Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46385 del 10/09/2013


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Penale Sent. Sez. F Num. 46385 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
TESTA ALESSANDRO

n. il 12.06.1977

avverso la sentenza n. 261/13 della Corte d’appello di Cagliari del
20.02.2013.
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita in PUBBLICA UDIENZA del 10 settembre 2013 la relazione fatta
dal Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Pietro Gaeta
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 10/09/2013

RITENUTO IN FATTO
TESTA ALESSANDRO ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe
indicata della Corte di appello di Cagliari di conferma della sentenza di
condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale locale il 22.11.2011 in
ordine a più delitti di furto aggravato.
Per una migliore intelligenza dei motivi del ricorso è opportuno riportare, sia
pure in maniera sintetica, il fatto e le ragioni poste a base della sentenza di
condanna.

nell’arco di 16 giorni (il 28 aprile, il 10 maggio ed il 16 maggio 2004) ai danni
di tre soci del Wind Surfing Club di Marina Piccola in Cagliari, sottratti nello
spogliatoio del Club dai loro effetti personali. I furti vennero denunciati da
ognuno dei derubati (Paulis Riccardo, Natale Elpidio e Pugliese Giuseppe) con
l’indicazione alla Polizia del codice IMEI dei rispettivi cellulari.
L’ispettore della Polizia Postale, Roberto Manca, avviate le indagini attraverso
i codici IMEI, accertava che i tre cellulari rubati erano risultati abbinati ad
utenze telefoniche in uso ad Alessandro Testa, giornalista del quotidiano
L’Unione Sarda, anch’egli frequentatore del Winding Surf e conosciuto,
almeno di vista, dalle persone offese. In particolare il Paulis ed il Natale
hanno riferito di aver notato che il TESTA frequentava il club negli stessi orari
nei quali loro si allenavano.
Acquisite in dibattimento le testimonianze dell’ispettore Manca, dei tre
derubati, del consulente di parte, Sandro Usai, e di altri testi indicati a difesa,
vagliate la tesi difensiva proposta dall’imputato secondo cui i suoi telefonini
erano stati clonati e che era stato organizzato un complotto ai suoi danni, il
Tribunale ne affermava la penale responsabilità.
La Corte cagliaritana, adita dal TESTA, ha ritenuto infondati i motivi posti a
base del gravame con il quale si era chiesta l’assoluzione con formula ampia,
previa assunzione di perizia tecnica e/o delle testimonianze del
rappresentante legale e del responsabile dell’ufficio tecnico della Vodafone.
In particolare, la Corte osserva che assume fondamentale rilievo indiziario la
circostanza che alle IMEI di tutti e tre i telefonini, oggetti di furto, siano state
abbinate cer SIM-card intestate all’imputato o nella sua disponibilità. Se tale
abbinamento fosse stato relativo ad una sola IMEI e a una sola SIM – card si
sarebbe potuto ipotizzare, in termini più ragionevoli, la possibilità di un
“hackeraggio”, con clonazione o della IMEI o della SIM-card. E’ pacifico che il
TESTA frequentasse il circolo privato (per altro egli lo ha ammesso) nel
periodo e nella fascia oraria in cui furono commessi i furti, e, dunque, aveva

2_,

La vicenda ha ad oggetto tre furti, ognuno di un telefono cellulare, avvenuti,

la possibilità di accedere allo spogliatoio in cui i vari soci lasciavano gli effetti
personali.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge indotta anche
dalla mancata assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione.
In buona sostanza il Testa eccepisce il vizio di travisamento del fatto e,
comunque, quello del travisamento della prova, anche con riferimento alla
individuazione del movente che avrebbe indotto l’imputato a commettere il
reato contestato. Sul punto si riporta la motivazione della sentenza

delitti per cui si procede l’imputato si stava documentando sulla materia delle
donazioni dei telefonini cellulari, cui dedicò un dettagliato articolo sull’Unione
Sarda, appena poche settimane dopo i furti. In sentenza si sostiene che egli
stesse maturando specifiche competenze tecniche sulla materia e che la
disponibilità di più cellulari da dedicare ad esperimenti tecnici facesse parte
delle esigenze operative per poter scrivere con cognizione di causa della
clonazione delle IMEI ed argomenti connessi. Tale ragionamento, già
espresso dal Tribunale, per il ricorrente non è proponibile perché assurdo. Per
altro, con riferimento all’articolo di stampa sull’argomento delle clonazioni, si
evidenzia che, se coinvolto nei furti dei tre cellulari, il Testa avrebbe
certamente evitato di redigere l’articolo non potendo non valutare e
prevedere che l’attenzione sul delicato argomento di cronaca avrebbe potuto
aggravare il rischio di essere individuato e perseguito. Inoltre, sempre in
punto di critica della tenuta logica della sentenza impugnata, si evidenzia che
se l’imputato fosse stato l’autore dei furti mai avrebbe ammesso, in uno
scritto difensivo (acquisito agli atti) autografo, di essersi trovato nei luoghi in
cui erano stati commessi i furti.
Ancora, con riferimento al dato fattuale ritenuto rilevante dai giudici di merito
relativo all’accertato abbinamento alle IMEI dei telefonini rubati alle sim-card
intestate al TESTA, la Corte distrettuale non ha tenuto in alcun conto la tesi
difensiva dell’ “Hacheraggio” ordito ai danni dell’imputato, così travisando la
realtà dei fatti: non si è considerato che il TESTA, quando si allontanava dal
circolo velico per dedicarsi all’attività sportiva, lasciava incustoditi tutti e
quattro i suoi cellulari, quindi chiunque, socio o non socio, avrebbe avuto
modo di portarsi presso il circolo impossessandosi in un unico contesto delle
SIM-card ed utilizzandole, con l’obiettivo programmato di mettere nei guai il
ricorrente, per l’abbinamento alle IMEI dei cellulari rubati in precedenza.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge per il rigetto della
richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale al fine di disporre

impugnata secondo cui assume rilievo la circostanza che proprio all’epoca dei

perizia tecnica, con conseguente ricaduta sulla motivazione che, pertanto,
risulta essere carente. Ed, invero, si adduce che la Corte, pur avendo preso
atto della possibilità ed utilità di accertare attraverso un perizia la presenza,
l’origine e la fonte dell’infettamento dei cellulari e del conseguente furto di
identità, poi apoditticamente non ha ritenuto utile e necessaria la perizia.
Si denuncia il travisamento della prova con riferimento alla deposizione
dell’isp. Manca laddove lo stesso teste aveva accreditato la proponibilità
tecnica dell’alternativa difensiva dell'”acKeraggio” delle sim-card del Testa. Si

contenuti del prezioso ed approfondito contributo tecnico della Consulenza
tecnica del consulente Usai Sandro.
Con l’ultimo motivo si denuncia altra violazione di legge per non essere stata
applicata la causa estintiva della prescrizione con riferimento alla
inoperatività della sospensione prevista dall’art. 132 bis disp. Att. c.p.p. come
introdotto dalla D.Lgs 271/2008.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto.
Il compito del giudice di legittimità è quello di verificare se i giudici di merito
abbiano logicamente giustificato la loro valutazione sulla sufficienza degli
elementi di natura indiziaria acquisiti al processo al fine di pervenire
all’affermazione che il ricorrente doveva ritenersi l’autore dei furti contestati e
se abbiano correttamente applicato i criteri di valutazione della prova
indiziaria previsti dall’art. 192 c.p.p..
Il vizio dedotto dal ricorrente non è riconducibile al cd. “travisamento del
fatto” perché, con il proposto ricorso, si pone il problema dell’individuazione
dei criteri che il giudice deve utilizzare per valutare l’idoneità indiziaria dei
fatti accertati e l’efficacia probatoria di questi indizi nonché la loro capacità
individualizzante.
Non viene quindi in considerazione il tema della ricomposizione del quadro
probatorio, ormai “fotografato” con la ricostruzione del fatto compiuta dal
giudice di merito/ che sarebbe inammissibile in questa sede. Compito del
giudice di legittimità non è, infatti, quello di ricostruire e valutare i fatti
diversamente da quanto compiuto dal giudice di merito, ma di sindacare la
correttezza del ragionamento di questi sulla valutazione relativa alla efficacia
indiziaria dei fatti accertati.
Il sindacato di legittimità sul procedimento logico che consente di pervenire al
giudizio di attribuzione del fatto con l’utilizzazione di criteri d’ inferenza, o
massime di esperienza, è diretto a verificare se il giudice di merito abbia

aggiunge che il travisamento della prova consegue anche al totale silenzio sui

indicato le ragioni del suo convincimento e se queste ragioni siano plausibili.
E, per giungere a queste conclusioni, è necessario verificare se siano stati
rispettati i principi di completezza (se il giudice abbia preso in considerazione
tutte le informazioni rilevanti), di correttezza e logicità (se le conclusioni
siano coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di inferenza e
su deduzioni logicamente ineccepibili).
Ebbene, la Corte d’appello, riprendendo l’impianto motivazionale della
sentenza di primo grado, e, partendo da elementi certamente indizianti

codici IMEI dei cellulari rubati con abbinamento a numeri di cellulari in suo
uso, particolare esperienza del Testa nella materia della clonazione dei
numeri di telefonia mobile), giunge poi, attraverso un ragionamento logico di
concordanza degli indizi, alla affermazione della responsabilità dell’imputato.
Non ha, però, tenuto in conto un elemento fattuale di natura oggettiva che
dà credibilità alla versione difensiva offerta sin dall’inizio dal ricorrente
(hackeraggio dei suoi telefonini), o, quanto meno, fa sorgere un ragionevole
dubbio circa la paternità dei furti ascritti al ricorrente.
L’elemento cui si fa riferimento, e che la stessa Corte distrettuale rileva ma
che spiega in termini di “possibilità” e non di dato acquisito, è che dalla
lettura dei tabulati telefonici è rimasto accertato che diverse telefonate,
provenienti dai numeri telefonici, nella disponibilità del Testa e collegati alle
IMEI dei telefonini rubati, erano agganciate contemporaneamente a celle
telefoniche diverse, con la conseguenza che, nello stesso momento da quel
telefono, partivano telefonate da luoghi diversi e distanti tra loro.
Come si è anticipato la Corte cagliaritana ha spiegato tali “apparenti
incongruenze” argomentando, come indicato dal teste Manca, che alcuni
passaggi repentini da una cella telefonica ad un’altra si possono giustificare
col noto sistema di trasferire la comunicazione su celle vicine quando quella
interessata sia occupata o inefficiente. Ma tale spiegazione è stata data come
possibile e non certa. Sul punto l’imputato aveva chiesto, con esplicita istanza
di rinnovazione dibattimentale, che la Corte disponesse una perizia tecnica
onde verificare se effettivamente i passaggi repentini tra celle erano stati
determinati dal fatto che la cella in uso in quel momento fosse occupata o
inefficiente. La Corte ha rigettato la richiesta evidenziando che le acquisizioni
probatorie dibattimentali paiono del tutto sufficienti e non si ravvisa alcuna
necessità né di disporre una perizia tecnica né di esaminare i dirigenti della
Vodafone, come ulteriormente richiesto dall’imputato.

(presenza dell’imputato nel luogo ove sono avvenuti i furti, utilizzazione dei

Il sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare in relazione alla
correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato su una
richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere esercitato sulla
concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve
esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (v.
Cass. S.U. 23 novembre 1995, P.G. in e. Fachini), ebbene la Corte, nel
rigettare la richiesta di perizia tecnica, non fa alcun riferimento a quelle
incongruenze evidenziate dall’appellante che se, verificate, avrebbero dato

Le incongruenze, si ripete, sono state giustificate in termini di possibilità ma
non verificate.
Allo stato non può escludersi in termini di certezza che il fatto che l’imputato
abbia utilizzato il suo numero telefonico in un dato luogo e che
contemporaneamente, in altro luogo distante dal primo, sia stato utilizzato lo
stesso numero possa essere stato determinato dalla clonazione del suo
cellulare.
In sostanza, prima il Tribunale e poi la Corte del merito, per corroborare il
ragionamento deduttivo indiziario, hanno fatto riferimento a massime di
esperienza, e lo steso imputato per confortare la sua tesi difensiva ha fatto
altrettanto, laddove ha evidenziato che proprio lui esperto in materia mai
avrebbe utilizzato le IMEI appartenenti ai telefonini rubati in abbinamento ai
suoi numeri telefonici, ben sapendo di poter essere facilmente scoperto. Ed
ancora, essendo responsabile dei furti, mai avrebbe pubblicato un articolo
sulla clonazione dei numeri telefonici, quasi come se fosse una confessione
extragiudiziaria. O, ancora, se aveva bisogno per i suoi esperimenti di
acquisire IMEI di altri telefonini ben avrebbe potuto chiederli ai suoi parenti e
non rubandoli correndo il rischio di un processo penale.
Orbene, questa Corte ha insegnato che per attribuire la credibilità o meno di
una dichiarazione, sia essa di un testimone o dello stesso imputato, è
necessario, nell’argomentare in punto di logica, basarsi su elementi oggettivi
o, in mancanza, fare anche ricorso alle “massime d’esperienza”.
E’ pur vero che tale ultima operazione non garantisce affatto un risultato
sicuro, certo, indiscutibile, ma, in assenza di dati obiettivi cui ancorare la
dichiarazione, è l’unico metodo cui poter far ricorso. Con la massima
d’esperienza si opera una generalizzazione di un determinato comportamento
attraverso l’individuazione di caratteri “comuni” presupposti come presenti in
fatti già accaduti, cui si fa riferimento come punto di partenza, con
l’esclusione di quei casi che potrebbero smentire tale generalizzazione. La

credibilità alla sua versione difensiva.

conseguenza è che, mancando un accordo, di natura oggettiva, sulla scelta
dei dati iniziali, non è possibile evitare il rischio che quella massima
d’esperienza sia confutata da almeno un’altra massima d’esperienza.
Sebbene non è consentito attribuire alle massime d’esperienza la funzione di
ancorare la valutazione della prova a premesse certe, esse possono,
comunque, fungere solo da premessa maggiore di un procedimento
gnoseologico di cui l’elemento esaminato costituisce la premessa minore, ma
la cui conclusione si caratterizza per la sua ipoteticità congetturale carente di

prospettive ritenute significative per l’indagine, forniscono al giudice una serie
di ipotesi, logiche nel loro atteggiarsi, utilizzabili, però, solo quali premesse
per la soluzione dei diversi problemi che si trova a dover affrontare.
Le massime cui ha fatto ricorso la Corte d’Appello avrebbero reso non
credibile la deduzione difensiva o, meglio, non ragionevole il dubbio circa la
colpevolezza dell’imputato se avessero dato una giustificazione ancorata ad
elementi certi e non espressi in termini di possibilità alle incongruenze
evidenziate dal TESTA che, se verificate, avrebbero potuto accreditare la
versione della clonazione dei suoi telefonini.
In proposito, relativamente alla regola dell’oltre il ragionevole dubbio si
osserva che essa ha messo definitivamente in crisi quell’orientamento
giurisprudenziale secondo cui, in presenza di più ipotesi ricostruttive del fatto,
era consentito al giudice di merito di adottarne una che conduceva alla
condanna sol perché la riteneva più probabile rispetto alle altre. Ciò non è più
consentito perché, per pervenire alla condanna, il giudice non solo deve
ritenere non probabile l’eventuale diversa ricostruzione del fatto che conduce
all’assoluzione dell’imputato ma deve altresì ritenere che il dubbio su questa
ipotesi alternativa non sia ragionevole – deve cioè trattarsi di ipotesi non
plausibile o comunque priva di qualsiasi conferma- (V. Sez. 4, Sentenza n.
48320 del 12/11/2009 Ud. RV245879).
Nel caso di specie, per quanto evidenziato, il dubbio è ragionevole per la non
completezza della versione accusatoria, contrastata da una plausibile
versione difensiva.
Non va trascurato di evidenziare che, comunque, il reato si è prescritto alla
data dell’Il settembre 2013, cioè il giorno successivo al giudizio di
legittimità, per cui, sotto il profilo di economicità processuale, sarebbe del
tutto inutile annullare la sentenza con rinvio per consentire alla Corte
d’Appello di verificare l’assunto difensivo a mezzo di specifica perizia.

univocità. Le massime d’esperienza, consentendo il ricorso ad una pluralità di

S’impone, pertanto,l’annullamento senza rinvio per non avere il ricorrente
commesso il fatto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto.

Così deciso in Roma alla pubblica udienza del 10 settembre 2013.

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