi alle notifiche degli avvisi
di udienza sono ridotti di 1/3”, dicitura che ovviamente presuppone, stante il
richiamo alla norma disciplinante l’istituto, l’esistenza di un decreto su istanza di
parte). Né del decreto in questione, ovvero della richiesta a monte, sarebbe
stata doverosa una formale notifica, giacché «il decreto presidenziale di riduzione
dei termini per il giudizio di cassazione non è norma di carattere eccezionale
perché si riferisce a tutti i procedimenti penali e non deve essere notificato
autonomamente, in quanto dello stesso viene data notizia in calce all’avviso di
fissazione dell’udienza notificato al difensore» (Cass., Sez. V, n. 39736 del
10/09/2003, Casini, Rv 226661).
1.2 Quanto ai profili di doglianza esposti nel motivo di ricorso, deve
prendersi atto che la difesa si limita a ribadire tesi già confutate, senza neppure
peritarsi di spiegare perché la motivazione adottata dalla Corte territoriale
sarebbe carente, illogica o contraddittoria (in concreto, vi è una semplice
iterazione dell’assunto secondo cui la Gatti avrebbe agito in buona fede, esposto
dinanzi ai giudici di appello e da questi ritenuto insostenibile).
A tacer d’altro, nell’interesse dell’imputata si insiste nel prospettare il difetto
di dolo senza tenere conto che nella sentenza oggetto di ricorso si è
diffusamente rilevato:

come l’attività di confezionamento di borse contraffatte presso il
seminterrato della Gatti si protraesse da tempo, vista la ingente quantità
di materiale ivi rinvenuta, il che smentiva l’ipotesi che ella (come
sostenuto nei motivi di appello) avesse ricevuto da poco un incarico per il
quale era ancora in fase di apprendimento;

il riscontro alla tesi accusatoria offerto dalle dichiarazioni della figlia della
Gatti, già imputata del delitto di cui all’art. 473 cod. pen., la quale si era
detta appassionata di borse di marca, e solita ad acquistarne contraffatte
(perciò, abitando nello stesso stabile della madre, era impensabile che

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alle parti interessate, cui risulta allegato il provvedimento attestante l’urgenza

non si fosse resa conto dell’attività che si svolgeva nel seminterrato, e
non avesse piuttosto messo sull’avviso la stessa Gatti sulla falsità degli
articoli che le era stato chiesto di confezionare;
– che la normale produzione di borse od altri accessori per marchi di livello
internazionale segue notoriamente «canali ufficiali e modalità tali da
garantire la riservatezza dei prodotti stessi quanto a disegni, modelli,
materiali usati […], avvalendosi peraltro di personale qualificato nello
specifico settore della lavorazione e confezionamento di capi in pelle; fa

pensato di lavorare, lei che, secondo la sua stessa versione, era
totalmente priva di esperienza in materia, su produzioni originali (che,
ovviamente, richiedono la più rigorosa precisione nell’esecuzione anche
solo delle cuciture, sicché, al di là della rappresentazione fattale dalla
Leonardi, sussistevano molteplici elementi di sospetto sull’attività che le
veniva richiesto di svolgere)».
In definitiva, non può che ritenersi inammissibile un ricorso per cassazione
fondato su motivi che riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute
infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici;
ciò perché il difetto di specificità del motivo – rilevante ai sensi dell’art. 581, lett.
c), cod. proc. pen. – va apprezzato non solo in termini di indeterminatezza, ma
anche «per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal
momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art.
591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità dell’impugnazione»
(Cass., Sez. II, n. 29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo).

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna della Gatti al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà della ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

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dunque torto all’intelligenza della stessa imputata l’avere anche solo

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 12/09/2013.

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